Papa Leone XIV e la sfida della verità: il ritorno della libertas Ecclesiae
- Postato il 11 maggio 2025
- Di Panorama
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«Per il mio Signore sono pronto a morire, perché la sua Chiesa possa vivere libera in pace. Fate di me ciò che volete, a vostra infamia e vergogna. Ma nessuno del mio popolo, in nome di Dio, sia da voi toccato. Questo io lo proibisco». Con queste parole Thomas Becket, in Assassinio nella cattedrale di T.S. Eliot, si rivolgeva ai sicari che stavano per ucciderlo su ordine di Enrico II d’Inghilterra, adirato perché l’arcivescovo di Canterbury si era rifiutato di piegarsi alle Costituzioni di Clarendon: statuti con cui il monarca voleva de facto porre la Chiesa inglese sotto il potere regio. Becket, ucciso nel 1170 e canonizzato da Alessandro III già tre anni dopo, aveva a propria volta richiesto la canonizzazione di un suo predecessore sulla cattedra di Canterbury: Anselmo d’Aosta che, alcuni decenni prima, si era scontrato con re Enrico I, subendo anche l’esilio, per difendere le prerogative di Roma nella disputa sull’investitura dei vescovi in Inghilterra. Anselmo, proclamato dottore della Chiesa nel 1720, fu un grandissimo teologo e filosofo benedettino, il cui pensiero si fondava in gran parte su quello di Sant’Agostino.
E proprio ad Agostino bisogna risalire per trovare una delle prime elaborazioni di un concetto che manifesterà progressivamente la propria importanza storica: quello della libertas Ecclesiae. «Agostino identifica il monoteismo biblico con le vedute filosofiche sulla fondazione del mondo che si sono formate, secondo diverse varianti, nella filosofia antica», scriveva l’allora cardinale Joseph Ratzinger nel 2003, per poi aggiungere: «La fede cristiana non si basa sulla poesia e la politica, queste due grandi fonti della religione: si basa sulla conoscenza». Non a caso, Ratzinger, profondo conoscitore ed estimatore di Agostino, si era sempre opposto al principio, risalente a Carl Schmitt, della «teologia politica»: l’idea di una saldatura, cioè, tra politica e fede nella convinzione che quelli della politica e della giurisprudenza siano concetti teologici secolarizzati. I santi, scriveva Agostino nel De Civitate Dei, «su questa terra ricevono oltraggi per la verità di Dio, che è in odio a chi ama le cose di questo mondo».
Insomma, è nel pensiero del vescovo d’Ippona che affondano le radici costitutive della libertas Ecclesiae. Un concetto che non si limita a distinguere l’ambito della fede da quello della politica, ma che invoca specialmente la difesa della Chiesa dalle ingerenze del mondo. Potrebbe quindi rivelarsi molto significativo che Leone XIV sia un agostiniano e che abbia scelto una citazione dell’Ipponate come motto papale. Proprio ieri, si è anche recato in visita al santuario della Madonna del Buon Consiglio a Genazzano, retto dagli agostiniani. Molto indicativo appare inoltre il nome pontificale che ha assunto. Nel 1888, Leone XIII pubblicò l’enciclica Libertas, in cui, oltre a citare Agostino due volte, scrisse: «Tra i vari tipi di Stato, purché siano di per sé stessi in grado di provvedere al benessere dei cittadini, nessuno è riprovato dalla Chiesa; essa pretende tuttavia ciò che anche la natura comanda: che i singoli Stati si reggano senza recare danno ad alcuno, e soprattutto rispettino i diritti della Chiesa».
Non sappiamo come sarà il papato di Leone XIV, che tra l’altro indossa una croce con quattro reliquie: Sant’Agostino, sua madre Santa Monica, San Tommaso da Villanova, il beato Anselmo Polanco (fucilato dai marxisti) e il venerabile Giuseppe Bartolomeo Menochio. Ma, visto il substratum spirituale e culturale da cui proviene, è verosimile che possa mettere proprio il principio della libertas Ecclesiae al centro del suo pontificato. Si tratta d’altronde di una questione che sta tornando sempre più drammaticamente attuale: un nodo con cui il papato nascente non potrà non confrontarsi. Emerge innanzitutto la persecuzione dei cristiani in numerose parti del mondo. Secondo Open Doors, la situazione è particolarmente allarmante soprattutto in alcune aree dell’Africa e dell’Asia. Tutto questo, mentre la Cina, oltre ad aver violato più volte l’accordo sui vescovi con la Santa Sede, continua ad arrestare prelati e a portare avanti la cosiddetta «sinicizzazione»: un processo d’indottrinamento a cui i cattolici sono sottoposti.
Dall’altra parte, il pontefice dovrà fare attenzione anche a quanto avviene in Occidente. E questo vale tanto per gli ambienti politici liberal quanto per quelli conservatori. Non di rado, un certo progressismo ha in passato preteso e ancora oggi pretende di prescrivere alla Chiesa come dovrebbe comportarsi. L’amministrazione Obama esigeva, per esempio, che la copertura assicurativa per i contraccettivi fosse garantita anche dagli istituti d’ispirazione cattolica. Le Piccole sorelle dei poveri avviarono quindi un lungo contenzioso legale che, dopo vari anni, le vide infine vincere davanti alla Corte suprema degli Stati Uniti. Ma il pontefice dovrà altresì guardarsi da quegli ambienti conservatori che, anche Oltreatlantico, sono talvolta troppo inclini a prospettive legate al principio della «teologia politica».
D’altronde, alla fine, il punto è proprio questo. Può avere davvero un senso la categorizzazione di «progressismo» e «conservatorismo» applicata al cattolicesimo? Agostino non era uno storicista, come G. W. Hegel o Karl Marx. «Benché Agostino dimostri la verità della dottrina cristiana nella storia sacra e profana, la storia del mondo non ha per lui alcun interesse e significato intrinseco», scriveva Karl Löwith. Gesù Cristo è e resta il centro della Storia: quel Cristo che Leone XIV ha ripetutamente citato sia nel discorso dal balcone che nella sua prima omelia. Perché alla fine il tema è proprio questo: la libertas Ecclesiae, se correttamente intesa, non è privilegio o brama di potere. È limpida difesa della verità dai poteri del mondo (non solo politici). Come sosteneva Benedetto XVI, «senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo». Ed è per questo che un agostiniano sul trono di Pietro può essere, oggi, un motivo di speranza.