Nicaso all’UniCal: «Mafie non sconfitte perché sono una patologia del potere»

  • Postato il 23 maggio 2025
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Nicaso all’UniCal: «Mafie non sconfitte perché sono una patologia del potere»

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A confronto su mafie e potere lo storico Nicaso e il procuratore Capomolla nell’ambito del ciclo di Pedagogia antimafia dell’UniCal


RENDE – «La Calabria è orgogliosa di voi. Grazie a voi e con voi continuerà a camminare lungo la strada della libertà». Con queste parole il docente di Pedagogia dell’antimafia dell’UniCal, Giancarlo Costabile, ha premiato, in una gremita aula Solano, lo storico delle mafie Antonio Nicaso e il procuratore di Cosenza, Vincenzo Capomolla, chiamati a confrontarsi sul tema della memoria e dell’impegno nell’anniversario della strage di Capaci. A loro l’invito è stato rivolto dal professor Costabile al fine di stringere «un patto collettivo per la pedagogia del cambiamento». Pedagogia del cambiamento, dunque, lungi da qualsiasi retorica commemorativa.

L’INTERVENTO DI NICASO

A cominciare dall’analisi del professor Nicaso. «Non siamo riusciti ancora a vincere la battaglia contro le mafie perché le mafie sono una patologia del potere», ha detto il docente della Queen’s University di Kingston, in Canada. Durante il suo magistrale intervento, il professore ha ricordato che fu a Bologna, nel 1864, che si celebrò il primo processo per associazione di malfattori, «un reato mutuato dal Codice napoleonico e dalla Bolla di Sisto V». «A Bologna le mafie avevano sfidato lo Stato, uccidendo anche forze dell’ordine. Un po’come aveva fatto il brigantaggio, o il terrorismo. Le mafie al Sud non sfidano le istituzioni, se si eccettua la parentesi corleonese. La loro è una violenza strategica, di relazione, che tende a infiltrarsi».

Insomma, «un fenomeno di classi dirigenti» che ha radici lontane nel tempo. Nel suo affascinante excursus, lo storico è risalito fino al periodo del feudalesimo. «Le compagnie d’armi altro non erano che violenza privata legittimata».

Fu il collaboratore di giustizia Beppe Musolino, però, a cogliere «l’importanza della struttura del crimine organizzato». Dei raduni di Polsi si parlava già in rapporti ai procuratori del Re nei primi del Novecento. «Nonostante avessero identificato 100 esponenti della ‘ndrangheta, quello che avrebbe potuto essere il primo maxi processo contro la ‘ndrangheta non si tenne. Già negli anni Venti c’erano elementi per poter intervenire». Nella sua ricostruzione Nicaso ha spiegato perché non accadde, passando dal prevalere della ragion di Stato alla sottovalutazione del fenomeno alla capacità relazionale e di adattamento delle mafie che persiste fino ai giorni nostri. Nicaso ha ricordato anche una delle inchieste antimafia più importanti degli ultimi anni, quella che ha portato all’operazione Glicine Acheronte. «Abbiamo il riscontro dell’incontro tra il clan Megna della frazione Papanice di Crotone e un hacker tedesco che viene in Calabria a creare piattaforme clandestine del trading. Le mafie oggi – ha aggiunto – cercano le competenze necessarie per affrontare sfide epocali. Da qui la necessità di nuovi protocolli di indagine. Ma si sta sottovalutando la dimensione ibrida delle mafie».

Infine, un accenno autobiografico. Lo storico si è detto «Onorato di tornare in una delle università più prestigiose e importanti e nella mia terra che non ho mai lasciato. Se tornassi indietro verrei a studiare qui. Ho un cruccio – ha concluso – Aver lasciato la Calabria».

L’INTERVENTO DI CAPOMOLLA

«Ero appena rientrato da Roma dopo aver concluso le prove scritte per il concorso in magistratura. Nella mia commissione d’esame c’era Francesca Morvillo». Il procuratore Vincenzo Capomolla ha tenuto a ricordare cosa faceva lui 33 anni fa, quando si consumava la strage di Capaci. Era in viaggio di nozze quando, invece, avvenne la strage di via D’Amelio. Ricordi indelebili che hanno rafforzato «un impegno senza cedimenti», che è quello che deve caratterizzare il magistrato, specie sul fronte antimafia. No ad «atteggiamenti indulgenti» nei confronti degli esponenti dei clan. Neanche se offrono risarcimenti alla vittime di estorsione. Capomolla si riferisce al meccanismo dell’”offerta reale” che «non può essere motivo sufficiente per attenuare la pena o la misura cautelare». Capomolla ha affrontato così il tema spinoso dell’inadeguatezza degli strumenti legislativi per contrastare le mafie, che non sono altro che «sistemi di potere». Il magistrato è risalito alle origini. Il concorso esterno in associazione mafiosa, per esempio? «Non è un’invenzione di Giovanni Falcone». Capomolla ha ricordato che anche podestà erano condannati per “complicità in associazione di malfattori”. Le mafie hanno da sempre esercitato «un servizio violento al potere che soggiogava le popolazioni locali». «Le associazioni mafiose non sono mai state semplici associazioni a delinquere. C’è gente che ha sacrificato la vita perché questa consapevolezza si traducesse in norma di legge», ha detto ancora Capomolla ricordando il sacrificio di Pio La Torre. Ma ha anche ricordato la solitudine di Falcone, «consapevole dei rischi che correva mentre affinava gli strumenti di contrasto alle mafie. Anche perché suoi colleghi erano caduti sotto il piombo assassino. Ma nonostante questo – ha aggiunto Capomolla – portò avanti fino in fondo il suo compito con grande intransigenza morale».

GLI ALTRI INTERVENTI

Gianluigi Greco, direttore del dipartimento di Matematica e Informatica, ha insistito sulla dimensione “trasformativa” che caratterizza le scienze dell’educazione. E ha auspicato che alla memoria si coniughi la speranza, «spinta propulsiva che anima chi non si arrende. Ricordare Capaci significa anche insegnare a immaginare altro».

Il prorettore Francesco Raniolo, ordinario di Scienze politiche, soffermandosi sul concetto di “memoria sovversiva”, introdotto dallo stesso Costabile, ha ricordato il periodo delle stragi mafiose tracciando una distinzione tra biografia e contesto. «Falcone e Borsellino con le loro biografie hanno fatto storia. Il senso di scoramento che ci accompagnò in quei momenti si trasformò in energia positiva. Biografie e storia in questo caso si fondono e si compongono».

La coordinatrice del corso di Scienze dell’educazione, Rossana Adele Rossi, ha insistito sulla «posizione di grande responsabilità di chi educa. Una pratica che è anche politica – ha detto – perché volta a formare una coscienza critica per leggere le ingiustizie».

Il comandante provinciale dell’Arma di Cosenza, il colonnello Andrea Mommo, ha rievocato la sequela di vittime tra i carabinieri impegnati contro il fenomeno mafioso, ricordando che per lungo tempo è stato sottovalutato.

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