Niente cinema e concerti, ma playlist e streaming: così i nuovi adolescenti vivono la cultura. Gli esperti: “Pesano i costi e la povertà educativa”
- Postato il 24 novembre 2025
- Cronaca
- Di Il Fatto Quotidiano
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Vanno sempre meno ai concerti, solo il 33% mette piede nella platea di un teatro; qualcuno in più (40,3%) ha visitato un sito archeologico, mentre uno su due va ancora alle mostre. Vuote o quasi le sale dei cinema: nel 2024 li hanno frequentati solo il 21,2% dei ragazzi tra i 13 e 17 anni. Sono i dati sulla fruizione culturale degli adolescenti emersi dal 16esimo “Atlante dell’infanzia” pubblicato in questi giorni da Save The Children. Numeri che il Fatto ha letto con cura, con l’aiuto della sociologa Chiara Saraceno e Federico Taddia, conduttore di Non mi capisci su Radio 24, trasmissione dedicata alle nuove generazioni. Due le chiavi di lettura offerte dagli esperti: da una parte i costi della cultura, che escludono i giovani e soprattutto quelli che vivono in periferia; dall’altra una questione generazionale. Questa, infatti, è una generazione di adolescenti “fantasma”: ascoltano la musica, leggono i libri e sanno cosa succede nel mondo, ma non per forza si fanno vedere ai concerti, in biblioteca o davanti alla televisione. Lo spiega bene Taddia: “I nuovi dispositivi elettronici hanno cambiato – e stanno cambiando – il tipo di fruizione di un’esperienza artistica: è una fruizione più individuale, solitaria, staccata dal contesto e spesso dal momento. Live e non live sono sempre più confusi”; quella dei giovani “è una fruizione on demand non legata al “qui ed ora”. Anche il concetto di condivisione è totalmente diverso: non è più un “stiamo vivendo lo stesso momento” ma “io ti faccio vedere il momento che ho vissuto””.
I concerti? “Troppo costosi”
Ma analizziamo i numeri che ci offre l’Atlante dell’infanzia. Solo il 12% degli adolescenti va a un concerto di musica classica; il 29% ad altri concerti. Taddia sottolinea l’incidenza dei costi: i biglietti, afferma, sono”davvero troppo costosi per quanto riguarda la musica live e il cinema”. Poi c’è “la diminuzione dei piccoli club e dei piccoli cinema”, che toglie “luoghi in cui “allenarsi” a vivere in maniera diversa un evento. E poi il grande problema delle povertà educative: sacche di famiglie (e quindi di bambini) vivono sotto la soglia di povertà, in situazioni di degrado, dove le politiche culturali mancano completamente. Dove la dispersione non è solo scolastica, ma è anche umana. Dove la cultura è roba da ricchi, non motore di cambiamento e riscatto sociale”. Sulla stessa linea la sociologa Saraceno: “Andare a un concerto è costoso. Solo se provieni da una famiglia che ha la consuetudine a questo tipo di consumi sei incoraggiato a spendere i soldi in quel modo”.
Il fenomeno delle playlist
I ragazzi: creano playlist dai titoli che iniziano con “Pov” – acronimo di point of view, punto di vista – che indica una tecnica, mutuata da altri social come TikTok, per far immergere l’ascoltatore in una determinata situazione psicologica. La generazione Z (che comprende i nati tra il 1997 e il 2012) ha creato il 72% delle playlist “Pov” esistenti. Ecco alcuni esempi: “Pov: sei innamorato di qualcuno che non potrai mai avere“, “Pov: stai iniziando una nuova vita, ti stai trasferendo in una nuova città e tutto sta cambiando”, e via dicendo. Nel 2024, inoltre, la musica più ascoltata dalla Gen Z (52,13%) era indicata con l’acronimo “iykyk“, if you know, you know, ovvero “se lo sai, lo sai”, utilizzato per indicare che una data canzone o genere musicale sono apprezzabili – o anche solo comprensibili – da un gruppo ristretto e selezionato di persone. Grave, invece, un altro aspetto evidenziato dalla ricerca: nel 2023, dei ragazzi tra i 14 e i 18 anni, “soltanto l’8,4% frequentava corsi di musica in orario extrascolastico: percentuale che indica una carenza di opportunità per lo studio di uno strumento musicale o la partecipazione a un coro , che dovrebbero essere presenti in ogni scuola in orario pomeridiano”.
Solo un terzo degli adolescenti a teatro
La situazione non migliora con il teatro. Solo un adolescente su tre (il 33,3%) c’è stato almeno una volta nei 12 mesi precedenti all’intervista (il 37,6% delle ragazze a fronte del 29,3% dei ragazzi); tra chi ha genitori laureati, la percentuale sale al 44%, ma scende al 25% tra chi ha mamma e papà con un basso livello di istruzione. “Teatro e mostra accendono altre sentinelle: sono luoghi, sono esperienze, apparentemente lontane. Diverse. Appartenenti ad altri linguaggi”, spiega Taddia. “Da qui la necessità di elaborare proposte nuove, diverse, linguaggi altri; dall’altra parte – laddove famiglia e scuola non hanno gli strumenti per avvicinare ragazze e ragazzi a queste esperienze – attivare azioni sul territorio, la strada, il quartiere, le periferie, i luoghi atipici, in cui far “inciampare” i ragazzi e le ragazze nei musei e nel teatro. Avvicinarli non solo come spettatori ma anche come parte attiva; coinvolgerli nella progettazione, della gestione, della scelta, nella scrittura. Non far calare la “cultura” dall’alto, ma rendere la cultura come qualcosa di accessibile, di giocabile, di plasmabile”.
Uno su cinque mai al cinema nel 2024
La pandemia di Covid, sembra, ha tolto ossigeno anche al cinema: la chiusura per mesi e mesi di tutte le sale durante l’emergenza ha allontanato molti adolescenti dall’esperienza di guardare un film con decine di persone invece che su una tv in streaming o, peggio ancora, sul cellulare. Gli adolescenti che non sono mai stati al cinema in tutto il 2024 sono il 21,2%: ben il 25% al Nord (erano il 19% nel 2019), il 16% al Centro (il 13% pre-Covid), il 22% al Mezzogiorno, dato stabile rispetto a prima della pandemia. Anche in questo caso non siamo di fronte a giovani disinteressati, ma che hanno cambiato modo di fruire del prodotto culturale. Per Chiara Saraceno, anche in questo caso, la colpa è dei biglietti troppo costosi, ma per Taddia c’è anche un elemento sociologico da analizzare: “Non si sente la necessità di vivere emozioni con chi ho a fianco. Non m’interessa, non lo so fare, non ne ho l’abitudine. È come se fosse una competenza analogica se non persa, sopita. O, quanto meno, dimenticata”.
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