Non siamo mai stati moderni. Ecco come reimmaginare la Vela Celeste di Scampia
- Postato il 4 agosto 2025
- Architettura
- Di Artribune
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“Non siamo mai stati moderni”, afferma il filosofo francese Bruno Latour, che ha dedicato a questo concetto il titolo di un saggio che riassume in una battuta la rilevanza (per non dire la modernità) del suo pensiero. Anche Manfredo Tafuri in un testo del 1973, Progetto e utopia, diversi decenni prima aveva espresso il sospetto che quella tanto decantata razionalità del pensiero occidentale avesse lasciato irrisolte molte criticità. Nel secondo dopoguerra, sorgono in diversi Paesi europei delle megastrutture di architettura sociale, delle vere e proprie utopie moderniste, metafora della città ideale. In Italia sono da ricordare in particolare due: il Corviale, la casa lunga un chilometro, realizzato a Sud-Est di Roma per 8.500 abitanti tra il 1972 e il 1982 da un gruppo diretto dall’architetto Mario Fiorentino; e le Vele di Scampia di Franz Salvo, sette mega-edifici a forma triangolare, “a vela”, alti quattordici piani al “punto di penna”, ricostruiti tra il 1962 e il 1975 nella desolante periferia di Secondigliano a nord di Napoli, inizialmente per 6.500 abitanti.
La storia del Corviale a Roma
Se il Corviale si è salvato dalla demolizione grazie all’attivismo di ONG, collettivi di artisti/architetti quali gli Stalker e un piano verde con l’ambizione di diventare una “grande eterotopia urbana”, le Vele, hanno incontrato un diverso destino. Dopo gli abbattimenti del 1997, del 2000, del 2003 e del 2020 e del 2025 tuttora in corso, il crollo del ballatoio della Vela Celeste e la tragica morte di due persone nel luglio del 2024 hanno segnato la fine delle Vele come housing sociale.
Quest’anno alla 19esima Biennale d’Architettura, la Carlo Ratti Associati insieme al Comune di Napoli hanno presentato un laboratorio di design partecipato per mettere a fuoco un progetto di riuso innovativo, non residenziale, della Vela Celeste, l’unica destinata alla riqualificazione. Si tratta di un progetto teso a rivedere quella esperienza modernista alla luce di nuove possibili soluzioni tra demolizione e conservazione, i due poli di una discordia che dura da decenni.
È indubbio che la visione eroica dell’architettura moderna conserva tuttora qualcosa del suo fascino iconico, ma è altrettanto vero che nel confronto inevitabile con la vita, con popolazioni in sofferenza, isolate dal resto della città, l’assenza di servizi, la scarsa manutenzione, il sogno finisce in frantumi un po’ ovunque.

Il riuso creativo secondo Carlo Ratti
Non solo, ma il clamore mediatico guadagnato con il film Gomorra, dal reportage/romanzo sulla Camorra di Roberto Saviano, girato in parte alle Vele, co-scritto e diretto da Matteo Garrone nel 2008, ha definitivamente marchiato le Vele come il luogo della distopia. Quando un’architettura eroica, da metafora della polis idealizzata si trasforma in distopia assoluta, qualche domanda bisogna porsela. E poiché gli architetti non sono poeti, un ballatoio all’interno di una megastruttura a molti metri di distanza da terra immaginato come metafora dei vicoli di Napoli non è una metafora adeguata, ma rappresenta un tragico fraintendimento retorico, perché il cemento non è arte come può esserlo il cinema di Garrone; ha una durata limitata, necessita di manutenzione e può diventare una terribile trappola per i vivi.
Scampia, Gomorra e l’innovazione sociale
Il progetto Restart Scampia lanciato nel 2019 dal Comune di Napoli all’interno del quale si inserisce il laboratorio sperimentale del CRA, prevede oltre la riqualificazione della Vela Celeste, la costruzione di 433 nuovi alloggi autosufficienti dal punto di vista energetico, spazi destinati all’agricoltura urbana, un parco di quartiere, completo di fattoria con finalità ludiche e didattiche, un mercato di prossimità, un asilo nido e altre funzioni civiche. L’obiettivo è di “migliorare non solo l’aspetto fisico del quartiere, ma anche garantire agli abitanti una casa dignitosa e un ambiente più vivibile”.
Le sfide, a partire dalla Biennale di Venezia
La sfida che Carlo Ratti porta alla Biennale oggi è sicuramente affascinante, deve molto alle ricerche multidisciplinari alla Senseable City Lab del MIT che egli stesso ha fondato nel 2004; alla centralità della traduzione dei dati in immagini anche attraverso il coinvolgimento degli abitanti quali co-autori, le mappature digitali e soprattutto lo sguardo volto al futuro. Ma nel caso della Vela Celeste che rimane ancorata alla sua fitta periferia tra Scampia, Secondigliano e Casavatore, dobbiamo augurarci che la riqualificazione come centro culturale, luogo della memoria, sede degli uffici della città metropolitana, si fondi su un’economia vera, investimenti, scelte politiche lungimiranti e un’autentica apertura in grado di assicurare finalmente un riscatto e una reale prospettiva agli abitanti di quei luoghi.
Anna Detheridge
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L’articolo "Non siamo mai stati moderni. Ecco come reimmaginare la Vela Celeste di Scampia" è apparso per la prima volta su Artribune®.