“Napoli é un paradiso poggiato sull’inferno”: ‘C’era una volta il Sud’ é una dichiarazione d’amore all’incontrario di Marcello Veneziani
- Postato il 13 giugno 2025
- Trash Chic
- Di Il Fatto Quotidiano
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“Caro Sud, da quando non ti vedo più mi sono innamorato di te. Sono partito e ho tagliato il cordone ombelicale dell’anima..”. Per Marcello Veneziani, giornalista, scrittore e filosofo civile, nato a Bisceglie ma vive a Roma, la lontananza gli suscita il sentimento di vicinanza. Quanta gente che si crede importante al teatrino di corte di Palazzo Reale per immergersi nel mondo antico di “C’era una volta il Sud” ( Rizzoli), annusando La brutta razza terrona. E’ Il titolo di un capitoletto che piacerebbe a Salvini, ma il contenuto è nostalgico, un viaggio emozionale. tra cartoline illustrate, foto d’archivio che fanno tenerezza, raccontate come una favola, c’era una volta… ma adesso quel Meridione d’Italia è sparito ma continua ad occupare un posto speciale nella geografia dei sentimenti dell’autore.
Un libro in bianco e nero ma ad ascoltare Enzo D’Errico, direttore del Corriere del Mezzogiorno, i racconti diventano pittorici, sono pennellate vivaci di colori. Veneziani ha inventato la fotosofia, foto ingiallite dal tempo ma accompagnate da una scrittura raffinata diventano come le madeleines di Proust, il motore della memoria. Quando era una civetteria andare dal barbiere e allo sfigato si chiamava lo speranzuolo, riconoscendogli una qualche chance di riabilitazione nella scala sociale. E al funerale si riconosceva una convivialità simile al matrimonio. Anzi c’è chi lo preferisce. Se non altro per sottrarsi all’estenuante rituale delle 12 portate, escluso il taglio della torta a sette piani. Il funerale dura un’ora scarsa.
Dove c’è la luce, c’è l’ ombra del passato, e Piazza Plebiscito, la piazza simbolo della città, dopo anni al buio si illumina sulle note dell’Inno alla Gioia a cura del Teatro San Carlo. Sindaco, prefetto e un sottosegretario (non ricordo chi) sono seduti su un palchetto a mo’ di regnanti, i sudditi, i più fortunati, seduti davanti a loro, il resto fuori dalle transenne, l’orchestra di lato. Sposto lo sguardo sul porticato, scritte sgraziate e graffiti, mura scalcinate, rete di protezione per non fare cadere calcinacci in testa a qualche sventurato turista e pure materassi maleodoranti lasciati lì dai senza tetto. E poi crepe, crepe ovunque, ferite sulle colonne dalle quali piove acqua ( non adesso che é estate).
Ecco, se la piazza rimaneva al buio non saltava agli occhi questa geografia del degrado. Non si vede nessuna valorizzazione e riqualificazione del complesso di piazza del Plebiscito, detto il mini Vaticano, promessa dal sindaco. Ma lui troneggia: “Abbiamo rispettato la volontà dei cittadini che volevano la piazza illuminata”. Ma si sbaglia di grosso i cittadini/residenti non vogliono più concerti in piazza Plebiscito. Non ne possono più degli strimpellamenti di Gigi D’Alessio, firmano a migliaia petizioni su petizioni che il sindaco, continua ad ignorare. Perdendo faccia e consensi. Il Comune è come Giuda che si vende per 30 danari.
Al di là dell’emiciclo della piazza c’è chi invece se la gode: lanciano acuti da tenori in erba, squittiscono, saltano da un cassonetto all’altro, agitandosi nella monnezza. Aspettando l’American Cup. A Napoli si balla con i topi, zoccole grandi metà del mio braccio. Se un gatto li intercetta scappa dalla paura.




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