“Mussolini sta per compiere 89 anni, Hitler governa ancora la Germania”: esce ‘Buon compleanno Duce’, il nuovo romanzo distopico di Massimo Storchi
- Postato il 25 aprile 2025
- Libri E Arte
- Di Il Fatto Quotidiano
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Il 24 aprile, alla vigilia degli ottant’anni della Liberazione, per Compagnia editoriale Aliberti, esce in libreria il romanzo distopico Buon compleanno Duce. Anno 50 Era fascista dello storico e scrittore Massimo Storchi, con la prefazione di Francesco Filippi. Siamo nel 1972 e in Italia non c’è traccia delle contestazioni giovanili, né del Sessantotto. Il nostro Paese, a dirla tutta, non è neppure una Repubblica, il referendum del 1946 non c’è mai stato e non c’è nessuna spartizione di potere fra i partiti. Perché non c’è nessun “altro” partito all’infuori dell’unico possibile: il partito fascista.
Quell’anno, infatti, in tutte le città italiane, fervono i festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario della marcia su Roma e mancano un paio di mesi all’ottantanovesimo compleanno di Benito Mussolini che ha lasciato il governo a Marcello Petacci. La Seconda guerra mondiale si è conclusa il 20 aprile 1945 – giorno del compleanno di Hitler – con due bombe atomiche sganciate su Leningrado e Boston e con il trionfo dei nazifascisti. L’Inghilterra è l’ultimo baluardo di democrazia e i Romanov sono tornati a Mosca. La Germania è ancora guidata dall’anziano Führer. A Reggio Emilia, dove le grandi fabbriche Reggiane (di proprietà tedesca Heinkel) informano a loro misura e desiderio la popolazione, si sviluppa la storia di quattro ragazzi all’ultimo anno del Liceo Classico Alessandro Pavolini: Andrea, Bruno, Vince, Patrizia e Stefania, figli dell’alta borghesia cittadina, destinati a un futuro luminoso, fino a quando un incidente in montagna scombinerà le loro vite.
E le nostre, di vite, come sarebbero, se le pagine più buie della storia d’Italia non fossero mai state chiuse? Pubblichiamo, per gentile concessione dell’editore, la prefazione di Francesco Filippi.
1972, anno Cinquanta dell’Era fascista.
Anche nella bassa Reggiana, come nel resto dell’Impero, ci si prepara a festeggiare la cifra tonda della dittatura, mezzo secolo, insieme all’ottantanovesimo compleanno del fondatore del fascismo, Benito Mussolini. Non è più al comando, il primo duce, ma la sua ombra incombe pesante sulle vite di provincia, cristallizzate in un perenne sabato fascista che sembra non avere fine.
Basterebbe questo attacco straniante per tenere avvinti alla lettura di Buon compleanno Duce. Ma la storia di questa provincia padana ancora fascista è solo uno dei molti motivi per affrontare questa nuova preziosa fatica di Massimo Storchi, storico, ricercatore e saggista. Tra le righe di questo racconto denso e veloce si intuisce subito che c’è qualcosa in più che fa innamorare delle storie e, in questo caso, della Storia. L’invito, quasi sfacciato, che l’autore fa a chi legge, ad avventurarsi in una lettura “strabica” delle vicende, accattivante e proprio per questo efficacissima.
Strabica perché da un lato invita a guardare a un passato ucronico, inesistente nei fatti ma legato a doppio filo alla memoria di una paura fin troppo vera: un fascismo persistente, mai sconfitto, rimasto in piedi tra le macerie della storia e ben conficcato nelle vite di milioni di italiani. Niente Liberazione, niente Resistenza, solo una servitù sociale protratta per mezzo secolo, incarnata dal corpo di un duce ormai in disarmo ma sempre incombente, sempre temuto più che ammirato. Un mondo di normalità forzata lontanissimo da quello che potremmo riconoscere noi, che la Liberazione l’abbiamo avuta, e quindi proprio per questo ancora più inquietante.
Dall’altro lato, proprio a causa di questa domanda pesante, questo periodo ipotetico da far tremare le vene ai polsi, il “cosa sarebbe successo se?”, lo sguardo viene inevitabilmente trascinato al presente, verso la lettura odierna di ciò che sappiamo essere storia.
Troppo forte la tentazione del paragone, per noi lettori, tra la realtà ipotetica e quella vissuta. Il divertito smarrimento di notare le differenze che l’autore sa costruire in maniera efficacemente verosimile grazie alle conoscenze dello storico dopo poco ci fa un brutto scherzo: ci interroga sul valore di quel che abbiamo facendoci immaginare di non averlo mai avuto.
