Oltre la grinta, servono impronta di gioco e continuità: la sfida di Tudor tra le difficoltà della Juventus

  • Postato il 18 agosto 2025
  • Calcio
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Da quando allena la Juventus ha perso “solo3 partite (tra campionato e Mondiale per club). Ma non basta. Perché, oggi, la vera sfida di Tudor in bianconero è un’altra: dimostrare di poter allenare – e saper gestire – un grande club. Non subentrando a stagione in corso (come accaduto spesso), ma facendolo dall’inizio grazie alla riconferma fino al 2027 (con opzione fino al 2028). Dando un’impronta di gioco chiara, riconoscibile e garantendo una continuità di risultati a una squadra (e una società) ancora in fase di costruzione che, piano piano, si sta liberando dai problemi accumulati dopo l’ultima disastrosa annata.

Solo la grinta non basta

L’ennesima pezza o il vero allenatore da cui ripartire? Per la prima volta in carriera, Tudor potrà giocarsi le sue chance da allenatore – in una grande squadra – dalla prima giornata. Una stagione completa in cui poter lavorare e costruire una filosofia di gioco. Con giocatori adatti e funzionali: come già dimostrato negli ultimi mesi, tutto parte dalla difesa a 3. Poi, spazio a un centrocampo a 4 (con la coppia LocatelliThuram che sarà ipoteticamente quella più utilizzata) e una fase offensiva ricca di talento. Due trequartisti a supporto di un’unica punta. Ma occhio anche al 4-2-3-1, possibile piano B per cercare maggiore imprevidibilità. Calcio verticale, veloce ma equilibrato: tre attitudini che devono diventare necessariamente il manifesto dell’allenatore croato. In allenamento e in campionato. Un posizionamento in Champions è l’obiettivo minimo, ma in casa Juventus non è concesso accontentarsi. E la poca pazienza (come accaduto negli ultimi anni) può portare a rivoluzioni continue. La sfida di Tudor sarà proprio questa: abbinare alla grinta e al carattere, un’identità seria e vincente.

Questione di motivazioni

Appartenenza e gerarchie ben definite: “Mi sento nel posto giusto e sono felice”, aveva detto nei suoi primi mesi in bianconero da nuovo allenatore. “Cosa rende la Juventus un club speciale? La cultura del lavoro, si rispetta la gerarchia, c’è tanta voglia di sacrificio quotidiano e di resilienza. Qui si è vinto tanto grazie soprattutto alla mentalità“. Questione di motivazioni: “Sento di essere al posto giusto. Quando me lo chiedono io rispondo così, che mi sento bene, motivato, voglioso, circondato da persone di qualità, che mi vogliono anche bene, che vogliono cercare di fare il meglio. Mi sento orgoglioso”.

Una Juventus ancora (troppo) embrionale

Un confronto attraverso ostacoli. E nelle problematiche, come quelle lasciate dalla vecchia dirigenza dopo il dispendioso mercato della stagione precedenti. Molti si sono rivelati dei veri e propri flop (soprattutto per il costo del cartellino), altri sono considerati solo degli esuberi e alcuni di loro sono inadatti per la Serie A. E poi, c’è un ambiente da riaccendere, senza illusioni o parole profetiche. Ma con il lavoro e la concretezza sul campo. Scelto inizialmente come tappabuchi dopo il flop Motta, Tudor può iniziare davvero a lavorare. Una sfida (anche personale) nelle difficoltà di una società che sta ritrovando credibilità e competitività. Per dimostrare di poter valere una grande squadra, tutto (o quasi) passerà dal campo.

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Il Fatto Quotidiano

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