Omicidio del segretario della Dc di Palermo Michele Reina: le nuove indagini ripartono da un’impronta

  • Postato il 11 giugno 2025
  • Mafie
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Al centro della riapertura delle indagini sull’omicidio dell’ex segretario provinciale della Dc Michele Reina – assassinato a Palermo il 9 marzo del 1979 – c’è un’impronta. Era stata trovata all’interno della Fiat Ritmo usata dai killer per fuggire dopo il delitto da via Principe di Paternò. Così, 46 anni dopo, l’inchiesta su un altro delitto eccellente viene riaperta. La Procura di Palermo, adesso, sta cercando di accertare se da quell’impronta sia possibile isolare materiale da cui estrapolare il Dna.

La traccia, che è integra, in passato era stata confrontata con quelle di diversi appartenenti a Cosa nostra, ma senza successo. Come si legge nell’ordinanza sentenza del 9 giugno 1991: “Sono stati eseguiti, pure con esito negativo, accertamenti dattiloscopici in ordine ad un frammento di impronta palmare rilevata sullo sportello anteriore sinistro della FIAT Ritmo 60 CL, utilizzata per l’omicidio”. Per l’assassinio di Reina, tra gli autori dell’apertura della Democrazia cristiana al Partito comunista, sono già stati processati e condannati i membri della commissione di Cosa nostra come mandanti del delitto. Gli esecutori materiali non sono, però, mai stati trovati. Oltre agli accertamenti sull’impronta la Procura sta acquisendo video e foto scattate tra la folla dei curiosi accorsi dopo l’agguato per vedere se è possibile individuare la presenza di sicari tornati sul luogo del delitto.

Ripartono da un’impronta anche le indagini su un altro omicidio eccellente riaperto dalla procura del capoluogo: quello dell’ex presidente della Regione, Piersanti Mattarella, ucciso un anno dopo Reina. Anche in questo caso sono stati disposti accertamenti tecnici con le nuove tecnologie disponibili per estrarre il Dna su un’impronta ritrovata 45 anni fa nello sportello lato guidatore della Fiat 127 utilizzata dai sicari per scappare dopo avere assassinato, il 6 gennaio del 1980, il fratello dell’attuale Capo dello Stato. La procura, in questo caso, ha iscritto nel registro degli indagati il nome di Antonino Madonia, figlio di Francesco e appartenente alla famiglia mafiosa di Resuttana. Secondo i pm alla guida dell’auto, usata per allontanarsi da via Libertà, c’era Giuseppe Lucchese, anche lui elemento fidato dei Corleonesi. All’epoca i due avevano 28 e 22 anni. Per accertare eventuali responsabilità potrebbe pertanto essere fondamentale l’impronta ritrovata nello sportello dell’auto. Fu isolata già all’epoca, ma considerata inutilizzabile per potere svelare l’identità di chi l’aveva lasciata sulla carrozzeria. Il vetrino, però, potrebbe avere catturato delle tracce biologiche comparabili con il Dna dei due indagati.

Era stato lo stesso Giovanni Falconein un verbale reso davanti alla commissione Antimafia il 22 giugno del 1990 (e desecratato nel luglio del 2021) – a parlare di “un filo unico che collega i delitti di Reina, Mattarella e La Torre”. Al centro delle nuove indagini ci sono anche i collegamenti, che già Falcone aveva ipotizzato, tra i cosiddetti delitti politici e le possibili convergenze di interessi tra Cosa nostra e eversione nera, unite dal tentativo di impedire il rinnovamento politico della Sicilia. “La tesi esposta nel nostro mandato di cattura, peraltro conforme ai risultati di un’analisi dei documenti da noi forniti all’ufficio dell’Alto commissario, è la seguente: – disse Falcone nel 1990 sentito dall’Antimafia, – sotto il profilo delle risultanze emergenti dalle indagini sul terrorismo nero, le modalità dell’omicidio Mattarella sono sicuramente compatibili; sotto il profilo della compatibilità fra l’omicidio mafioso affidato a personaggi che non avrebbero dovuto avere collegamenti con la mafia, è emersa una realtà interessante e inquietante”.

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Il Fatto Quotidiano

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