Con in più una questione ancora più difficile da gestire, e cioè se il mondo di oggi, con i suoi ottant’anni di libertà democratica, abbia realmente speso bene il proprio tempo nel cercare di fare i conti con quel passato. Se all’assenza del regime fascista donataci dalla Resistenza sia seguito quanto da molti auspicato, vale a dire la consegna del fascismo alla Storia.
Ed è qui che il racconto di Massimo Storchi compie un’operazione che sarebbe stata difficilmente realizzabile attraverso un saggio storico inchiodato, come deve essere, sui fatti del passato: Buon compleanno Duce ci riporta all’oggi e ci chiede, senza troppi preamboli, se “abbiamo imparato la lezione”, se il tempo è trascorso davvero con profitto.
Viviamo in un mondo che non è quello dei quattro ragazzi dell’ipotetica “Reggio bene”, immersa in mezzo secolo di propaganda fascista, eppure molti dei temi affrontati, molte delle situazioni di vita presenti nel racconto di Massimo Storchi sono riconoscibili anche da noi, oggi.
Gli anni Settanta di Andrea, Bruno, Vince, Patrizia e Stefania non sono quelli della contestazione e dell’impegno che ha inaugurato una stagione di conquiste e diritti, ma anche di violenze e attentati, eppure chi leggerà questo libro non faticherà a trovare negli scambi tra i protagonisti le necessità e le pulsioni di una società dai meccanismi immutabili e conosciuti, regime o non regime. Quel “mondo piccolo” della provincia italiana che non a caso fu proprio uno come Guareschi a raccontare nel secondo dopoguerra e la cui persistenza si può ancora trovare nelle beghe quotidiane e nelle chiacchiere da bar. Massimo Storchi narra una vita che non si snoda “con” il fascismo, ma “nonostante” il fascismo, entrando con bravura in una delle questioni più difficili da spiegare per gli storici, vale a dire la sua quotidianità, il suo essere pensato per costituire non un tratto dominante, ma una caratteristica di fondo della società che è destinato a dominare.
Ed è proprio questa sua volontà di essere “normale” a fare del fascismo uno dei più pericolosi esperimenti di ingegneria sociale del Ventesimo secolo: è la sua pretesa possibile normalità a porci di fronte alla possibilità del suo ritorno. Su questo, in fondo, Massimo Storchi ci provoca, pur rimanendo apparentemente lontano dalla nostra realtà.
I protagonisti di questo racconto non sono eroi o martiri del fascismo, a cui il regime ha sconvolto la vita con la delazione, la violenza e le leggi speciali: questa è gente che il regime seppe titillare, blandire, farsi se non amica quanto meno neutrale. Tutti i totalitarismi agiscono su questo schema: un nemico debole e lontano con cui prendersela, una base ristretta e scalmanata da galvanizzare e una enorme maggioranza da lasciare in pace. Renzo de Felice calcolava a spanne che degli italiani che a vario titolo presero parte alla guerra civile del 1943-’45 due milioni furono con la Resistenza, tra combattenti, famiglie di questi, comunità che aiutarono e protessero i partigiani.
Due milioni e mezzo invece furono dall’altra parte, tra repubblichini, reclutati coi bandi, collaborazionisti, fiancheggiatori e popolazioni che sostennero l’invasore nazifascista. Se i conti di de Felice sono corretti, significa che alla Guerra Civile di questo Paese trentanove milioni e mezzo di persone non parteciparono in nessun modo. Attesero semplicemente che “passasse la nottata”.
Buon compleanno Duce è un racconto che con intelligenza va a indagare proprio quella parte enorme di Italia che lasciò scorrere la storia subendola. Quella parte di società che avrebbe continuato tranquillamente a vivere sotto il fascismo fino a quando questo non fosse caduto per autoconsunzione. Uomini e donne per cui la dittatura rimane un fatto ineluttabile come un evento atmosferico. Grazie all’uso di un’ucronia che apparentemente ci scarica di responsabilità e ci allontana dai protagonisti del racconto, l’autore propone anche a noi le domande che implicitamente noi poniamo, giudicandoli, ai protagonisti. Fino a che punto, chiede ai suoi personaggi ma pure ai suoi lettori, il fascismo può essere considerato la normalità? E fino a dove una società può sopportare come routinario un regime liberticida e violento? Lasciando i protagonisti alla fantasia e venendo a noi: oggi, quali dovrebbero essere, quali sono, i segnali necessari a comprendere se questa malattia della democrazia che è stato ed è il fascismo può tornare ad avvelenare le nostre vite? E se questo accadesse, quale sarebbe il nostro grado di sopportazione, quale la nostra capacità di reazione? Se la provincia nera e sonnacchiosa di Buon compleanno Duce fosse la nostra, noi cosa faremmo? Se lo sarà, noi cosa faremo?
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