Omicidi in Emilia, nuovo ergastolo al boss Grande Aracri

  • Postato il 22 ottobre 2025
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Omicidi in Emilia, nuovo ergastolo al boss Grande Aracri

Nicolino Grande Aracri

Nel processo d’appello bis per gli omicidi in Emilia tre condanne all’ergastolo, di cui una per il boss Grande Aracri, e una a 18 anni


CUTRO – Tre condanne all’ergastolo, una delle quali nei confronti del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, e una a 18 anni di reclusione. Questa la decisione della Corte d’assise d’appello di Bologna nel processo per due delitti di ‘ndrangheta compiuti nel 1992 in Emilia, vittime Nicola Vasapollo e Giuseppe Ruggiero. Si tratta del processo d’appello bis innescato dall’annullamento con rinvio disposto dalla Cassazione che aveva demolito la precedente sentenza. L’accusa, rappresentata anche in appello dalla pm Beatrice Ronchi, chiedeva l’ergastolo, oltre che per il boss Nicolino Grande Aracri, anche per Antonio Lerose, Antonio Ciampà e Angelo Greco, i primi tre di Cutro, il quarto di San Mauro Marchesato. La Corte ha condannato il solo Lerose a 18 anni e gli altri all’ergastolo.

FINTI CARABINIERI

Grande Aracri era già stato condannato in via definitiva all’ergastolo come mandante dell’uccisione di Ruggiero, freddato il 22 ottobre ‘92 da un commando di finti carabinieri a Brescello. Ma doveva ancora difendersi dall’accusa di aver svolto un ruolo anche nell’omicidio di Vasapollo, assassinato il 21 settembre ’92 a Pieve a Reggio, mentre apriva la porta di casa sua a qualcuno che conosceva. Ciampà era accusato di essere il mandante di entrambi i delitti, mentre Greco e Lerose sono imputati per l’omicidio Ruggiero.

LA CASSAZIONE

La Corte di Cassazione aveva demolito la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Bologna che aveva inflitto l’ergastolo a tutti per entrambi i delitti. Una sentenza che aderiva a quella del primo grado di giudizio. Il processo scaturisce dall’inchiesta che portò all’operazione Aemilia ’92. Il filone dei fatti di sangue della più vasta inchiesta Aemilia, sfociata nel più grande processo mai celebrato contro le mafie al Nord. Nicolino Sarcone, il capo della filiale reggiana del clan stando alla sentenza Aemilia, ha già confessato i due omicidi nel procedimento col rito abbreviato ed è stato condannato a 30 anni.

L’INCHIESTA

 L’inchiesta prese il via dalle rivelazioni del pentito Antonio Valerio. A cominciare dal racconto della partenza del commando dalla Calabria per l’Emilia, e da quello sulle divise da carabinieri portate al nord da Sarcone durante un viaggio in treno con la fidanzata dell’epoca. Un racconto che riattualizzava la versione del pentito Salvatore Cortese. I due racconti si incrociavano e per questo Cortese venne risentito dalla Dda di Bologna e confermò che a deliberare le uccisioni, compiute a distanza di un mese l’uno dall’altro, sarebbero stati Antonio Ciampà e suo zio Gino.

IL MOVENTE

Ma, soprattutto, Cortese raccontò nel dettaglio la fase preparatoria dell’agguato eclatante. Sapeva molto, essendo lui lo specialista del clan in auto taroccate. In aula ha poi confermato che i Ciampà finanziarono l’azione mettendo a disposizione del gruppo di fuoco una somma di 25 milioni di lire e che a organizzare il delitto fu Grande Aracri. Il movente? Una vendetta per l’uccisione, avvenuta il 13 agosto di quell’annus horribilis a Cutro, di Paolino Lagrotteria, vicino ai Ciampà. Riapertasi l’istruttoria dibattimentale, nel processo d’appello bis sono stati risentiti anche i pentiti Salvatore Muto e Giuseppe Liperoti.

OMICIDIO VASAPOLLO

I coimputati di Grande Aracri e Ciampà sono stati condannati in via definitiva per il delitto Vasapollo in distinti tronconi processuali. Parliamo di Nicolino Sarcone, Raffaele Dragone e Domenico Lucente. Grande Aracri e Ciampà erano imputati quali mandanti, con Dragone e Lucente, per aver preparato l’agguato reperendo un’auto rubata e individuando una base logistica a Carpi per nascondere le armi. Nicolino Sarcone, insieme a un altro killer, introdottisi nell’abitazione della vittima che conoscendoli li avrebbe fatti entrare, avrebbero aperto il fuoco con due pistole.

OMICIDIO RUGGIERO

Nicolino Grande Aracri era ormai uscito di scena, con una condanna definitiva, dal processo per l’omicidio Ruggiero. In diversi tronconi processuali sono stati condannati anche Sarcone, Dragone e Lucente. Restavano in piedi le accuse Ciampà, Greco e Lerose. Ciampà avrebbe finanziato l’azione. Grande Aracri, Greco, Le Rose e Valerio avrebbero reperito le auto rubate – Fiat “Uno” e Fiat “Tipo” – mascherate con lampeggianti e scritte dei carabinieri. Nel capannone di Carpi sarebbero state fatte le operazioni di camuffamento.

LEGGI ANCHE: ‘Ndrangheta: omicidi in Emilia, ergastoli per Nicolino Grande Aracri e i complici – Il Quotidiano del Sud

IL CAMUFFAMENTO

Sarcone avrebbe procurato le divise dei carabinieri (tre). Il commando sarebbe stato composto da quattro auto. In una, con alla guida Valerio, erano a bordo anche Greco e Le Rose che, secondo l’accusa, suonarono a casa della vittima e avrebbero fatto fuoco con due pistole. In altre due auto sarebbero stati Raffaele Dragone e Salvatore Cortese incaricati di recuperare i sicari. Grande Aracri attese i killer con un’auto Bmw per aiutarli nella fuga dirigendosi verso l’Autostrada del sole.

GUERRA DI ‘NDRANGHETA

A tutti era contestata l’aggravante mafiosa poiché i delitti sarebbero stati compiuti nell’ambito di una guerra di ‘ndrangheta per affermare il controllo sul territorio emiliano da parte del gruppo Dragone-Ciampà-Grande Aracri-Arena contrapposto ai Vasapollo-Ruggiero. Confermata anche la condanna al risarcimento nei confronti del Comune di Brescello e dell’associazione Libera, costituiti parte civile.

Gli avvocati Salvatore Staiano e Luigi Antonio Comberiati (per Greco), Luigi Colacino (per Ciampà), Luca Fabbri e Filippo Giunchedi (per Grande Aracri) e Milena Miceli (per Lerose)  hanno avuto a disposizione diverse udienze per tentare di smontare le accuse.

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