O scioperi per Gaza o scrivi per Gaza

  • Postato il 4 ottobre 2025
  • Politica
  • Di Libero Quotidiano
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O scioperi per Gaza o scrivi per Gaza

A proposito della credibilità residua del giornalismo italiano. È raro, ma succede, che un colonnino firmato dal comitato di redazione, o un comunicato sindacale, spieghi più cose di un saggio sull’omologazione dei media e dei cervelli di chi ci lavora. Ieri è stato uno di quei giorni, trascorso all’insegna della mobilitazione collettiva. Tutti a fare qualcosa d’importante, di unico e di grande: chi occupa stazioni, autostrade e università e chi ne racconta le gesta. C’è un tormento dietro: quello di chi avrebbe voluto scioperare e scendere in piazza con Elly Schlein, Maurizio Landini e gli altri. Però fa il giornalista, che non è un mestiere politicamente neutrale, ma è parte della missione, e per di più sa che quello sciopero proclamato così, senza preavviso, puzza d’illegalità. Allora si lavora, ma lo si fa con la kefiah indosso: stavolta dichiaratamente, a differenza del solito. Il giornalismo come continuazione della protesta anti-israeliana con altri mezzi. Lo spiega la Fnsi, il «sindacato unitario» della stampa, nella nota in cui istruisce le redazioni. Annuncia di non aderire allo sciopero generale, ma solo «per consentire a tutti i giornalisti di poter informare i cittadini e tenere acceso un faro su ciò che sta accadendo oggi a Gaza, in Israele, e anche in Italia».

La Fnsi, infatti, «è solidale con i componenti di Global Sumud Flotilla». Peraltro, vista «la situazione che investe la sfera emotiva dei singoli», i cdr che vogliono aderire allo sciopero «per assicurare copertura sindacale ai singoli colleghi» sono autorizzati a farlo. In breve: o aderisci allo sciopero per Gaza, come scelgono di fare al Tg3, o lavori per la causa di Gaza. Il resto pare uno di quei b-movie di fantascienza nei quali l’“Unimente”, il grande cervello collettivo, toglie agli individui la fatica di pensarla diversamente dagli altri. Comunicato del Cdr di Repubblica, il quotidiano della famiglia Elkann: «Come giornaliste e giornalisti saremo impegnati a raccontare con passione e cura sia le proteste che l’evoluzione dell’azione pacifica e nonviolenta della Global Sumud Flotilla. (...) Molti di noi, allo stesso tempo, saranno in piazza come cittadine e cittadini. (...) Ribadiamo sostegno e vicinanza alle mobilitazioni: rappresentano una risposta civile e un comune sentimento». Il cdr della Stampa (stessa proprietà) conferma l’esigenza di lavorare ed «esprime la sua solidarietà agli equipaggi della Global Sumud Flotilla e al popolo palestinese». La comunicazione del cdr del Corriere della Sera viaggia su una mail a uso interno, finita subito sui social network grazie alle solite manine invisibili. Anche lì, il comitato «esprime il proprio sostegno alla mobilitazione in favore della popolazione palestinese ed esprime la propria solidarietà ai componenti della Global Sumud Flotilla».

La scelta di lavorare «è dovuta alla necessità di dare visibilità alle manifestazioni in corso, nate dal basso e senza precedenti nella storia recente». Stesse parole del Manifesto, dove però la partigianeria è nel dna della testata e non può stupire: «Spegnere per un giorno la nostra voce, non lavorare anche noi oggi in solidarietà con Gaza e la Global Sumud Flotilla, vorrebbe dire silenziare proprio la causa che vogliamo sostenere». Devolveranno la paga quotidiana alla causa palestinese. Come i loro colleghi del Fatto, che lavorano, ma «sostengono la mobilitazione per Gaza e lo sciopero del 3 ottobre». Sceglie di lavorare per «raccontare la mobilitazione in corso» anche la redazione del Domani, il giornale di Carlo De Benedetti, e anch’essa assicura di condividere «pienamente il senso di indignazione per le violazioni del diritto internazionale commesse dal governo israeliano e da chine è complice». Resta la domanda: che credibilità possono avere, nel raccontare il conflitto tra Israele e Hamas, la missione della Flotilla e le proteste filo-palestinesi, intere redazioni che lavorano solo perché promettono di mettere la propria professionalità al servizio della militanza collettiva?

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Libero Quotidiano

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