Papa Francesco e le pagine dimenticate del Concilio Vaticano II. Conversazione con la teologa Noceti
- Postato il 29 aprile 2025
- Chiesa
- Di Formiche
- 1 Visualizzazioni

Papa Francesco, il papa del popolo, della fratellanza e della pace, ci ha lasciati nel lunedì dell’Angelo, giorno della “tomba vuota”. “Orfani, smarriti, minacciati e indifesi”, come ha affermato domenica scorsa il segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin. Privati di tutto, come in un mondo sospeso, mentre il ricordo va subito a lui, solo, nella piazza deserta di San Pietro, a implorare per noi la Madonna per la fine della pandemia.
Padre sempre vicino ai propri figli, ha voluto donare amore fino all’ultimo giorno della sua vita terrena. Padre degli umili e dei fragili, dei sofferenti e dei dimenticati, dei migranti e dei detenuti. Al dolore ha dato conforto con vicinanza e sorriso. Misericordia e compassione la sua dottrina sociale, linguaggio comune per realtà umane, culture e religioni differenti, in una chiesa “ospedale da campo” pronta ad accogliere tutti.
Pastore in mezzo alla gente, in una visione generatrice di speranza, ha acceso la gioia nei “credenti spenti di entusiasmo e resi prigionieri dalla paura”, come ha ricordato il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Matteo Zuppi.
È stato il papa dall’umanità incontenibile, interprete di una cristianità vissuta autenticamente, nella quotidianità, fatta di incontro, ascolto e dialogo. Attraverso una comunicazione diretta, informale, capace di sorprendere, nella consapevolezza del valore, anche simbolico, di parole, gesti, comportamenti, ha raggiunto con semplicità la mente e il cuore di tutti e di ciascuno.
Custode del mondo e della sua bellezza, ha accarezzato le anime e pregato per la madre terra. Ha dato tenerezza ai bambini, entusiasmo ai giovani e fiducia agli anziani, “alberi vivi per la saggezza del mondo”. Ha sostenuto la presenza delle donne nella società e nella chiesa, riconoscendone le straordinarie capacità e la preziosità interiore. Si è preso cura dei più bisognosi, curandone le ferite, affermando il valore universale della centralità e dignità della persona.
Dopo la sua scomparsa, un fiume umano è accorso ad onorare il padre, per l’ultimo saluto. Un popolo che appare buono. Nel “boato” del dolore muto e del raccoglimento, il vuoto di Francesco è lacerante e sovrasta ogni divisione. Al suo funerale, di fronte all’umile bara, il disgelo dei potenti è il miracolo dell’uomo che ha offerto la propria sofferenza per la pace. Un lungo pellegrinaggio commosso lo accompagna nella Basilica di Santa Maria Maggiore, che Francesco ha scelto affidandosi a Maria anche dopo la fine.
Un pontificato di guida che lascerà traccia nella Storia, per un futuro da immaginare. Il testamento spirituale di papa Francesco sembra già eterno. Impalpabile. “Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento. Quelle invisibili sono eterne” (San Paolo 2Cor 4,18).
In attesa del prossimo pontefice, nei giorni antecedenti al conclave, tra posizioni “progressiste” e “conservatrici”, si riflette sull’unità del Vangelo. Quale prospettiva per una chiesa aperta al mondo e all’evoluzione dei tempi, per messaggi acquisiti e processi avviati da papa Francesco?
Parliamo del pontificato di papa Bergoglio e del futuro della sua opera con Serena Noceti. Teologa, docente ordinaria di teologia sistematica presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Toscana “S. Caterina”, insegna nella Facoltà teologica dell’Italia centrale e in altre accademie. Socia fondatrice del Coordinamento Teologhe Italiane, è stata vicepresidente dell’Associazione Teologica Italiana.
L’imperativo della fraternità, il diritto inalienabile della giustizia e la pace, l’ecologia hanno ispirato il magistero di papa Francesco, affermando la centralità e la dignità della persona. Papa Bergoglio è stato, innanzitutto, l’uomo che ha testimoniato l’autentica cristianità per una chiesa di rinnovamento?
Indubbiamente è stato un pontificato complesso. Papa Francesco ha operato sia sul fronte interno su alcune questioni ecclesiali rimaste in sospeso da decenni, sia sulla presenza pubblica della chiesa cattolica, sui temi dell’ecologia, della pace, della giustizia. La “fraternità” è, a mio parere, una delle prospettive più importanti. Penso che ci sia stata una visione antropologica precisa che ha guidato il suo pontificato, che raccoglierei soprattutto in un elemento. In pieno accordo con la dottrina sociale degli ultimi pontificati, papa Francesco si è posto criticamente davanti all’affermazione sui diritti individuali e sulla libertà del singolo separati dalla responsabilità, per il cosmo e per l’umanità intera. La sua visione, a mio parere, è stata ispirata da una visione del “noi plurale” dell’umanità. Diversi popoli, rispetto delle culture. Partendo sempre né dall’individuo e neanche dalla persona in relazione, ma proprio dal “noi” fatto di tanti diversi soggetti, relazioni, di appartenenze, di corresponsabilità.
