“Paralisi delle indagini antimafia con le nuove norme sul sequestro degli smartphone”: l’allarme di Melillo

  • Postato il 27 maggio 2025
  • Mafie
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Un “allarme” meticoloso, puntuale, e soprattutto nettissimo. Con un invito esplicito alla maggioranza di governo a fermarsi. Perché l’eventuale via libera al ddl sugli smartphone avrebbe “disastroso impatto sulle indagini di mafia”, di fatto comporterebbe “una loro paralisi”, proprio mentre “la realtà ci porta a focalizzare le attività mafiose”. E ancora un “vero vulnus” per le indagini preliminari. E pure un ostacolo nettissimo per gli arresti in flagranza. Con un lungo elenco di gravi e gravissimi reati, soprattutto di mafia, che non potranno più essere perseguiti. È fortissimo l’allarme che il procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Gianni Melillo, lancia di fronte ai deputati della commissione Giustizia della Camera. L’hanno chiamato a dare il suo parere sul disegno di legge di Pierantonio Zanettin – sì, sempre lui, quello dei 45 giorni al massimo per le intercettazioni – che impone non solo il via libera del gip per ogni singolo sequestro di uno smartphone, ma anche una procedura pesantissima di verifica di tutti i dati contenuti all’insegna della logica garantista “questo sì, questo no”.

Parla per poco più di venti minuti Melillo, che nella sua carriera è stato anche procuratore di Napoli. Al suo allarme segue un silenzio di gelo da parte della maggioranza. Gli fa una domanda solo Carla Giuliano di M5S. Nessun quesito dal forzista Enrico Costa, che pure è nelle vesti di relatore del provvedimento. Ma seguiamo passo passo la denuncia di Melillo. A partire dall’elenco estremamente minuzioso dei reati, che nella versione scritta del suo intervento occupa molte pagine, a partire da tutti quelli di mafia, e poi il peculato, la malversazione anche mafiosa, la corruzione perfino in atti giudiziari, la manipolazione delle gare d’appalto. Melillo entra via via nei dettagli, cita il sequestro di prodotti falsi, l’associazione mafiosa per lo sfruttamento minori, il traffico organizzato dei rifiuti. E anche il revenge porn, l’ingresso nei sistemi informatici di un pubblico ufficiale (e ne abbiamo esempi assai recenti che hanno riguardato anche il suo ufficio come il caso Striano), il riciclaggio. Non basta, in crisi anche il sequestro e l’immediata verifica dei cellulari entrati nelle carceri con ovvie conseguenze su possibili rivolte che non potrebbero più essere fermate.

Melillo invita espressamente la maggioranza a riflettere sul “sacrificio” che verrebbe imposto alle indagini. Parla di una “misura eccessiva e priva di giustificazione”, su una materia “affidata alla responsabilità politica che è chiamata a misurare il sacrificio sull’efficacia investigativa rispetto all’attività criminosa”. Insiste ancora e più volte sulla parola “sacrificio”: “Credo che la misura del sacrifico appaia tale da imporre una nuova considerazione per il disastroso impatto che il provvedimento avrebbe sulle indagini di mafia che verrebbero paralizzate, proprio mentre la realtà ci porta a focalizzare tutte le attività mafiose”. E qui sottolinea ancora che il ddl Zanettin esclude dalle nuove regole sul sequestro degli smartphone solo i reati che comportano l’arresto in flagranza. Dunque un “sacrificio” enorme. Con l’invito a ripensar subito a “una misura eccessiva e priva di giustificazione”. Soprattutto se raffrontata alle regole che consentono il sequestro dei tabulati “per i quali non c’è un simile meccanismo”. E cioè regole così stringenti.

Da Melillo, che proprio per questo ha deciso di intervenire “personalmente”, arriva un invito esplicito e netto alla maggioranza a fermarsi e a riconsiderare l’intero provvedimento perché se davvero dovesse restare così si risolverebbe “in un pericoloso arretramento nel contrasto all’attività mafiosa in spregio all’assicurazione di non indebolire le indagini sulle mafie che nel cyberspace trovano il loro campo di azione”. Nel merito tecnico il procuratore nazionale Antimafia boccia “la pesantezza della procedura, tre sequestri, due del giudice e uno del pm, se la confisca è obbligatoria o facoltativa”. “Un meccanismo – dice Melillo – che richiama la sovrabbondanza del Barocco, in primo luogo con l’aumento dell’incompatibilità del giudice soprattutto negli uffici medio piccoli”. Un vero problema questo, perché un gip che si è pronunciato poi non potrebbe più farlo in quanto sarebbe diventato incompatibile.

Poi le “conseguenze nocive sulla cooperazione internazionale perché la risposta all’assistenza giudiziaria è pesantemente condizionata da queste procedure. Le stesse nostre domande di cooperazione risulterebbero pesantemente condizionate”. Cita la Corte di giustizia e le sue regole di fatto ignorate. Denuncia “un vero vulnus per il sistema delle indagini preliminari”, in quanto “oltre alla macchinosità del provvedimento di acquisizione, la stessa utilizzabilità è soggetta al fatto che i dati siano rilevanti non solo per reati per cui si procede, ma anche per altri reati che emergano”. E tutti devono prevede l’arresto obbligatorio. L’Italia, insomma, fa marcia indietro rispetto alle regole che invece vengono seguite all’estero. Perché viene imposta una clausola di specialità che non è più seguita all’estero e che invece rientra con un meccanismo processuale interno.

Un “allarme” che Melillo dice di “avere il dovere di rappresentare qui”. Di fronte alla commissione Giustizia dopo il voto positivo del Senato sia in commissione che in aula. E dove, nel primo articolo, viene riproposta la stessa regola del decreto 90 del 2023, per cui le intercettazioni sono utilizzabili per un altro procedimento solo se è previsto l’arresto in flagranza. Ma se la stessa regola viene applicata anche per un sequestro questo, secondo Melillo, “produce un ingigantimento”. Che configura una “misura eccessiva e priva di giustificazione”, frase che il procuratore nazionale Antimafia ripete di contro nel corso dell’audizione. Per concludere che si tratta di “un sacrifico obiettivamente irragionevole”. Basti pensare alla procedura che diventerebbe necessaria per acquisire un solo indirizzo IP, che diventa inutile se arriva troppo tardi. La conseguenza, che Melillo accenna, è quella di informazioni che alla fine saranno “trasmesse con le vecchie regole di polizia”.

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Il Fatto Quotidiano

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