Nato verso il 5%. Così i ministri della Difesa preparano la svolta dell’Aia
- Postato il 6 giugno 2025
- Difesa
- Di Formiche
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La ministeriale Nato di giovedì 5 giugno a Bruxelles ha segnato quello che il Segretario generale Mark Rutte ha definito un momento “storico” per l’Alleanza. I 32 ministri della Difesa hanno infatti approvato i nuovi Capability targets 2025 (Ct25), obiettivi di capacità militari che richiederanno un aumento drammatico della spesa per la difesa e rappresentano il fondamento per le decisioni che verranno prese al vertice dell’Aia del 24-26 giugno.
La proposta del 5%: una rivoluzione negli investimenti
Il cuore della discussione ruota attorno alla proposta di Rutte di portare la spesa complessiva per la difesa al 5% del Pil, suddivisa in 3,5% per la difesa “core” (paragonabile all’attuale 2%) e 1,5% per investimenti in sicurezza e infrastrutture correlate alla difesa. Una cifra che rappresenterebbe un incremento del 50-70% rispetto agli attuali impegni, come sottolineato dal ministro italiano Guido Crosetto.
Il Segretario alla Difesa americano Pete Hegseth si è mostrato “molto fiducioso” sul raggiungimento di un consenso quasi unanime, dichiarando che “alcuni Paesi non sono ancora del tutto d’accordo, ma li convinceremo”. La pressione dell’amministrazione Trump è evidente: Washington chiede agli alleati europei di equalizzare la spesa con gli Stati Uniti, attualmente al 3,4% del Pil.
Posizioni divergenti e tempistiche in discussione
All’interno dell’Alleanza emergono posizioni differenziate sui tempi di implementazione. Mentre i Paesi baltici e dell’Est Europa, guidati da una percezione più acuta della minaccia russa, spingono per tempi rapidi (Estonia e Svezia vorrebbero il target raggiunto entro il 2030), altri membri preferiscono scadenze più dilazionate.
La ministra lituana Dovilė Šakalienė ha utilizzato parole particolarmente dure: “Se non si agisce rapidamente, potremmo dover iniziare a imparare il russo”. Una dichiarazione che riflette l’urgenza percepita dai Paesi più esposti geograficamente alla Russia. Del resto, quando hai il confine bielorusso a meno di cento chilometri dalla tua capitale, la percezione della minaccia è inevitabilmente diversa: per gli italiani sarebbe come avere i russi a Civitavecchia da Roma.
La posizione italiana: realismo e gradualità
L’Italia, per voce del ministro Crosetto, ha adottato una linea di realismo pragmatico. “Spendere il 5% del Pil in difesa al momento è impossibile”, ha chiarificato Crosetto, definendolo semmai una prospettiva di lungo termine. Roma ha sostenuto la proposta britannica di spostare al 2035 il raggiungimento degli obiettivi di capacità, riconoscendo le difficoltà economiche e politiche di un aumento così drastico.
Tuttavia, questo approccio gradualista rischia di confermare l’Italia nel ruolo di fanalino di coda nelle spese militari dell’Alleanza. Dopo tutto, il Paese ha impiegato un decennio per raggiungere faticosamente il target del 2% fissato nel 2014 al vertice del Galles, traguardo che verrà ufficialmente dichiarato proprio al vertice dell’Aia nel giugno 2025. Con il nuovo obiettivo del 5%, il rischio è di ripetere lo stesso schema: promesse dilazionate nel tempo che potrebbero tradursi in un ritardo cronico rispetto agli altri alleati, proprio mentre la minaccia alla sicurezza europea si intensifica.
Il ministro Crosetto ha inoltre sottolineato la necessità di attivare la clausola di salvaguardia per escludere le spese militari dal Patto di stabilità europeo, condizione essenziale per rendere sostenibili gli aumenti richiesti. “Per avere senso dovrebbe durare venti o trent’anni, non quattro o cinque”, ha precisato.
I Capability targets: una trasformazione senza precedenti
I Ct25 approvati rappresentano un salto qualitativo per l’Alleanza. Gli obiettivi prevedono un aumento del 30% rispetto ai target del 2021 (attualmente raggiunti solo per il 60-80%), con particolare focus su sistemi di difesa aerea e missilistica, missili a lungo raggio, unità militari terrestri preparare per essere rapidamente dispiegate e capaci di essere impiegate in diverse aree del teatro operativo, sistemi di comando e controllo avanzati e un incremento significativo del personale militare. Per la Germania, questo si traduce nella necessità di 50-60mila soldati aggiuntivi, mentre per l’Italia significherà investimenti massicci in settori dove le carenze sono più evidenti.
Conseguenze per l’Italia: sfide e opportunità
Per l’Italia, l’implementazione dei Ct25 comporterà trasformazioni strutturali. Il Paese dovrà affrontare investimenti in aree critiche come la difesa aerea, dove le lacune sono significative, e potenziare le capacità di proiezione e manovra terrestre.
Dal punto di vista industriale, questo potrebbe rappresentare un’opportunità per il comparto della difesa italiano, con aziende come Leonardo e Fincantieri chiamate a beneficiare dell’aumento della domanda europea. Tuttavia, la sfida finanziaria rimane considerevole: passare dall’attuale 1,5% circa del Pil al 3,5% richiesto significherebbe raddoppiare gli investimenti militari.
La questione politica non è secondaria. Come ha osservato Crosetto, “quelli che ora fanno demagogia perché stanno all’opposizione, se fossero in maggioranza prenderebbero le stesse decisioni”, evidenziando come la pressione geopolitica renda inevitabili certe scelte indipendentemente dal colore politico del governo.
Verso l’Aia: una Nato più forte ma più costosa
Il vertice dell’Aia di fine giugno dovrà trasformare gli obiettivi di capacità approvati a Bruxelles in impegni finanziari concreti. Rutte ha annunciato che presenterà piani annuali di incremento per evitare l’effetto hockey stick – aumenti concentrati negli ultimi anni – che aveva caratterizzato il precedente target del 2%.
La posta in gioco è altissima: di fronte a una Russia che sta espandendo le sue forze armate da 400.000 a 1,6 milioni di militari attivi, con 5 milioni di riservisti, l’Alleanza deve dimostrare di essere pronta a investire nella propria sicurezza. Come ha osservato lucidamente il ministro Crosetto, “la Russia non programma mai nulla per caso”: l’interrogativo su cosa serva un apparato militare così massiccio nella prospettiva di una pace in Ucraina rivela la natura delle reali intenzioni di Mosca.
Di fronte a questo scenario, le parole di Rutte riecheggiano l’antico adagio romano si vis pacem, para bellum: per prepararsi alla guerra si spende di più, e quando si è davvero preparati, non si viene attaccati. La deterrenza, ancora una volta, si conferma l’unica garanzia di pace.