Nobel per la Pace 2025 a Maria Corina Machado, l’anti-Maduro che beffa anche Trump
- Postato il 10 ottobre 2025
- Di Panorama
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Il Comitato Nobel norvegese ha deciso: il Premio per la Pace 2025 va a María Corina Machado, simbolo della resistenza democratica in Venezuela. «Ha mantenuto accesa la fiamma della democrazia in mezzo a un’oscurità crescente», hanno dichiarato i membri del Comitato annunciando la scelta. Un riconoscimento che non premia soltanto la sua biografia personale, ma anche la lotta di un intero popolo contro un regime che, tra Chávez e Maduro, dura ormai da oltre venticinque anni.
Alla cerimonia di Oslo aleggiava anche il nome di Donald Trump, che a lungo aveva rivendicato la candidatura al Nobel come coronamento della sua presidenza. La risposta del Comitato è stata netta: «Le nostre decisioni rispondono al coraggio e all’integrità, non alle campagne di pressione».
Gli inizi e la formazione
María Corina Machado Parisca nasce a Caracas nel 1967. Figlia di un imprenditore siderurgico, cresce in un ambiente privilegiato che le consente di studiare ingegneria industriale alla prestigiosa Universidad Católica Andrés Bello, una delle più antiche istituzioni accademiche venezuelane. Successivamente frequenta programmi di alta formazione in management e finanza presso l’IESA, l’Instituto de Estudios Superiores de Administración.
Negli anni Novanta, prima di entrare in politica, lavora nel settore industriale e partecipa a progetti legati allo sviluppo e alla responsabilità sociale. Nel 2002, poco dopo il fallito colpo di Stato contro Hugo Chávez, fonda l’associazione Súmate, che promuove la trasparenza elettorale e diventa rapidamente un punto di riferimento per chi denuncia le irregolarità del chavismo alle urne.
L’ingresso in politica
La sua notorietà cresce nel 2004, quando Súmate svolge un ruolo centrale nel referendum revocatorio contro Chávez. Per quell’attività viene processata con accuse di “tradimento” e “cospirazione”, legate anche a un finanziamento ricevuto dal National Endowment for Democracy statunitense. Da quel momento Machado diventa una delle figure più conosciute e controverse dell’opposizione.
Nel 2010 viene eletta deputata all’Assemblea Nazionale. La sua azione è segnata da toni duri contro il governo e dalla difesa delle istituzioni democratiche. Nel 2012 partecipa alle primarie dell’opposizione per sfidare Chávez alle presidenziali: raccoglie circa il 3,7% dei voti, venendo superata da Henrique Capriles, ma consolida il suo ruolo politico.
La rottura con il regime
Nel 2014, durante le grandi proteste antigovernative, Machado è accusata di istigazione alla violenza e privata del suo seggio parlamentare. Da allora vive sotto una pressione costante: divieti di viaggio, controlli, intimidazioni. Racconta di non poter lasciare il Venezuela da oltre dieci anni, di non poter utilizzare voli interni e di subire blocchi stradali e sequestri ogni volta che prova a spostarsi per incontrare i suoi sostenitori.
Nonostante questo, nel 2012 fonda Vente Venezuela, partito liberale e di centrodestra che si pone come alternativa radicale al chavismo e agli stessi compromessi di una parte dell’opposizione. La sua posizione è intransigente: niente negoziati con Maduro, ma solo una transizione netta verso la democrazia.
Le persecuzioni più recenti
Negli ultimi anni Machado è diventata il volto più riconoscibile della coalizione antichavista. Nel 2023 viene squalificata dalla Contraloría General, organo di controllo venezuelano, che le vieta di candidarsi a qualsiasi carica pubblica per 15 anni. La mossa del regime arriva in un momento in cui i sondaggi la davano favorita alle primarie dell’opposizione in vista delle presidenziali del 2024.
Nonostante il divieto, Machado continua a guidare Vente Venezuela e a raccogliere consenso.
“Maduro teme le donne”
La sua linea è chiara e diretta: «Maduro ha paura delle donne, perché siamo disposte a dare tutto per i nostri figli. Qui il sistema ha espulso quasi il 30% della popolazione. Non voglio più che la gente se ne vada, voglio che torni a ricostruire il Venezuela».
Una frase che sintetizza non solo la sua visione politica, ma anche la radice umana della sua battaglia: fermare l’esodo e restituire speranza a un Paese svuotato.
La polemica con Trump
Alla cerimonia non è mancato il riferimento a Donald Trump. L’ex presidente Usa aveva spesso rivendicato il Nobel come riconoscimento al proprio ruolo internazionale, arrivando a definire «un insulto agli Stati Uniti» la sua mancata assegnazione.
La replica del Comitato norvegese è stata netta: «Decidiamo nel nome del coraggio e dell’integrità». Una risposta che ha chiuso ogni discussione, marcando la differenza tra il desiderio di un leader globale e il sacrificio quotidiano di chi lotta senza protezione internazionale.
Una vita sotto assedio
La sua biografia è segnata da continui episodi di repressione: hotel multati per averla ospitata, eventi politici vietati, collaboratori arrestati. «Era diventata una caccia feroce», ha raccontato in più interviste. Ma questo non l’ha mai fermata.
Il suo obiettivo dichiarato resta quello di fermare l’esodo che ha svuotato il Paese: quasi il 30% della popolazione ha lasciato il Venezuela negli ultimi anni, rendendo la diaspora venezuelana una delle più grandi del mondo.
Un Nobel che è un messaggio
Con l’assegnazione del Nobel a Machado, il Comitato norvegese non premia soltanto una leader politica, ma lancia un messaggio chiaro: la comunità internazionale riconosce la resistenza democratica venezuelana e la mette sullo stesso piano delle grandi lotte civili della storia recente.
Il premio si aggiunge a una galleria che negli ultimi anni ha visto protagonisti l’attivista iraniana Narges Mohammadi(2023) e l’organizzazione dei sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki Nihon Hidankyo (2024). Oggi quella lista accoglie la donna che, più di ogni altra, ha incarnato la sfida al chavismo.