Passione rapace: falchi, gufi e civette incantano sempre più italiani

  • Postato il 13 luglio 2025
  • Di Panorama
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Falchi pellegrini. Barbagianni. Ma anche civette e gufi. Rapaci che incantano sempre di più giovani e donne. Persone che si aggiungono alle già nutrite file degli appassionati di falconeria in Italia, che secondo stime non ufficiali ammontano a diverse migliaia. Un boom silenzioso che va in atto nei circoli – circa 100 in tutto il Paese – dove aquile e falchi sono i protagonisti assoluti, in memoria di tempi antichissimi. La pratica della falconeria italiana è stata riconosciuta nel 2016 dall’Unesco come Patrimonio culturale intangibile dell’Umanità, e vanta origini antichissime.

«In Italia il massimo esponente di questa nobile pratica è stato l’imperatore Federico II di Svevia, che nel XIII secolo scrisse il trattato De arte venandi cum avibus, considerato un capolavoro della letteratura sulla falconeria», spiega Fabrizio Piazza, presidente dell’Associazione nazionale Circolo falconeria maestra che raggruppa oltre 100 falconieri italiani selezionati e partecipa a manifestazioni in tutto il mondo. «Con il tempo questa pratica secolare ha smesso di essere solo una prerogativa di nobili e aristocratici, ma è diventata un’arte destinata a tutti gli amanti e gli appassionati dei rapaci. Il principale focus dell’addestramento in falconeria resta comunque, oggi come allora, l’incredibile rapporto tra uomo e rapace, basato su profondi sentimenti di fiducia e rispetto, con un’unica finalizzazione: la caccia. Tutti gli altri appassionati che si avvicinano ai rapaci dovrebbero essere battezzati come falcofili. Si tratta di una distinzione fondamentale, per capire appieno di cosa si sta parlando».

Insomma, il falconiere è chi pratica attivamente la falconeria, ovvero l’arte di addestrare rapaci (come falchi, astori o poiane) per la caccia o per attività di controllo faunistico. Il lemma falcofilo invece è utilizzato – in modo del tutto informale, poiché questo termine non è ufficialmente riconosciuto – per indicare una persona appassionata di falchi e rapaci in generale, tanto che può riferirsi a un semplice osservatore, un fotografo naturalista ma anche a chi possiede uccelli da preda ma non li usa per la caccia.

Centrale è poi un altro elemento: nel corso dei secoli, la falconeria si è evoluta, mantenendo viva la tradizione attraverso club, associazioni e manifestazioni culturali. Le stesse che ancora oggi sostengono quest’arte che è regolamentata in modo molto preciso. Oggi per praticare la falconeria è necessaria una licenza di caccia, e l’utilizzo di rapaci è consentito solo se nati in cattività e muniti di regolare certificazione Cites.

Inoltre, ogni esemplare deve essere identificato tramite anello inamovibile o microchip, e la detenzione è soggetta a specifiche autorizzazioni.

Si tratta di un mondo sempre più gettonato, anche per le potenziali ricadute economiche per chi lo pratica. Non a caso i corsi sono in forte aumento. A Lecce, per esempio, «La corte del falconiere» offre diverse opportunità: si parte dal corso introduttivo di un’ora a 40 euro, in cui si spiega la storia della falconeria, i materiali necessari, le differenti tipologie di rapaci e la conclusione con il «battesimo dei guanti» durante il quale è possibile tenere sul pugno un rapace e assistere al suo volo, per arrivare ad appuntamenti più strutturati, che permettono di avvicinarsi ad aquile e grandi avvoltoi («Addestramento esperto», 4 ore e costo di 300 euro). Così accade anche nel resto d’Italia. L’«Antica falconeria toscana», associazione sportivo-culturale che punta ad avvicinare i più all’arte falconiera, è uno dei punti di riferimento sul tema. «Siamo un gruppo di falconieri» spiega il presidente, nonché maestro di quest’antica arte, Andrea Frizzi «che hanno deciso di dedicarsi alla formazione di giovani leve condividendo più conoscenze possibili. Continuamente facciamo attività didattica per le scuole con dimostrazioni di volo libero, spettacoli medioevali, e ovviamente corsi. Partecipano persone di tutti i tipi e di tutte le età. Non mancano mai ragazzi anche molto giovani, che imparano a gestire, crescere e confrontarsi con gli animali. In tanti, poi, si avvicinano alla falconeria perché può diventare un lavoro». Un mestiere che passa attraverso eventi culturali e fiere, ma non solo. «Oltre alla tradizione venatoria, la falconeria trova oggi applicazioni in diversi ambiti. Serve, per esempio al controllo dell’avifauna. I rapaci sono utilizzati per allontanare uccelli indesiderati in aeroporti, discariche e aree urbane», commenta ancora Andrea Frizzi.

