NBA Freestyle | Draft, perché su Cooper Flagg ci sono così tante aspettative. Futuro, i Thunder saranno la squadra da battere
- Postato il 27 giugno 2025
- Sport News
- Di Il Fatto Quotidiano
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La prima scelta di Dallas Cooper Flagg è “magma pirandelliano”
Il suo ingresso nella NBA ha destato lo stesso entusiasmo di altre illustri prime scelte del passato. Stessa eccitazione avevano destato Patrick Ewing, LeBron James, Shaquille O’Neal, Tim Duncan o lo stesso Victor Wembanyama. Mica gli ultimi arrivati. Entusiasmo che, da sempre, equivale ad aspettative. Più arrivi dall’alto, più sei costretto ad andare ancora più in alto. È la legge della NBA. È la legge del Draft. Dal primo momento in cui Cooper Flagg metterà i piedi in campo, sarà scrutato, analizzato, criticato, commentato, provocato. Chi ha le spalle large, sopravvive. E magari diventa David Robinson. Chi, invece, non regge la pressione (o il livello superiore di gioco) diventa Markelle Fultz. Il nuovo rookie dei Dallas Mavericks ha tutte le carte in regola per lasciare un segno nella lega. Non senza rischio, anche detto “aree di miglioramento”. In campo, Flagg è magma, magma pirandelliano. Si trasforma in base alla parte del campo in cui agisce, cambia maschera, adattandosi alle situazioni di gioco con una versatilità senza precedenti. Ha un feeling per il gioco incredibile, ha una fluidità in campo impensabile. Non ha bisogno di avere la palla in mano per essere pericoloso, attacca meravigliosamente off-the-ball ricevendo sul perimetro o in taglio dal lato debole. Tiratore molto migliorato negli ultimi anni, sembra prediligere la conclusione sugli scarichi, piuttosto che crearsela dal palleggio. In difesa, poi, è davvero solido, reattivo (un po’ meno sui close-out) e versatile sia sull’uomo che in aiuto. Insomma, è un bel quadro. Ma non è un prodotto finito, Cooper Flagg. Sbagliato pensarlo. E la maniera in cui riuscirà a colmare le lacune ne farà il “nuovo” Larry Bird (con le dovute distanze… per dare un’idea…) o il “prossimo” Detlef Schrempf (ottimo giocatore, un All Star, ma non ha certo segnato un’epoca). Ci sono dubbi sul suo palleggio. Il controllo della sfera e la velocità di esecuzione non gli permetterebbero al momento di essere in pianta stabile un primo creator. Non convince neppure la rapidità del primo passo, soprattutto in situazioni di gioco statico. Al di là di ciò, Flagg è uno che a basket ci sa giocare per davvero. Ha un grande futuro. Se tutto va per il verso giusto. In bocca al lupo.
I Thunder sono qui per restate
Oklahoma City è campione NBA. E dà la sensazione che l’anello vinto sia solo il punto di partenza. Come mai? Hanno dimostrato in questo campionato di saper giocare gli uni per gli altri. Hanno vinto le partite con gerarchie chiare in campo, poco egoismo, tanto sacrificio in difesa. Una difesa solida, multiforme, flessibile, che non perde mai di intensità. Sono tutti giovani, tutti in ascesa, tutti ancora futuribili. Anche la loro stella, Shai Gilgeous-Alexander, è solamente da due anni che viene veramente considerato nel gotha dei migliori. Che giocatore sarebbe se diventasse un passatore più continuo quantitativamente? Si può pensare, per esempio, che uno come Jalen Williams abbia ancora ampi margini di miglioramento, per esempio sul tiro da fuori, per poter fare un ulteriore salto di qualità. Anche lo stesso Chet Holmgren ha solo 23 anni. Se si rafforza nella parte alta del corpo, senza perdere agilità, può diventare ancora più influente nelle trame offensive dei Thunder. Questo per dire che la NBA è un po’ avvisata. Salvo imprevisti, infortuni gravi o smantellamenti stile gli attuali Boston Celtics, gli Oklahoma City Thunder sono qui per restare.
Kevin Durant va agli Houston Rockets
Kevin Durant è tra i migliori attaccanti della storia. Tecnicamente, senza dubbio. È a livello di Michael Jordan, Kobe Bryant, Allen Iverson, George Girvin, fate voi. Pochi, davvero pochi, possono o hanno potuto vantare la combinazione di uno specimen fisico come il suo, con il suo tocco morbido, la capacità di mettere palla a terra e di arrestarsi per il tiro con quella rapidità. La sua abilità nell’attaccare il ferro o nel riempire le corsie in contropiede. Tuttavia, la carriera di Durant non è stata lineare. La leadership di Durant non è stata mai decisiva. Anzi, spesso la leadership di Durant è stata assente. Forse dipendono proprio da questo aspetto tutti i suoi cambi di casacca? Thunder, Warriors, Nets, Suns e ora Rockets. È stato Steph Curry a dire “Kevin, vieni da noi”. Non il contrario. È stato Durant che poi ha deciso di unirsi con una stella come Irving e “donare” tutto a Brooklyn. Stessa storia con Booker a Phoenix. Sempre un atteggiamento da “qui non riesco a vincere, me ne scappo, cedetemi”. Quindi, al di là dell’integrazione di un giocatore come Durant nel sistema di gioco di Houston (ci sono parecchi aspetti positivi), non si può non leggere in questo modo la sua ennesima richiesta (ottenuta) di cessione. Durant non cerca le vittorie con una squadra, cerca una squadra con le vittorie. È diverso. Un percorso di questo tipo non può non aver macchiato una carriera come la sua. Un giocatore come se ne sono visti pochi, che ha scelto una carriera da “uomo con la valigia” (o journey-man, come dicono in NBA).
That’s all Folks!
Al prossimo anno.
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