Pasolini: i guilty pleasures di un intellettuale

  • Postato il 2 novembre 2025
  • Di Focus.it
  • 3 Visualizzazioni
10 romanzi e 18 raccolte di poesie, 8 documentari e 13 film girati, 7 canzoni scritte e circa 200 disegni prodotti e conservati, 33 processi subiti nel corso di una carriera lunga più di tre decenni e 13 premi cinematografici vinti. Se bastasse questo a inquadrare Pier Paolo Pasolini (PPP), se fosse sufficiente qualche numero per raccontare quest'artista a cinquant'anni dalla sua uccisione all'idroscalo di Ostia, potremmo fermarci qui. Ma c'è molto altro da scoprire su quest'intellettuale fuori dagli schemi: ecco tutto quello che (forse) non sapevi su Pasolini.. LA sacralità del CALCIO. Per Pasolini il calcio non era solo intrattenimento. Al contrario, racchiudeva anche i miti, le peculiarità e le contraddizioni dell'Italia popolare. Il giornalista Enzo Biagi, durante un'intervista, una volta gli chiese: "Senza cinema, senza scrivere, che cosa le sarebbe piaciuto diventare?" La risposta: "Un bravo calciatore. Dopo la letteratura e l'eros, per me il football è uno dei grandi piaceri". Secondo lo scrittore il gioco del pallone rappresentava "l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo", un tempo del tutto stravolto, a suo giudizio, dall'evoluzione dello sviluppo capitalistico.. Non solo tifo. Lo scrittore giocava davvero, persino nelle pause dei set o più spesso durante partite amichevoli organizzate con amici, schierandosi sempre come ala, il che gli permetteva di sfruttare le sue doti atletiche. Pasolini tifava il Bologna, la squadra della città dove aveva studiato da giovane, ma seguiva anche un altro club, la Roma. Nel 1971 Pasolini scese in campo anche nell'ambito della prima partita a scopo benefico organizzata dalla Nazionale Calcio Attori, come capitano. Con lui parteciparono anche Livio Lozzi, Ninetto Davoli, Ugo Tognazzi, Enrico Montesano o Little Tony.. IL CICLISMO COME stile di VITA. Per Pasolini il ciclismo era una delle più alte metafore dell'esistenza. E anche una pratica da sperimentare. A 18 anni, nell'estate del 1940, l'estate della dichiarazione di guerra di Mussolini, compì un giro di più di 400 chilometri. Partendo da Bologna raggiunse Venezia e poi, da solo, arrivò a San Vito di Cadore, in Veneto, e a Casarsa della Delizia, in Friuli-Venezia Giulia. Durante il tragitto descrisse in una lettera, al compagno di scuola Franco Farolfi, ciò che lo aveva impressionato di più: "L'alba, le Dolomiti, il freddo, gli uomini coi visi gialli, le case e i sagrati estranei, l'accento estraneo, le cime e le valli nebbiose irraggiate dall'aurora".. L'Italia del Giro. Pasolini era appassionato di ciclismo. Nelle gare osservava con attenzione il silenzio del pubblico lungo le strade, l'attesa palpitante al passaggio dei corridori, la fatica degli atleti espressa con gesti minuti, ripetuti, quasi liturgici. Nella sfida agonistica tra Fausto Coppi e Gino Bartali vide i segni diversi dell'Italia del dopoguerra. E negli anni divenne un esperto, riuscendo a discutere in modo disinvolto anche con i cronisti sportivi. Nel 1969 partecipò in TV a Processo alla tappa, commentando il Giro d'Italia e dialogando con il Vittorio Adorni, ciclista su strada e, allora, campione del mondo in carica. Oggi tra Roma ed Ostia, sulla sponda sinistra del fiume Tevere, c'è anche un sentiero ciclabile che ricorda lo scrittore, il sentiero Pasolini. Simbolo del suo percorso e, insieme, della sua fine.. Madrelingua dialetto. Per Pasolini la lingua era un corpo vivo, più che un sistema di regole rigido e cristallizzato. I dialetti lo attiravano perché, secondo lui, custodivano un "altrove" sottratto alle logiche del contemporaneità. Non per caso Pasolini esordì sulla scena letteraria scrivendo poesie in friulano – la lingua materna – convinto così di potere esprimere un frammento di realtà con il massimo di autenticità possibile. Nei ritmi e nelle inflessioni degli idiomi dialettali vedeva la sopravvivenza di un'Italia arcaica che, se andava incontro al futuro, correva anche dritta verso l'omologazione linguistica della modernità consumistica. Quando approdò a Roma nel 1950, in particolare, lo scrittore restò colpito dal romanesco delle borgate, lingua aspra e vitalissima, che mise al centro di romanzi come Ragazzi di vita (9559 o film come Accattone (1961) e Mamma Roma (1962).. La dignità del "volgare". Dietro tutto ciò non c'era una vaga nostalgia per il passato, ma una visione. I dialetti erano per lui una forma di opposizione culturale al linguaggio artificiale veicolato dai mezzi di comunicazione di massa, specie dalla televisione. L'amore per i dialetti era un atto di resistenza contro il livellamento dei desideri. Nei contadini del nord Italia o nei ragazzi delle borgate centro-meridionali Pasolini trovava il suono di un'umanità che non si vergognava di essere se stessa. In