Con i rapaci vengono anche svolte attività didattiche e dimostrazioni per sensibilizzare il pubblico sulla biodiversità e la conservazione, e si tengono esperienze guidate che permettono ai partecipanti di avvicinarsi alla falconeria in contesti naturali. Insomma, un mondo. Eppure, precisa Frizzi, «non dobbiamo dimenticare che questi splendidi esemplari sono prima di tutto dei “predatori”, e non sono addomesticabili come si potrebbe erroneamente credere. Il rapporto che si viene a creare fra loro e il falconiere è solo un rapporto di reciproco rispetto e stima quindi mai affettivo, perché l’istinto soverchia ogni cosa».

Diverso il punto di vista di Piazza. «Contrariamente a quanto si dica, quando l’animale viene trattato correttamente e portato in situazioni specifiche, si affeziona. Se abbandonato o maltrattato soffre, proprio come avviene con cani e gatti. La cura, l’alimentazione corretta e il benessere sono fondamentali per instaurare un legame con il rapace. Rispetto è la parola chiave» ragiona Piazza.

Purtroppo però questi animali sono spesso gestiti da persone non in grado di prendersene cura, tanto dal punto di vista dell’alimentazione (piuttosto complicata, visto che i rapaci si nutrono perlopiù di topolini o altri esseri viventi) quanto della gestione fra voliere e possibilità di spiccare il volo. «Gli esemplari giovani devono essere alimentati più volte al giorno. Gli adulti, invece, mangiano una sola volta al giorno. Le regole per un corretto addestramento sono tantissime. Una su tutte: è necessario attendere che l’animale abbia digerito completamente prima di nutrirlo nuovamente il giorno successivo. Ma consumano grandi quantità di cibo: un rapace di un chilo, per esempio, mangia l’equivalente del 10 per cento del suo peso corporeo. L’alimentazione varia anche in base alla stagione e al fatto che venga fatto volare o risieda in voliera» continua Piazza. «Proprio per questo è necessario formare bene chi si occuperà di questi animali stupendi, che hanno bisogno di preparazione e molto tempo».

Inoltre, l’esercizio da parte di persone non adeguatamente formate ha conseguenze spesso sottovalutate. «I rapaci che vengono a volte perduti, perché dopo essere lanciati in volo non tornano indietro», spiega un insider dell’ambiente, che chiede l’anonimato, «hanno un duplice aspetto: possono sia predare la fauna selvatica che dovessero incontrare, sia inquinare geneticamente le specie autoctone, modificando l’equilibrio delle popolazioni selvatiche».

Infine c’è il tema del commercio illegale. «Alcuni soggetti, pur di comprare rapaci selvatici, sono disposti a pagare cifre da capogiro» dice ancora la fonte anonima. In questo caso, dunque, sarebbe il business ad animare la falconeria. Un barbagianni può costare da 200 a 500 euro, mentre per un falco da mille a 3 mila. Ma ci sono esemplari, come le aquile, che non di rado superano i 10 mila euro. Perché, ancora una volta, è sempre e solo la domanda a dettare il mercato. Falconeria compresa.

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Panorama

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