Omicidio Nada Cella, il mistero del fermacarte riconsegnato a Soracco e sparito nel nulla

  • Postato il 29 maggio 2025
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nada cella

Genova, Oltre alla contaminazione della scena del crimine, alla pulizia dell’ingresso dalle macchie di sangue da parte di Marisa Bacchioni e alle tecniche di analisi chimiche dei reperti antiquate e molto meno precise di quelle che possono essere realizzate oggi, c’è un altro mistero che riguarda l’omicidio di Nada Cella e riguarda una delle possibili – secondo l’accusa – armi utilizzate per colpire Nada Cella quella mattina del maggio 1996.

Si tratta di un fermacarte in onice a forma di cilindro che faceva parte di uno stock nella stessa lega presente nello studio del commercialista Marco Soracco che comprendeva un posacenere, due portapenne, un fermacarte appunto e il portaombrelli sotto il quale sono state trovate delle tracce di sangue.

Il fermacarte in questione – che secondo l’accusa stava sempre sulla scrivania di Soracco e sarebbe compatibile con alcune delle lesioni inferte alla giovane segretaria – fu trovato dalla scientifica pulito perfettamente e collocato in un armadio. Venne sequestrato, analizzato con le tecniche all’epoca insieme agli altri oggetti (tutti apparentemente puliti a parte appunto il portaombrelli trovato in cucina anziché in ingresso) e fu poi restituito allo stesso Soracco su sua richiesta il 18 settembre 1997.

Ma quando il caso è stato riaperto nel 2021 la polizia su incarico della procura circa un anno dopo è andata a sequestrare nuovamente alcuni oggetti quel fermacarte (così come il portaombrelli e uno dei due portapenne) Soracco ha di non averlo conservato mentre aveva conservato gli altri oggetti in onice. Oggi il commercialista imputato di favoreggiamento non era presente in aula (così come l’imputata di omicidio, Annalucia Cecere, che non è mai venuta al processo) ma in una delle prossime udienze se lo riterrà potrà chiarire il perché si è liberato di quegli oggetti conservandone altri analoghi.

A rilevare quest’assenza di alcuni reperti è stata in aula Daniela Scimmi, biologa del laboratorio di genetica forense della Polizia di Stato che già nel 2011 – quando fu riaperto il caso una prima volta si era occupata della revisione di tutti gli atti e di tutti gli accertamenti e nel 2021 con le nuove indagini che hanno portato all’attuale processo si è occupata personalmente dell’attività di analisi.

Purtroppo, come ha spiegato Scimmi in udienza l’unico Dna “misto” ritrovato nelle nuove indagini non può essere la cosiddetta ‘pistola fumante’ per provare che sia dell’imputata e nemmeno che il secondo Dna ritrovato su un unico reperto sia di una donna: “Riguardo al fatto che sia un misto di due uomini e due donne non ci possiamo esprimere più di tanto – ha chiarito ai cronisti al termine dell’udienza – perché la parte residuale, oltre al profilo genetico che è stato identificato come quello della vittima, è di cattivissima qualità con dei valori che sono ai limiti dell’interpretabilità e spesso addirittura con valori che vengono confusi con il rumore di fondo”. E in ogni caso i profili genetici “sono stati estrapolati da reperti che sono stati toccati da più persone e che non sono contestualizzabili, cioè basti pensare alle operazioni di soccorso della vittima: hanno tagliato gli indumenti, li hanno poggiati perché allora non c’era tutta questa accortezza nel dover mantenere la l’integrità e la non contaminazione dei reperti”.

Occorre infatti ricordare che all’epoca dei fatti sui reperti vennero cercate le impronte e non il sangue con un sistema che crea una sorta di “patina” sugli oggetti perché visto che non c’era ancora la ricerca del Dna erano le impronte la prova regina e quei reperti per diverse ragioni o per l’esiguità del reperto stesso si sono deteriorati rendendoli praticamente inutilizzabili con le nuove indagini.

Il medico legale Ventura: “Accanimento sulla vittima a terra, l’aggressione forze cominciata in ingresso”

Francesco Ventura, oggi direttore dell’istituto di medicina legale di Genova, all’epoca dell’omicidio Nada Cella, era un giovane specializzando che partecipò come osservatore all’autopsia su Nada Cella. Nel 2021 ha ricevuto l’incarico di rivedere tutti i referti e le foto dell’accertamento medico legale. “La causa del decesso – ha spiegato sono gravi lesioni traumatiche e fratture cranio-encefaliche causate da uno o più mezzi contundenti. E stata “la ripetizione dei violenti colpi contundenti a provocare” la morte di Nada. Secondo il medico legale l’assassino/a “si è sporcato vestiti e mani”. E “le lesioni sono molte – ha spiegato Ventura concludendo che “è possibile che la dinamica lesiva inizi in un’altra stanza e si concluda nella stanza della Cella”. E anche lui, come aveva fatto nella scorsa udienza l’ex dirigente della scientifica Cosimo Cavalera ha rilevato alcune lesioni di forma “ovaleggiante”.

Una forma che secondo Ventura può essere compatibile con la pinzatrice “usata tangenzialmente” e che è probabilmente l’arma del delitto che l’assassina/o ha portato via ma secondo l’accusa anche proprio con il fermacarte cilindrico che secondo la pm Gabriella Dotto e l’avvocata di parte civile Sabrina Franzone è stata la prima arma utilizzata da Cecere (come spiegato in questo articolo), in ingresso, poi sfuggita di mano e sostituita con la pinzatrice trovata sulla scrivania di Nada che nel frattempo era andata nella sua stanza a chiedere aiuto.

Autore
Genova24

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