uno dei suoi ultimi incontri pubblici, tenuto nell'ottobre del 1975 a Lecce, e più tardi intitolato il Volgar Eloquio, Pasolini tornò proprio a sottolineare la dignità del linguaggio dialettale. "Bisogna trovare – affermò – un nuovo modo di essere, un nuovo modo di essere tolleranti, illuministi, progressisti, un nuovo modo di essere liberi. È un problema centrale della nostra vita".. Classica e pop. Pasolini aveva un orecchio allenato: spaziava volentieri dalla musica classica di Mozart e Bach fino ai Beatles e ai Rolling Stones. Non si limitava ad ascoltare: studiava i testi, le armonie, le implicazioni morali dei brani e i fattori del loro successo (o del loro insuccesso). La musica gli sembrava uno strumento per capire la società e coglierne le sfumature. In Italia apprezzava l'Equipe 84, elettrizzante gruppo beat fondato a Modena negli anni Sessanta. Rimase estremamente scettico, invece, nei confronti della produzione commerciale di massa, spesso liquidata da Pasolini come espressione di una cultura che, con il pretesto della leggerezza, sdoganava la superficialità nella sfera pubblica.. sacra e profana. La musica, anche quella popolare, o pop, fu per lui un modello e un contromodello. Un riferimento critico da conoscere, e magari decostruire, che poi poteva arricchire strutture letterarie o dispositivi cinematografici. Nei suoi film la musica poteva essere un elemento narrativo. Per esempio, all'inizio del Vangelo secondo Matteo (1964) le note di Johann Sebastian Bach convivono con canti liturgici come il Missa Luba, una messa congolese di antica tradizione. Pasolini stesso, del resto, si mise alla prova con la musica, scrivendo canzoni anche per la cantante Laura Betti, come Macrì Teresa detta Pazzia, Il valzer della toppa, Cocco di mamma e Cristo al Mandrione; il tutto su musiche collaborando con compositori come Piero Umiliani, Franco Nebbia e Piero Piccioni. Per Domenico Modugno, invece, Pasolini scrisse Che cosa sono le nuvole, accompagnata dalle note di un mandolino.. IL METODO PPP. Le passioni così diverse di Pasolini erano parte del suo approccio verso la realtà: voleva immergersi nella vita e scrutare da vicino le pieghe più recondite della quotidianità. Resistette così alla tentazione di fare dell'arte un oggetto piatto, vivendo a pieno le sue passioni. Come spiega Alessandro Cinquegrani, professore di Letteratura italiana contemporanea all'Università Ca' Foscari Venezia: «Gli interessi di Pasolini erano svariati e totalizzanti, la sua curiosità andava ovunque, dallo sport alle "canzonette", come lui stesso le definiva, da un manifesto pubblicitario a un quadro. Non credo che tutto questo influisse direttamente nel processo creativo delle sue opere, credo però che scaturisse dallo stesso nucleo che portava alle sue opere. Pasolini aveva una visione della realtà molto rigorosa, direi persino rigida, che discendeva dalla sua interpretazione dell'ideologia marxista, che fungeva da chiave di lettura per la società e da nucleo generativo del suo lavoro».. PASOLINI DOPO PASOLINI. A cinquant'anni dalla sua uccisione, avvenuta nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975, Pasolini resta un riferimento nel panorama culturale italiano ed europeo. Uno scrittore complesso e spigoloso, capace di allargare i suoi orizzonti senza tradire le sue più intime convinzioni. Un intellettuale che, pur confrontandosi con tutti, sapeva scontentare i suoi interlocutori e difendere le sue posizioni. Un uomo vissuto di speranze che imparò a sopportare il peso della disperazione, soprattutto negli ultimi anni di vita.. Profetico. «Pasolini» – continua Cinquegrani – «era un uomo di grande intelligenza e l'intelligenza porta sempre con sé uno spirito tagliente e ironico. Tuttavia io penso che la sua immagine austera rispecchi quello che lui voleva essere: per lui era diventata quasi una missione quella di denunciare la decadenza sociale, con una condanna certa di restare inascoltato. Già quando ricorse a Totò in Uccellacci e uccellini, film del 1966, la naturale comicità dell'attore ripiegava in un destino di morte per il corvo, alter ego dell'autore stesso. Sembra che Pasolini presentisse quello che poco dopo la sua morte sarebbe stato evidente a tutti: la nascita della televisione privata, programmi come Drive in, avrebbero portato ovunque un clima di festa, di euforia dirompente, e il riso sarebbe scaturito da lì ed entrato in tutte le case, mentre quella che per lui era la deriva borghese e neocapitalistica avrebbe condotto alla rovina. Un uomo sul Titanic non può partecipare alla festa se conosce la fine della storia». Anche per questo sovraccarico di emozioni e di tensioni l'eredità di Pasolini non è affatto facile da maneggiare. Di certo, di quel che PPP ha lasciato, resta comunque l'essenziale: un certo modo di stare al mondo..
Autore
Focus.it

Potrebbero anche piacerti