New York Times: “Trump deporta un gruppo di migranti in Libia a bordo di un aereo militare americano”

  • Postato il 7 maggio 2025
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Migranti deportati dagli Stati Uniti a un paese devastato da quasi 15 anni di guerra civile, dove le organizzazioni umanitarie da anni denunciano le condizioni “orribili” dei centri di detenzione. È la Libia: proprio qui Donald Trump ha deciso di trasferire a bordo di un aereo militare americano un gruppo di migranti e il volo potrebbe già partire nelle prossime ore. Il New York Times, che dà la notizia e cita funzionari informati, scrive che le nazionalità degli espulsi non sono state rese note. La mossa rientrerebbe nella strategia adottata dall’amministrazione Trump, tesa a dissuadere i migranti ad entrare irregolarmente negli Stati Uniti inviando un forte messaggio riguardo alla possibilità che vengano deportati in Paesi dove dovranno fronteggiare trattamenti brutali. Una strategia avviata nelle scorse settimane con l’invio di centinaia di migranti venezuelani e salvadoregni, considerati ‘nemici stranieri’ in quanto accusati di essere membri di gang classificate come organizzazioni terroristiche, nella famigerata prigione Cecot in Salvador, al centro di accuse di violazioni dei diritti umani.

Il piano di deportare migranti in Libia, se confermato e veramente attuato, porterebbe agli estremi questa politica. Il Salvador dell’uomo forte Nayib Bukele, grande alleato del presidente Usa, è stato recentemente inserito nella lista dei Paesi considerati più sicuri dal dipartimento di Stato che invece sconsiglia i viaggi in Libia “a causa di criminalità, terrorismo, mine terrestri inesplose, sommosse, rapimenti e conflitto armato”. E nel rapporto sui diritti umani dello scorso anno, lo stesso dipartimento denunciava che i migranti nei centri di detenzione, compresi bambini, sono esposti ad un trattamento “durissimo che mette a rischio la loro vita”, senza alcun accesso “ad un giusto processo”.

Dopo la caduta di Gheddafi nel 2011, il paese nordafricano resta diviso: il governo di Tripoli, nella parte occidentale, è riconosciuto dalle Nazioni Unite, mentre quello di Bengasi controlla l’est ed è guidato dal signore della guerra Khalifa Haftar. Washington intrattiene relazioni solo col primo ma, scrive il Nyt, “il figlio di Haftar, Saddam, è stato a Washington la scorsa settimana e ha incontrato diversi funzionari dell’amministrazione Trump”. Il presidente, poi, “ha avuto rapporti amichevoli durante il suo primo mandato con Haftar, che controlla la maggior parte dei redditizi giacimenti petroliferi libici”.

Sin dall’inizio del suo secondo mandato, Trump ha avviato operazioni di espulsione: a Panama sono finite “diverse centinaia di persone provenienti da paesi dell’emisfero orientale, tra cui Iran e Cina. I migranti – prosegue il Nyt -, che hanno dichiarato di non sapere dove stessero andando, sono stati trattenuti in un hotel per diversi giorni prima di essere condotti in un campo vicino alla giungla. Alcuni sono stati successivamente rilasciati dalla custodia panamense”. Nello stesso periodo, “i funzionari statunitensi hanno anche deportato in Costa Rica un gruppo di circa 200 migranti provenienti da paesi dell’emisfero orientale, tra cui l’Iran. Una causa intentata contro il paese sosteneva che le deportazioni e la successiva detenzione in Costa Rica “avrebbero potuto causare danni irreparabili” a un gruppo di bambini inviati nel paese”. Washington ha poi stretto un accordo col Salvador per deportare migranti venezuelani e imprigionarli, e il segretario di Stato Rubio ha annunciato di lavorare ad accordi analoghi con altre nazioni. E proprio alla fine di marzo un gruppo di migranti venezuelani è stato espulso proprio nel Salvador: “il volo – si legge sul New York Times – è decollato da Guantanamo Bay, a Cuba, diretto a El Salvador e comprendeva quattro venezuelani. Un documento governativo indicava che il Dipartimento per la Sicurezza Interna non aveva ‘ordinato’ all’aereo di decollare per El Salvador”.

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