Non una catastrofe umanitaria ma una catena in Africa, peggio di Gaza, nella indifferenza generale
- Postato il 12 ottobre 2025
- Agenzie
- Di Blitz
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Non una catastrofe umanitaria, ma una catena di catastrofi umanitarie tormenta l’Africa orientale nella indifferenza generale. Solo Papa Leone alza la voce e invoca la pace, ma nessuno gli dà retta.
Eppure quel che succede in questa parte del mondo da un quarto di secolo è ben più grave dei pur gravi avvenimenti di Gaza. Ed è anche una delle origini dei movimenti migratori che affliggono l’Italia.
Petrolio, minerali preziosi terre rare fanno da sfondo a un epico quanto tragico scontro fra le potenze mondiali, con la Cina ultimo protagonista nel confronto che una volta opponeva l’Occidente all’Unione Sovietica.
L’allarme più recente è quello che viene dalla Somalia, già colonia italiana. Scrive Arab News.
Milioni di persone in Somalia rischiano di aggravare la fame a causa dei tagli ingenti agli aiuti dei donatori che lasciano il Programma Alimentare Mondiale con un deficit di finanziamenti critico, ha avvertito venerdì l’agenzia delle Nazioni Unite.
Secondo le Nazioni Unite, il paese del Corno d’Africa è tra i più vulnerabili ai cambiamenti climatici e negli ultimi cinque anni ha subito la peggiore siccità degli ultimi quarant’anni e inondazioni che si verificano una volta in un secolo.
A novembre, 750.000 persone – oltre due terzi del numero attuale – saranno escluse dal programma alimentare di emergenza del WFP. Ciò potrebbe “trascinare le persone più colpite in condizioni catastrofiche”, ha affermato l’agenzia.
“Stiamo assistendo a un pericoloso aumento dei livelli di fame di emergenza e la nostra capacità di risposta si riduce di giorno in giorno”, ha dichiarato Ross Smith, direttore della preparazione e della risposta alle emergenze del WFP, in una nota.
Una catastrofe in Somalia

Il WFP guida la più grande operazione umanitaria in Somalia e supporta oltre il 90% della risposta alla sicurezza alimentare del paese.
“L’attuale livello di risposta è ben al di sotto di quanto necessario per soddisfare i crescenti bisogni”, ha affermato Smith.
I dati governativi pubblicati ad agosto mostrano che 4,4 milioni di persone stanno affrontando una grave insicurezza alimentare nel paese devastato dal conflitto.
Con circa 1,7 milioni di bambini sotto i cinque anni già gravemente malnutriti – di cui 466.000 in condizioni critiche – il WFP ha affermato che solo 180.000 stanno attualmente ricevendo il trattamento nutrizionale, un numero che potrebbe scendere ulteriormente.
I tagli agli aiuti esteri da parte degli Stati Uniti e di altri paesi occidentali quest’anno hanno aggravato i problemi di finanziamento in molti paesi in via di sviluppo?
Il quadro si presenta ancora più fosco in Congo, dove Goma è l’epicentro di una crisi umanitaria che non trova soluzione
Milioni di persone vivono in condizioni estreme nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Servizi essenziali al limite, intere famiglie senza sostegno. La popolazione resiste tra fame, sfollamenti e violenze, scrive Sara Costantini su Vatican News.
«Non sappiamo a chi rivolgere le nostre preghiere. Nessuno sa cosa succederà, o se ci sarà una fine vicina». Le parole di Depolin Wabo, operatore umanitario congolese del Volontariato internazionale per lo sviluppo (Vis), arrivano da Goma, nel cuore del Nord Kivu. Una terra, dove lo sconforto si è fatto quotidianità e la speranza, ormai, è un bene raro.
La provincia del Nord Kivu, con il capoluogo Goma come centro nevralgico, è l’epicentro di una crisi che non si ferma. Secondo gli ultimi dati, più di 21,2 milioni di persone nel Paese necessitano di assistenza umanitaria. Di queste, 7 milioni sono sfollate interne.
