«Non ci arrenderemo», il no di Khamenei al diktat di Trump

  • Postato il 19 giugno 2025
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«Non ci arrenderemo», il no di Khamenei al diktat di Trump

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Il presidente americano insiste sulla «resa incondizionata», il no di Khamenei al diktat di Trump. Teheran: «Un guerrafondaio aggrappato all’irrilevanza». Il discorso della Guida suprema agli iraniani.


Questa nazione non si arrenderà mai sotto la pressione di nessuno», Con queste parole di netto rifiuto la Guida suprema della Repubblica Islamica dell’Iran, Ali Khamenei, ha risposto alle dure dichiarazioni del Presidente americano. Donald Trump, che lunedì sera aveva paventato la possibilità che gli Stati Uniti si unissero alla campagna di bombardamenti israeliana, intimando all’Iran di arrendersi senza condizioni.

«La nazione iraniana si oppone fermamente a una guerra imposta, cosi pome si opporrà fermamente a una pace imposta», ha continuato Khamenei, «le persone assennate che conoscono l’Iran, la nazione iraniana e la sua storia non parleranno mai il linguaggio delle minacce a questa nazione, perché la nazione iraniana non può arrendersi e gli americani dovrebbero sapere che qualsiasi intervento militare degli Stati Uniti porterà senza dubbio danni irreparabili per loro». Un evidente riferimento alla chiusura dello stretto di Hormuz, dove passa più del 20% del petrolio mondiale, oltre che al bombardamento delle numerose basi americane nella regione mediorientale. Nel concludere il suo discorso, Khamenei non ha esitato a far balenare la prospettiva di un conflitto: «La guerra sarà affrontata con la guerra, il bombardamento con il bombardamento, l’attacco con l’attacco; l’Iran non si sottometterà a nessuna richiesta o imposizione».

KHAMENEI, LA RISPOSTA DI TRUMP E IL SOSTEGNO A ISRAELE

Qualche ora dopo è stato il turno del Presidente americano Donald Trump, che ha risposto al messaggio di Khamenei con un beffardo «buona fortuna». Il tycoon ha quindi ascoltato le domande dei giornalisti nel giardino della Casa Bianca, dove ha dichiarato, nel suo consueto stile on divago, che l’entrata degli Stati Uniti nella campagna di bombardamenti contro l’Iran non è certa, «potrei farlo, potrei non farlo, nessuno sa cosa farò». Ciò che è certo è il pieno sostegno americano all’attacco di Tel Aviv all’Iran: «Ho detto a Netanyahu di continuare». E mentre il mondo rimane con il fiato sospeso per l’ennesimo conflitto, Trump ha voluto comunque lasciare uno spiraglio alla diplomazia: «Posso dirvi questo, l’Iran è in guai seri, e vuole negoziare. Potremmo incontrarci, non lo so c’è una grossa differenza tra adesso e una settimana fa. Hanno perfino suggerito di venire alla Casa Bianca».

Alla domanda su cosa intendesse con resa incondizionata il presidente americano ha detto: «Due parole molto semplici, significa dire che “ho chiuso, mi arrendo”, e poi andiamo a distruggere tutto il materiale nucleare che hanno sparso ovunque». Trump ha quindi reiterato che l’Iran non può avere la bomba atomica, nonostante la direttrice l’intelligence nazionale, Tulsi Gabbard, avesse testimoniato lo scorso 26 marzo che l’Iran non stesse costruendo una bomba atomica, fatto confermato ieri anche dal capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Rafael Grossi, che ha dichiarato alla Cnn come la sua agenzia «non abbia osservato prove che indichino un movimento strutturato verso la produzione di arma-menti nucleari».

LA REPLICA IRANIANA ALLE NAZIONI UNITE E LE SPECULAZIONI DIPLOMATICHE

Pochi minuti dopo questa uscita del Presidente americano, l’account ufficiale su X della missione iraniana alle Nazioni Unite ha risposto a Trump: «Nessun funzionario iraniano ha mai chiesto di strisciare ai cancelli della Casa Bianca. L’unica cosa più spregevole delle sue bugie [di Trump] è la sua vile minaccia di “eliminare” la Guida Suprema. L’Iran NON negozia sotto costrizione, NON accetterà la pace sotto costrizione e apertamente NON con guerrafondaie che ha fatto il suo tempo e si aggrappa alla sua rilevanza. L’Iran risponderà a qualsiasi minaccia con una contro minaccia e a qualsiasi azione con misure di reciprocità».

Qualche ora dopo, però, tre aerei governativi iraniani erano stati avvistati dirigersi verso l’Oman (il Paese che funge da mediatore tra Iran e Usa) sulla piattaforma di monitoraggio Flightradar24, provocando speculazioni sulla possibile ripresa dei negoziati con gli Stati Uniti. Tuttavia, è arrivata lesta la smentita iraniana. A darla è stata il ministro degli Esteri Abbas Araghchi, che ha dichiarato ad Al-Jazeera come «nessun team negoziale sia stato mandato in Oman». Forse l’Iran ha mandato gli aerei governativi in un Paese sicuro per evitare la loro distruzione, mossa fatta anche dalle compagnie aeree di bandiera israeliana, che hanno evacuato i loro velivoli a Cipro.

IL NO DI KHAMENEI, IL RIFIUTO DI TRUMP ALLA MEDIAZIONE RUSSA E CONTINUO DEL CONFLITTO

A proposito di mediatori, a qual che giorno dalla proposta del presidente russo Vladimir Putin di mediare fra Israele e Iran, ieri Trump ha infine chiuso la porta a questa prospettiva a cui lui stesso inizialmente aveva dato grande credito: «C’è stata questa richiesta, gli ho detto “Vladimir, poniamo fine prima al tuo conflitto, possiamo occuparci di questo dopo”». Nel frattempo velivoli militari dell’aeronautica militare hanno continuato anche ieri ad affluire verso il Medio Oriente, mentre la Cnn ha annunciato che una terza portaerei, la USS Gerald Ford, verrà presto dispiegata nell’area, del Mediterraneo orientale. Il tutto mentre l’ambasciatore americano in Israele ha annunciato che l’ambasciata sta organizzando l’evacuazione dei cittadini statunitensi via mare e via aerea.

GLI SCONTRI SUL CAMPO E LE CONSEGUENZE DI UN INTERVENTO USA

Sul campo, la guerra fra Israele e Iran è continuata come nei giorni scorsi, con l’aeronautica di Tel Aviv che ha continuato a bombardare con droni e missili cruise varie località nell’Iran occidentale e nella capitale Teheran, e quest’ultima che hai risposto con il lancio di missili balistici in piccole ondate, con lo scopo di esaurire le scorte dei costosi missili interpettori israeliani. I reparti di sicurezza iraniana hanno continuato anche ieri ad arrestare collaboratori del Mossad, in molti casi rivelatisi essere immigrati afghani assoldati per denaro dai servizi segreti di Tel Aviv.

Naturalmente tutto cambierebbe in caso di intervento americano, che verosimilmente prenderebbe di mira il sito di arricchimento dell’uranio di Fordow e gli altri luoghi legati al programma nucleare di Teheran. In tal caso, la logica conseguenza sarebbe il bombardamento delle basi americane nella regione e soprattutto la chiusura dello stretto di Hormuz al traffico delle petroliere, una misura che verrebbe implementata in maniera non dissimile al blocco degli Houthi nel Mar Rosso, con conseguente impennata nei prezzi del petrolio e ripercussioni potenzialmente devastanti per l’economia mondiale.

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