Ha chiamato tutti ad assumere in prima persona “responsabilità”, verso il futuro e per il bene di tutti. Sin dalla scelta del nome. Francesco d’Assisi è stato il santo del creato, dei poveri, della fraternità, ma è anche il santo che fa riferimento al Vangelo sine glossa, senza aggiunte che possano sminuirne la radicalità, il santo che si adopera per la riforma della chiesa, della pace.
Altro aspetto rilevante è comprendere il pontificato di Francesco come figlio e erede del Concilio Vaticano II (1962-65). La sua ispirazione radicale è in questi testi. Non solo la costituzione sulla chiesa Lumen gentium, ma anche la costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, con la sua idea di comprendere il Vangelo a partire dai linguaggi del nostro tempo e dalla lettura dei segni dei tempi, cioè dei grandi fenomeni sociali.
Sessanta anni dopo il Vaticano II, la chiesa è diventata mondiale: papa Francesco ha sollecitato a ripensare la chiesa a partire non più da una visione universalistica per guardare il locale, come facevano in fondo Giovanni Paolo II o Benedetto XVI, ma partendo dal locale, dalla pluralità delle diocesi, dalle chiese locali, dalle culture, per pensare all’unità. Quindi correlare pluralità e unità, una questione fondamentale dell’identità anche dal punto di vista sociale e politico: ritroviamo questo afflato, a mio parere, sia nelle encicliche cosiddette sociali, come Laudato sì e Fratelli tutti, sia nei testi legati più direttamente ai processi interni ecclesiali, come il documento ispiratore del pontificato Evangelii gaudium.
Papa Francesco riprende dal Vaticano II l’istanza pastorale, con la visione di una chiesa in dialogo con il mondo contemporaneo, capace di proporre l’annuncio cristiano in dialogo con le persone, coniugando verità e storia, elaborazione della dottrina e diverse interpretazioni culturali, superando ogni lettura astratta. Propone una dottrina ma pensando alle persone che l’accoglieranno, che la vivranno, e alla gradualità necessaria.
Una rilettura, sessant’anni dopo, delle pagine dimenticate del Vaticano II. Due esempi. L’espressione “popolo di Dio” e “chiesa popolo”, erano espressioni che con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI erano state messe da parte. La parola “riforma” era considerata abusata, inadeguata, andava letta nella forma della continuità rispetto al passato, e non di rinnovamento anche coraggioso, con l’abbandono di forme desuete. Papa Francesco, dall’inizio del pontificato, usa sia la parola “popolo”, che “riforma”, collegato sia alla conversione interiore che al “rinnovamento” della prassi pastorale, meno alla riforma delle strutture. E questa mancanza sarà, a mio parere, uno degli elementi di debolezza del pontificato. Con “popolo di Dio” Francesco presenta una chiesa che ricerca sempre l’inclusività e può vivere la “pluralità in unità”. Come affermava con una espressione semplice ma incisiva “tutti, tutti, tutti”.
Tutto questo trova nella promozione di una chiesa sinodale la sua prima realizzazione. La sinodalità è la più grande eredità lasciata da papa Francesco, che aspetta ora di essere realizzata.
Papa Francesco è stato il papa del popolo e il papa della misericordia ma anche il papa delle donne. Cosa ha significato il tema della presenza femminile, nel suo pontificato e quale rilievo ha assunto la prospettiva di genere nella chiesa?
Sin dalle prime due interviste rilasciate da Bergoglio, a Repubblica e a Civiltà cattolica, c’è una sottolineatura del tema delle donne: ci si occuperà di questo, nel pontificato. Nel documento programmatico Evangelii gaudium si parla della giusta rivendicazione dei diritti delle donne che pongono domande alla chiesa e chiedono un cambiamento.
Su questa base, papa Francesco ha fatto una serie di scelte. Secondo il suo stile tipico, prima si è mosso sul piano della prassi e poi ha definito i documenti. Ha innanzitutto posto in Vaticano donne con ruoli di leadership, valorizzando le competenze e prediligendo le religiose, le suore. Il problema nella chiesa cattolica non è la partecipazione delle donne: la questione è proprio il riconoscimento della leadership. Le donne sono la maggior parte dei praticanti e degli operatori pastorali nelle parrocchie e nelle diocesi, ma pochissime hanno ruoli di autorità, pochissime partecipano alle decisioni. Ha mostrato così che il tetto di cristallo si può superare, ha accompagnato un processo di rivisitazione critica della cultura ecclesiale che è patriarcale e androcentrica, ma di per sé la struttura in quanto tale non è stata mutata. Il tetto di cristallo rimane, alcune donne sono state cooptate dal papa. Questo cambio culturale è stato accolto solo parzialmente.