Numeri che raccontano di una tragedia continua, alimentata da decenni di instabilità, ora aggravata dalla nuova ondata di violenze portate avanti, in particolare, dal gruppo armato M23 che tra gennaio e febbraio di quest’anno ha occupato ampie parti del territorio del Nord e del Sud Kivu inclusi i capoluoghi Goma e Bukavu. La pace mediata dagli Stati Uniti non sembra in grado di portare un sollievo effettivo alla popolazione martoriata.
In Sudanuna tragedia che dura da anni
Peggio mi sento in Sudan dopo due anni e mezzo di guerra che ha ucciso decine di migliaia di persone, ne ha sfollate 13 milioni e ha innescato la peggiore crisi umanitaria al mondo, senza alcun segno di pace. Il 15 aprile 2023 sono scoppiati i combattimenti tra l’esercito regolare, guidato da Abdel Fattah Al-Burhan, e le Forze paramilitari di Supporto Rapido, guidate dal suo ex vice Mohamed Hamdan Dagalo.
Khartoum è diventata rapidamente un campo di battaglia. Cadaveri allineati lungo le strade. Centinaia di migliaia di persone sono fuggite. Chi è rimasto indietro ha lottato per sopravvivere.
Due anni di guerra per il potere tra esercito e milizie paramilitari hanno trasformato il Sudan nel teatro della più grave crisi umanitaria degli ultimi decenni. E la comunità internazionale resta a guardare, lamenta Giulio Di Donato su Dinamopress.
I media occidentali tendono infatti a trascurare il coinvolgimento delle multinazionali nell’estrazione di petrolio e minerali, che alimentano le tensioni locali e contribuiscono alla violenza, preferendo concentrarsi su immagini di grande impatto mediatico che, esulate dal loro contesto geopolitico, rafforzano il cliché dell’incapacità dell’”uomo africano”, e deviando al contempo l’attenzione dagl’interessi che le potenze straniere traggono dall’instabilità del paese.
Questo sbilanciamento della copertura mediatica è reso ancora più evidente se considerato in rapporto ad altri contesti bellici di ben più elevata risonanza, non ultimo quelli in corso in Ucraina e nella striscia di Gaza.
Attualmente, il Sudan conta circa 50 milioni di abitanti ed è uno dei Paesi più poveri al mondo, con un reddito pro capite lordo inferiore ai 1000 euro l’anno, una mortalità infantile che sotto i cinque anni si aggira a 50,1 per 1.000 nati vivi e un’aspettativa di vita che per gli uomini non arriva ai 60 anni. Il Sudan rappresenta inoltre uno dei principali luoghi di partenza dei flussi migratori che dall’Africa subsahariana giungono in Libia e da qui alle coste europee del Mediterraneo.
Il Sudan continua a sanguinare. E lo fa con un filo di voce. In un recente comunicato a margine del secondo anniversario del conflitto civile che da oltre due anni infiamma il Paese, Antònio Guterres, segretario delle Nazioni Unite, ha dichiarato che «la crisi in Sudan ha raggiunto proporzioni sconcertanti, con quasi 12 milioni di persone costrette a fuggire dalle loro case. Di queste, più di 3,8 milioni hanno attraversato i Paesi vicini, mentre metà della popolazione – circa 25 milioni di persone – soffre la fame».
Stando invece all’ultimo rapporto UNICEF, il numero di bambini e bambine che hanno bisogno di assistenza umanitaria è raddoppiato, passando dai 7,8 milioni dell’inizio del 2023 agli oltre 15 milioni di oggi. Inoltre, «17 milioni di loro non vanno a scuola da due anni, mentre le ragazze corrono gravi rischi, tra cui la violenza sessuale, la tratta e il matrimonio forzato, con un totale di oltre 12 milioni di persone a rischio per violenza di genere».
Sono numeri impressionanti, che fanno del Sudan il teatro della più grave crisi umanitarie della storia recente, ma che sono solo la lunga coda di un conflitto che da oltre cinquant’anni ha visto il Paese lacerarsi sotto una catena ininterrotta di guerre tribali, conflitti etnici e colpi di stato.
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