Omicidio Scalamandré, i giudici: “Lo stress accumulato per i maltrattamenti alla madre e l’improvvisa violenza del padre: i due ragazzi furono provocati”

  • Postato il 7 giugno 2025
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Alessio e Simone Scalamandré

Genova. Sono stati provocati dal padre non solo nel momento in cui è entrato in casa violando il divieto di avvicinamento e pretendendo che il figlio maggiore modificasse la denuncia nei suoi confronti, ma con anni di tensioni famigliari e minacce alla madre, tanto che i due fratelli non la volevano più lasciare sola con il marito.

E’ per questa “provocazione da accumulo” che la seconda sezione della Corte d’Assise d’appello di Milano, ha accordato un forte sconto di pena ai due fratelli Scalamandrè mettendo la parola fine (quasi) a un dramma famigliare sfociato in un omicidio e a una vicenda giudiziaria durata 5 anni  con ben 6 sentenze. Dodici anni la pena per Alessio Scalamandré che oggi ha 33 anni e sei anni e due mesi per Simone, il più piccolo che aveva 20 anni quel drammatico pomeriggio del 10 agosto 2020 quando si consumò un delitto “non premeditato” ribadisce la Corte ma una reazione alla violenza del padre contro di lui che ha scatenato la rabbia “accumulata”.

Nei giorni scorsi i giudici milanesi hanno depositato le motivazioni della sentenza. Gli avvocati di Alessio (Luca Rinaldi e Andrea Guido) e di Simone (Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca) che non si sono mai persi d’animo di fronte alle precedenti sentenze (i due fratelli hanno rischiato condanne rispettivamente a 21 e 12 anni di carcere) presenteranno un ricorso in Cassazione, ma sarà solo un ricorso formale, che sarà rigettato nel giro di un paio di mesi.

Un espediente ‘tecnico’ per prendere ancora un po’ di tempo prima che i due ragazzi entrino in carcere. Per Alessio significherà aver scontato nel frattempo 5 anni di domiciliari, quindi considerando gli sconti per buona condotta, un po meno della metà della pena. Per Simone, che non è stato mai destinatario di una misura cautelare, significa rifiatare ancora per l’estate per poi affrontare il periodo di detenzione: il ragazzo ha un impiego e il suo datore di lavoro gli ha assicurato che alla sua uscita il posto di lavoro sarà di nuovo suo. Anche per questo potrebbe dopo non molto accedere al lavoro esterno. Per entrambi comunque il carcere non durerà molto a lungo: affidamento in prova o semilibertà potrebbero essere concessi a entrambi entro un paio d’anni e vista la giovane età potranno poi pensare a ricostruirsi una vita. Una situazione ben diversa da quella che per loro si sarebbe prospettata se fosse stata confermata la precedente sentenza, annullata dalla Cassazione.

“Emergono plurimi precedenti comportamenti ingiusti della vittima che sono stati reiterati sino ai momenti immediatamente antecedenti al delitto” scrivono i giudici che ricordano che “nelle settimane e nei giorni precedenti al fatidico 10 agosto 2020, il Pasquale aveva più volte chiesto un incontro al figlio Alessio, telefonando insistentemente, lasciando plurimi messaggi e presentandosi sotto casa, nonostante il divieto di avvicinamento imposto dal Tribunale”.

Il tutto allo scopo di “chiedere con forza ad Alessio di ritrattare la propria dichiarazione in relazione alla denuncia per maltrattamenti in famiglia ai danni della di lui madre”. Pasquale Scalamandré in un messaggio aveva dato del “vigliacco” al figlio e nel frattempo “si dedicava anche ad una perseverante ricerca della moglie che, non si deve dimenticare, per sfuggire al marito, era stata costretta a cambiare più volte il proprio domicilio segreto, fino ad approdare in una struttura protetta in Sardegna”. I giudici ricordano le minacce alla moglie con la pistola e gli interventi di Alessio per dissuaderlo, “come ha dichiarato la stessa donna: “Alessio era sempre quello che lo disarmava, che lo dissuadeva… Tante volte andava anche diretto dalla cassaforte a prendere la pistola, e c’era sempre a dissuaderlo”.

E su quello che accadde il pomeriggio del 10 agosto 2020 i giudici milanesi considerano del tutto credibile la versione dei due fratelli. Quando Alessio, che aveva in precedenza fatto di tutto per non incontrare il padre, alla fine aveva ceduto e lo aveva fatto entrare in casa, gli aveva ribadito che non avrebbe modificato la sua denuncia. Il padre, che si era portato dietro il foglio con la denuncia e appuntato le modifiche (in documento è stato poi trovato nell’abitazione) a quel punto si era infuriato: lo aveva preso per un braccio per trascinarlo in commissariato fino poi a scaraventarlo contro la scarpiera che si era rovesciata. Da lì la colluttazione e l’omicidio. “Quanto sostenuto dal figlio Alessio sembra verosimile e – dicono i giudici – seppur avrebbe potuto addurre giustificazioni ben più importanti, si è limitato a descrivere quanto accaduto, senza costruirsi una versione dei fatti a lui totalmente favorevole, anzi ribadendo, sempre, che fino a quel giorno, il padre non aveva mai minacciato ne agito violenza contro di lui o suo fratello”.

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Genova24

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