Pamela Anderson. La bagnina, l’icona e la biblioteca
- Postato il 19 giugno 2025
- Di Panorama
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C’è stato un tempo in cui bastava dire “Pamela” per evocare due cose: un costume rosso e un rallenty. Il mondo si fermava, la telecamera pure. Lei correva. E mentre correva, l’audience mondiale dimenticava il senso critico per lasciarsi cullare dal moto ipnotico di lei.
Pamela Anderson è stata, a lungo, un’icona da cartellone: stampata, sospesa, desiderata. Il che sembrerebbe tutto. E invece era solo l’inizio.
La sua prima apparizione pubblica non fu su una passerella ma su un maxischermo, durante una partita di football in Canada: inquadrata per caso mentre indossava una t-shirt della Labatt, fu acclamata dallo stadio intero. In quel preciso momento, il destino le sussurrò “Hollywood”, e lei ascoltò.
Poco dopo arrivò Playboy, che la lanciò nell’olimpo delle bionde esplosive. È apparsa sulla copertina ben 14 volte – un record. Ma quella che sembrava una storia scritta sulla pelle si è rivelata, col tempo, molto più: Pamela ha sempre usato il proprio corpo come vetrina, sì, ma anche per mettere in mostra le contraddizioni della cultura pop.
Poi c’è Baywatch. La serie più vista degli anni ‘90. Il costume rosso, la corsa sulla spiaggia, la California che diventava mitologia settimanale.
Ma mentre il mondo la vedeva come la “bagnina sexy”, Pamela lottava dietro le quinte con contratti, registi, e un’industria che voleva incasellarla. Lei però, testarda come chi ha imparato presto a difendersi, resisteva. E scriveva. Soggetti, diari, lettere. Nessuno la prendeva sul serio. Anche meglio.
Nel frattempo, si innamorava. Male e bene. Tommy Lee, Kid Rock, Rick Salomon. Amori fragorosi, spesso tossici, ma sempre veri. Nel pieno di uno scandalo, quando il suo sex tape fu rubato e distribuito senza consenso – uno dei primi eclatanti casi di quello che oggi chiamiamo revenge porn – Pamela non si nascose. Non negò mai la sofferenza per quella violenza che le era stata fatta. Poi, a un certo punto, disse: “Avete guardato? Ora basta. Tornate a vivere.”
Molti si sarebbero fermati lì. Ma anche se sola, delusa, indebolita lei no, non si è fermata.
È diventata attivista. Ha collaborato con PETA, ha parlato all’ONU, ha scritto discorsi su ambiente, diritti animali, e libertà sessuale.
È stata amica, e forse qualcosa di più, con personaggi criticati. E mentre il mondo rideva o giudicava, lei regalava libri. Letteralmente.
Poi, un giorno, ha tolto il trucco.
Non in senso figurato: nel 2023, si è presentata alle sfilate della Paris Fashion Week senza neanche un filo di make-up. Un gesto semplice, ma rivoluzionario, in un mondo dove “naturale” è spesso solo un filtro ben calibrato. Pamela non ha chiesto approvazione, non ha chiesto nulla.
E mentre il pubblico la riscopriva, lei tornava a recitare. Dopo il successo sul palco di Broadway in Chicago, è arrivata sul set di The Last Showgirl, il nuovo film di Gia Coppola. Una storia di donne, tempo e palcoscenico, dove Pamela si muove con profondità sorprendente. Non come simbolo nostalgico, ma come attrice. Vera.
Oggi vive in Canada, nella sua casa sul mare, tra giardini e pagine scritte a mano. Ha pubblicato un memoir intimo (Love, Pamela), nel quale è come se ogni frase volesse sciogliere un nodo.
C’è chi la guarda e ancora pensa: “Ah, quella di Baywatch.”
E va bene. Ma nel frattempo, lei legge Anaïs Nin, coltiva lavanda, e corre ancora.
Forte, va forte, solo che ora lo fa in silenzio, o forse con una domanda: bagnina a chi?