La questione del ruolo femminile è uno dei temi iniziati, ma rimasti aperti. Senza una riforma strutturale è facile tornare indietro perché non ci sono vincoli istituzionali. Un piccolo cambiamento di tipo strutturale ma significativo c’è stato. Dopo 49 anni di richieste, papa Francesco ha aperto alle donne il lettorato, l’accolitato (che comporta un servizio all’altare) e il ministero istituito del catechista. Una visibilità simbolica importante. Le catechiste istituite sono donne che animano le comunità dove non c’è un prete.
Nel corso del pontificato una delle questioni dibattute è stata l’ordinazione delle donne al diaconato. Il papa ha costituito una prima commissione di studio nel 2016 e una seconda nel 2019, dopo che nel Sinodo per l’Amazzonia c’era stata una richiesta sostenuta anche da molti vescovi e da un cammino di chiesa di ascolto di base, quindi da migliaia di persone. Il tema è riemerso ancora con molta forza nel corso del Sinodo sulla sinodalità, 2021-24: nel documento finale si indica il tema come aperto e sottoposto a dibattito. Attualmente è al lavoro una terza commissione. Ordinare donne diacono è, a mio parere, possibile. Questa sarebbe una vera e profonda riforma strutturale.
Durante l’ultimo Sinodo, che ha coinvolto quasi 20 milioni di persone in tutto il mondo, il tema delle donne è stato davvero importante. All’inizio, totalmente sottovalutato. Nel documento preparatorio, ricevuto da tutte le diocesi del mondo, non c’era alcuna domanda sulle donne, tra le dodici questioni aperte. Ma la maggior parte dei partecipanti al Sinodo, a livello di parrocchie e diocesi, erano donne e così il tema è naturalmente emerso come fondamentale nelle sintesi delle conferenze episcopali del mondo. Quando se ne è parlato in sette grandi assemblee di continente, è emersa, tuttavia, la differenza e l’impatto delle culture sui modelli di relazione uomo-donna e sui ruoli di autorità delle donne. Il tema è molto rilevante in Europa e in America latina, con esperienze e posizioni diverse sul ruolo delle donne rispetto all’Africa o all’Asia. Ci sono molte resistenze: il paragrafo del documento finale dedicato alle donne è stato quello che ha ricevuto più voti contrari.
Le scelte di papa Francesco sono state quelle di un leader non solo spirituale. Ha dato nuove prospettive, attraverso il processo sinodale. Cosa significherà questo percorso per il futuro?
Il processo sinodale è stato attivato. Come portare avanti questo processo di rinnovamento ecclesiale sarà uno dei punti chiave per il prossimo papa. Da un lato, ci sarà lo sviluppo del cristianesimo in Africa, in Asia, che ha delle forme diverse, più tradizionali di religiosità e di appartenenza ecclesiale, rispetto a quelle più secolarizzate, partecipative democratiche dell’America Latina, America del Nord, Europa. Una delle questioni per il futuro della chiesa riguarda il rapporto uomo-donna. Il tema che non è stato ancora dibattuto è la chiesa in prospettiva di genere: non si parla ancora del rapporto tra maschilità, potere e sacro. La leadership delle donne laiche è un passaggio importante.
Anche per le donne si deve pensare al ministero, perché la leadership nella chiesa cattolica è collegata, a tutti i livelli, al ministero ordinato: quindi la via del diaconato. A mio parere, alla luce della tradizione più antica della chiesa che vedeva la presenza di donne diacono e alla luce della prassi pastorale di tante chiese che vede le donne coinvolte attivamente, è possibile pensare a donne diacono. Non ci sarà vera riforma sinodale senza affrontare la riforma dei ministeri: l’elezione dei vescovi, l’abolizione dei seminari, l’ordinazione di uomini sposati, l’ordinazione di donne diacono.
Non si tornerà indietro sulla sinodalità, perché è la forma necessaria per poter tenere insieme una chiesa ormai diventata mondiale, camminare insieme (questo vuol dire sinodo) con sensibilità diverse. Per vivere l’unità nella pluralità delle culture, superando l’uniformismo che ha caratterizzato la chiesa cattolica per un millennio.
