Mondiale per club, la nuova scommessa di Infantino ha già raggiunto l’obiettivo: ingrossare il bilancio Fifa
- Postato il 15 giugno 2025
- Calcio
- Di Il Fatto Quotidiano
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Che calcio si gioca nel resto del pianeta? Quanta differenza c’è fra l’Europa e gli altri continenti? È la grande sfida del Mondiale per Club, la nuova competizione lanciata dalla Fifa che prende il via nel weekend negli Stati Uniti. Cioè la scommessa, che però ha ragioni molto poco sportive e quasi esclusivamente economico-politiche, di Gianni Infantino, n.1 del pallone mondiale. L’idea è piuttosto semplice: un altro Mondiale, con gli stessi meccanismi e la stessa formula di quello tradizionale (prima della riforma a 48), ma stavolta con le squadre di club invece delle nazionali. Otto gironi da quattro, poi dagli ottavi scontri diretti fino alla finale. Mettere a confronto i campioni della nostra Champions League, contro quelli della Copa Libertadores sudamericana (il principio della vecchia, mitica Intercontinentale), ma anche di Usa, Africa, Asia, Arabia, Oceania, e poi tanti altri, con criteri di qualificazione invero non troppo trasparenti, per arrivare a 32 formazioni ed allungare il brodo. Il risultato è l’ennesimo grande evento da due miliardi di dollari che va a ingrossare il bilancio della Fifa, uno per il montepremi da record da distribuire ai partecipanti (l’unica ragione che ha convinto società e giocatori, non proprio entusiasti di ingolfare il calendario e compromettere la preparazione estiva). Se lo spirito fosse davvero quello di allargare a livello planetario la competizione, la nascita sarebbe anche lodevole. In realtà, le logiche del calcio moderno alimentate dallo stesso Infantino (che ha sposato i sauditi e strizza l’occhio all’entertainment americano), rendono impossibile tutto ciò, trasformando la manifestazione in un esperimento in provetta tentato solo per fare soldi.
Dal punto di vista della geopolitica del pallone, il disegno è chiaro: con questo nuovo, ricchissimo torneo, Infantino punta a sancire la propria egemonia e dare la spallata definitiva alla Uefa del collega e rivale Ceferin, che ha dalla sua la Champions League. Il successo potrebbe persino prescindere da quello sportivo, se è vero che alla vigilia della manifestazione, ancora prima di testarne il valore sul campo, dall’Inghilterra già rimbalzano voci di un possibile allargamento a 48 squadre, perché quando c’è una torta nessuno vuole rimanere fuori dal tavolo, i club europei esclusi da questa prima edizione temono che possa ampliarsi il divario economico dai partecipanti che incasseranno in media una cinquantina di milioni a testa. Poi però ci sono anche delle partite da giocare, una coppa da vincere e a cui assegnare un valore. E qui il rischio che la nuova creatura di Infantino si riveli in realtà una baracconata è molto alto. I presupposti non sono dei migliori, almeno in partenza. La formula, che propone all’inizio tanti incontri fra compagini sconosciute. La sede prescelta, gli Stati Uniti, Paese senza cultura calcistica che chissà come vivrà l’evento (la Fifa ha venduto pacchetti vip a peso d’oro, ma gli stadi sono mezzi vuoti di tifosi comuni). Il clima e gli orari, le partite nel cuore della notte per il fuso europeo ma a temperature proibitive (35 match su 63 prima delle 17 locali, a oltre 35 gradi), ritmi blandi, con giocatori già bolliti da una stagione estenuante. Le stesse modalità con cui sono stati invitati i club (perché di questo si tratta alla fine, un torneo a inviti), con criteri cambiati in corsa e modellati a seconda delle esistenze (evidente la forzatura, ad esempio, per avere l’Inter Miami di Messi). E poi, in generale, l’appeal della competizione, che come tutto ciò che è nuovo si deve costruire una tradizione, e sia agli occhi dei tifosi, che degli stessi calciatori, potrebbe avere un’importanza molto relativa.
Per tutto questo, alla fine la vera sfida del Mondiale per club si gioca sulla competitività delle sue partecipanti. La grande incognita è quanto le compagini non europee (che sono comunque 20 su 32) riusciranno a tenere testa alle varie Psg, Real, City, e perché no mettiamoci pure le nostre italiane Inter e Juventus, anche se per ragioni diverse non arrivano certo al torneo nel migliore dei modi. Vale per i carneadi di Monterrey, Sundowns, Auckland, Esperance, solo per citare alcune delle compagini più esotiche ai nastri di partenza, così come per i club arabi imbottiti di figurine, per cui questa rappresenta una irripetibile vetrina per dimostrare di essere davvero la nuova frontiera del pallone come vorrebbero sceicchi ed emiri (e infatti forse la manifestazione è stata concepita anche e soprattutto per loro). Se le periferie del pianeta riusciranno a sorprendere, a dar vita a partite combattute e portare almeno una rappresentante in fondo al torneo, il Mondiale per Club potrebbe suscitare curiosità e risultare anche divertente da guardare, rappresentando una novità positiva per il sistema. Insomma, dimostrerebbe di avere un senso, dando ragione alla Fifa. Se invece – come tutto lascia supporre guardando i precedenti Mondiali per club, dove una vittoria extra-europea manca dal 2012 – assisteremo a goleade in serie, o peggio ancora partite senza storia in cui le big passeggiano schierando le riserve, col vecchio continente che monopolizza il tabellone da quarti di finale o addirittura già dagli ottavi, finendo per arricchirsi e ampliare ulteriormente il divario, il Mondiale si rivelerà per essere una brutta copia della Champions, per giunta meno meritocratica (per i criteri d’accesso), di cui nessuna sentiva il bisogno. Ma probabilmente non è questo che interessa a Infantino.
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