Operazione “Millennium”: piantagione sotterranea, il progetto del clan per la Basilicata

  • Postato il 22 maggio 2025
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Operazione “Millennium”: piantagione sotterranea, il progetto del clan per la Basilicata

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Il boss Giuseppe Barbaro progettava una piantagione sotterranea di marijuana in Basilicata per il clan Barbaro-Alvaro, come emerso da una maxi inchiesta antimafia con 97 arresti.


POTENZA – Mentre trafficava cocaina da Colombia e Brasile il boss Giuseppe Barbaro di Platì, in Aspromonte, non disdegnava l’idea di realizzare una piantagione di marijuana in Basilicata. Niente di ordinario, però, ma una piantagione sotterranea all’interno di containers da interrare sotto la vigna di un «amico» lucano. E’ quanto emerge dagli atti della maxi inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria per cui ieri mattina, 21 maggio 2025, sono state eseguite 97 ordinanze di arresti nei confronti di altrettanti presunti esponenti e fiancheggiatori del clan Barbaro e di quello degli Alvaro di Sinopoli, sul versante opposto dell’Aspromonte rispetto a Platì.

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IL PROGETTO DELLA PIANTAGIONE SOTTERRANEA DEL BOSS BARBARO

A rivelare il progetto della piantagione lucana è stato lo stesso boss Barbaro, detto “U Castanu”, che per i pm avrebbe avuto proprio il compito di coordinare dei traffici di droga della ‘ndrina.
«Allora, senza che ci mettiamo con persone… io ce le ho le persone valide che la piantano.. (…)… io ho tutto! Persone valide che la piantano, persone… devo vedere se quello della Basilicata è di fuori». Così ad agosto del 2021 il boss avrebbe stoppato un suo luogotenente che gli aveva riferito della disponibilità di una terza persona non identificata di realizzare una «vasta» piantagione di marijuana («si piantano 3 o 4mila piantine»). Un’offerta che Barbaro avrebbe rifiutato per la diffidenza «nel fare affare con persone “estranee”». Diversamente dagli amici lucani. Tanto più che in Basilicata ci sono anche meno controlli rispetto alla Puglia.

COLTIVAZIONE INDOOR: MAGGIORE RESA E MINORI RISCHI

«Avevo già parlato con questi, che la piantano là nella Basilicata. Se c’è praticamente, senza che inseriamo altre persone, tante per… altre persone di loro, ci sono queste persone già che vanno, dei miei stessi, e la fanno. Però io non volevo farla, perché dite voi sulla terra è buona lo stesso. Innanzitutto sotto terra, si raccoglie ogni due mesigià avevo già parlato con questi, che la piantano là nella Basilicata. Se c’è praticamente, senza che inseriamo altre persone, tante per… altre persone di loro, ci sono queste persone già che vanno, dei miei stessi, e la fanno.

Però io non volevo farla, perchè dite voi sulla terra è buona lo stesso. Innanzitutto sotto terra, si raccoglie ogni due mesi (…) con le lampade, certo! Con le lampade si raccoglie ogni due mesi, uno. Secondo, invece che costa ad esempio a 1200 euro, costa praticamente a 3 mila euro!…(inc 2 parole)… costa di più. Conviene, in quel modo si rischia con l’elicottero, che la trovano. In questo modo per trovarla i Cacciatori (reparto speciale dei carabinieri, ndr), non tanto ce ne sono. Là ci vuole solo un bello scavo, secondo dove, dove è questo amico mio, dove ha il terreno, lui aveva un terreno di vigne».

PRECEDENTI IN BASILICATA: IL MAXI-SEQUESTRO A VENOSA

Nelle ordinanze eseguite ieri non c’è traccia di riscontri raccolti dagli inquirenti sul progetto lucano di Barbaro, né dell’identificazione dei suoi «amici» della Basilicata. Già due anni prima di quel dialogo intercettato, però, questo tipo di interesse delle cosche calabresi per il territorio lucano era emerso in occasione di un maxi-sequestro a Venosa. Tra le contrade Santa Lucia e Matinelle, infatti, i carabinieri avevano scoperto 7 serre equipaggiate di tutto punto per un’estensione di 3.200 metri quadri, con 11mila piante di cannabis altre tra i 2 e i 3 metri.

Oltre a 59 buste in plastica termosaldate, contenenti 50 chilogrammi di marijuana e altri 68 chilogrammi della stessa sostanza stupefacente in fase di essiccamento, per un valore di mercato di oltre 700mila euro.
Una maxi-piantagione, insomma, per cui ad aprile 2021 erano stati condannati a 4 anni di reclusione 5 persone accusate di aver messo in piedi la produzione: 2 contadini marocchini, e 3 pregiudicati della provincia di Reggio Calabria.

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