Il papa “è accompagnato e consigliato da tanti” ma “c’è un momento, quando si tratta di decidere, di mettere una firma, nel quale è solo con il suo senso di responsabilità”, ha affermato. Quanto ciò ha influito sulla sua opera?
La solitudine del papa? In fondo è questo. Perché nella sinodalità entrano in gioco tre categorie di persone: i tutti, gli alcuni, l’uno.
Da un lato “i tutti”, cioè tutti i battezzati e le battezzate hanno il diritto di prendere parola e partecipare, ai diversi livelli, alla elaborazione del pensiero della chiesa e alle decisioni. Poi l’apporto di “alcuni” (esperti, rappresentanti di gruppi), ad esempio i teologi, la cui parola è necessaria per dare profondità alle scelte. E infine la parola e la scelta dell’uno, il papa o il vescovo o il parroco. Si tratta di creare una struttura ecclesiale che permetta a tutti di offrire una parola per elaborare le decisioni (decision making) e di collocare la presa di decisione (decision taking), che nella chiesa cattolica è legata solo al vescovo o al papa, o al parroco, in questo processo a più voci, con più apporti.
Quali saranno i temi del nuovo pontificato?
Mi hanno chiesto di scrivere, prima del pontificato di papa Francesco, per un quotidiano, sull’agenda del nuovo papa. Nell’articolo, parlavo del concetto di chiesa “popolo di Dio”, auspicavo un collegio che aiutasse il papa con rappresentanti a livello continentale, il tema delle donne, l’ordinazione diaconale e soprattutto esprimevo il desiderio di una chiesa sinodale. Il titolo era “La parola chiave, sinodalità”, poi è stato modificato in “La parola chiave è collegialità” perché allora, nel 2013, la parola “sinodalità” era una parola di fatto sconosciuta nell’opinione pubblica. Oggi non è più così. I temi che citavo erano questioni aperte e dibattute da anni. Erano state raccolte firme di milioni di persone per chiedere queste riforme, ma i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI non le avevano affrontate. La ricerca teologica e il dibattito erano stati silenziati.
I temi sui quali si dibatterà in conclave, a mio parere, toccano oggi sia il ruolo della chiesa cattolica a livello mondiale in un tempo di conflitti e di ingiustizia economica, un tempo di ricerca di “poteri imperiali”, quindi si dibatterà sul modello di rapporto mondo-chiesa; si parlerà di sviluppo del cristianesimo, della forma di chiesa in Africa e in Asia in rapporto all’esperienza europea (il tema della secolarizzazione), latinoamericana, nordamericana, sia ancora come camminare sinodalmente, come porsi davanti al processo aperto della sinodalità. Credo che nessuno dei cardinali nelle riunioni preconclave parlerà delle “donne”, ma rimane un tema chiave: siamo la metà della chiesa e la chiesa cattolica è ancora patriarcale, androcentrica. Non saranno presenti donne. Sarà una decisione che viene presa unicamente da uomini per una chiesa che è fatta, invece, per oltre metà da donne. Mi fa riflettere il fatto che una parte dei cardinali hanno fatto la loro formazione teologica insieme a donne, studentesse e docenti, e che quelli che vengono dalle diocesi hanno avuto esperienza quotidiana di relazioni umane, operative, di lavoro, di lavoro pastorale, con donne, con teologhe. Anche papa Francesco aveva delle collaboratrici nella sua diocesi. Chi viene dalle diocesi, soprattutto, normalmente vive una dinamica partecipativa e di apprezzamento fattivo della competenza, professionale in tanti campi e anche biblico-teologica, delle donne. Con il Vaticano II, la parola delle donne è diventata una parola pubblica, competente e autorevole: non è più una parola pronunciata nelle case, da mamme e nonne, o nei monasteri, conventi, scuole cattoliche. La parola delle donne risuona nelle università pontificie, nei convegni ecclesiali, negli uffici delle conferenze episcopali. E anche alla base. In tante parti del mondo le donne predicano, battezzano, animano comunità dove il prete non è presente.
Allora, è vero che è un “circolo solo maschile”, ma ora gode di un’esperienza che non è più solo quella di rapporto con madri e sorelle, ma di donne colleghe e amiche. La biografia, in questo senso, permette di superare timori e ricostruire un immaginario femminile meno stereotipato sulla figura sponsale e materna, superando anche quella visione riduttiva di un principio mariano e un principio petrino, per altro è una idea teologica non fondata biblicamente. Papa Francesco amava dire “la chiesa è donna”. Ma le metafore sono rischiose: sono evocative ma non se ne può dedurre una riflessione sul piano delle strutture. Penso che la chiesa sia fatta di uomini e donne. Da questo dobbiamo partire, evitando ogni survisibilizzazione del femminile a detrimento delle donne concrete e del loro effettivo apporto di parola e competenze.