“Palmina Martinelli fu bruciata viva. Non si suicidò”. Ma nessuno pagherà
- Postato il 8 luglio 2025
- Cronaca
- Di Il Fatto Quotidiano
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Palmina Martinelli non si tolse la vita, ma fu uccisa. Morì a causa di ustioni gravissime su tutto il corpo. Fu arsa viva, ma nessuno pagherà. Poco prima, dal letto d’ospedale dove aveva vissuto un’agonia di 22 giorni, davanti al pubblico ministero Nicola Magrone, pronunciò con un filo di voce che ancora le restava i nomi di chi le aveva dato fuoco perché lei non aveva accettato di prostituirsi. Accadde a Fasano, in provincia di Brindisi, l’11 novembre del 1981. Palmina morì il 2 dicembre. Era riuscita comunque a trovare la forza di raccontare tutto, eppure la Cassazione dichiarò l’insussistenza del fatto, avvallando la tesi del suicidio. Dopo 45 anni di omertà, bugie, errori investigativi e giudiziari, nell’accogliere la richiesta di archiviazione a carico del cognato di Palmina, Cesare Ciaccia, per l’omicidio aggravato in concorso con ignoti, il giudice per le indagini preliminari di Bari, Giuseppe Battista, scrive parole pesanti come un macigno: “Fu senz’altro omicidio”. E sconfessa la Cassazione secondo cui la ragazzina di appena 14 anni si era tolta la vita. Una conclusione che il gip definisce “erronea”. E aggiunge: “Vien da chiedersi perché considerazioni logiche e ragionevoli quali quelle dei consulenti di Giacomina Martinelli”, sorella della vittima, non fossero emerse già al momento delle prime indagini.
La storia di Palmina Martinelli
Palmina Martinelli era sesta di 11 figli. In ospedale era arrivata con ustioni di primo, secondo e terzo grado. Il pm Magrone, scomparso nel 2023, interrogò Palmina sul letto di morte. “Entrano Giovanni (Costantini) ed Enrico (Bernardi) e mi fanno scrivere che mi ero litigata con mia cognata. Poi mi chiudono nel bagno, mi mettono lo spirito e mi infiammano” gli raccontò. Erano due fratellastri di Locorotondo, la cui madre gestiva una casa di appuntamenti in una vecchia villetta diroccata. Lo fecero perché Palmina non voleva prostituirsi. Nell’ottobre del 1989 la Cassazione accolse i ricorsi degli imputati, tra l’altro già assolti dalla Corte d’Assise d’Appello l’anno prima con formula dubitativa. In Cassazione, ottennero entrambi la formula piena: “Perché il fatto non sussiste”. Secondo i giudici Palmina si era uccisa perché (tesi su cui aveva puntato la difesa) non si trovava bene nel contesto familiare. Palmina era un’adolescente cresciuta troppo in fretta in una famiglia di sedici figli e in un ambiente omertoso, dove l’illegalità era la norma. Ad avvalorare la tesi del suicidio c’era proprio la lettera, assai contestata dalle perizie, in cui avrebbe spiegato i motivi per cui voleva farla finita.
Il gip ricostruisce l’omicidio e gli errori della Cassazione
Oggi il gip parla di una morte “avvenuta con modalità atroci” e nata “all’interno della cerchia familiare, una parte della quale ancor oggi reticente ed ostile alle indagini”. E poi di accertamenti incompleti e una “insanabile contraddizione”. Il giudiceBattista, nell’accogliere la richiesta di archiviazione a carico del cognato di Martinelli, Cesare Ciaccia, per l’omicidio aggravato in concorso con ignoti, evidenzia che “non è azzardato affermare l’incompletezza degli accertamenti svolti subito dopo i fatti, che scontarono un’insanabile contraddizione”. Da un lato l’indicazione (da parte della stessa vittima) di Enrico Bernardi e di Giovanni Costantini “quali responsabili dell’atto delittuoso”, un dato che “verosimilmente indusse gli inquirenti dell’epoca” nel 1981 “a non effettuare le pur dovute verifiche su altre posizioni”, dall’altro l’avvenuta assoluzione degli stessi, con la ‘pietra tombale’ posta sul processo dalla sentenza della Cassazione, che dichiarando l’insussistenza del fatto, avvallò la tesi del suicidio”. Ma la conclusione della Cassazione, secondo il gip, “era erronea”. Purtroppo, però, il fatto che le testimonianze di Giacomina Martinelli, sorella della vittima, non siano emerse già al momento delle prime indagini “non costituisce elemento probatorio spendibile nei confronti di Ciaccia, ovvero suscettibile di approfondimenti in sede dibattimentale”. Bernardi e Costantini “sono stati definitivamente assolti”, anche se indagini più recenti hanno confermato il coinvolgimento del primo nella stesura della falsa lettera di Palmina, mentre Antonio Martinelli, fratello della vittima è morto “portando con sé i suoi segreti”. Resta, almeno, la verità sul fatto che Palmina non volesse affatto togliersi la vita che, invece, le è stata strappata.
La lunga battaglia per la verità
La sorella, Mina Martinelli, ha più volte cercato di far riaprire il caso. Nell’ottobre 2012 presentò una denuncia alla Procura di Brindisi facendo riaprire un’inchiesta. Furono analizzate la consulenza medico legale e la perizia grafologica che accertarono che la quattordicenne si coprì gli occhi con entrambe le mani mentre qualcuno appiccava il fuoco. Tre anni dopo la Procura concluse che fosse “ragionevole” ritenere che la ragazzina di Fasano fosse stata uccisa e non si fosse suicidata. Il caso fu fatto riaprire nel 2016 dalla Cassazione che decise che dovesse essere la Procura di Bari a indagare, accogliendo una questione di competenza territoriale sollevata da Stefano Chiriatti, l’avvocato che assiste la sorella Mina. Secondo il vecchio Codice Penale in vigore fino al 1989, infatti, la competenza veniva stabilita sulla base del luogo della morte e Palmina morì a Bari. Fu così annullata, di fatto, l’ordinanza del gip di Brindisi che il 28 aprile 2015 aveva disposto l’archiviazione dell’inchiesta. A novembre 2017, la Procura di Bari aprì un fascicolo per omicidio volontario aggravato a carico di ignoti. “Lo aspettavo da tanto tempo” commentò Mina Martinelli. In quella occasione, intervistato da ilfattoquotidiano.it il pm Nicola Magrone disse: “Ormai non possiamo riprocessare le persone che Palmina accusò. Spero solo che il tribunale dica la verità, restituendo la dignità a questa bambina”.
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