Peccato originale
- Postato il 6 agosto 2025
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- Di Il Vostro Giornale
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“Il peccato non nacque il giorno in cui Eva colse una mela: quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disubbidienza”; è quanto afferma Oriana Fallaci nel suo celeberrimo Lettera a un bambino mai nato. Credo sia sottinteso che la Fallaci non intendesse esprimere un concetto specificatamente teologico quanto piuttosto una prospettiva provocatoria sia sull’idea di peccato che su quella di virtù schierandosi esplicitamente e, elemento non trascurabile, in quanto donna, a favore di chi ha il coraggio di infrangere imposizioni che, limitando elementi di libertà personali e che non pregiudicano strutture di sistema, divengono esiziali per la dignità e l’auto rispetto che ne consegue da parte di ogni essere umano. Solo una breve nota circa il peccato originale che non intendo negare, anzi, ritengo sia ben radicato in ogni essere umano che abbia letto la Bibbia o meno, infatti è antico come l’uomo stesso e, pertanto, ben antecedente al libro del Genesi. Credo vadano rovesciati i termini della relazione tra lo stesso e il testo biblico e di qualsiasi altra religione, prima nasce il “senso di colpa” e il conseguente concetto di peccato e, solo in un secondo momento, quando le istituzioni tendono a formalizzare e appropriarsi dell’esistente, la teoria della creazione, del divieto, dell’infrazione e della conseguente punizione. Potremmo definire il processo una sorta di trasposizione nel linguaggio formale, che conferma e giustifica l’esistenza dello Stato, di quanto è congenito nell’essere umano. Più correttamente ancora: contemporaneo al momento in cui l’uomo crea se stesso scoprendosi “animale coscienziale”. Non si nasce con il peccato per una colpa commessa dai progenitori, si è responsabili dell’unico vero peccato, quello che ci rende uomini, il sapersi e determinarsi come altro dall’unità del tutto. In quest’ottica la disubbidienza di Eva si riconosce nel gesto rivoluzionario di un essere che reclama a sé la libertà e la conseguente responsabilità.
In altre parole potremmo affermare che peccato di disubbedienza è, di fatto, l’archè, il principio e, in tale logica, può legittimamente essere definito virtù anche se la prospettiva della Fallaci sottolinea la componente rivoluzionaria che, alla luce di quanto affermato, va ripensata. Per considerare il peccato originale come una “virtù rivoluzionaria”, in quanto atto di disubbidienza, dovremmo presupporre l’esistenza di un potere che si esercita da parte del Legislatore nei confronti di Eva e/o dell’umanità. Un simile postulato è quello che fonda la logica convenzionale sull’esistenza di un progettista e del conseguente progetto regolato dalla volontà del primo. La rivoluzionaria azione dell’uomo, che pone se stesso come altro dal tutto, non può essere intesa come antagonista dell’essere, ma come affermazione di un’autocoscienza che si scopre e si determina nel suo percorso attraverso il tempo e lo spazio senza necessariamente determinare conflitto. Il momento della contrapposizione nei confronti del potere, paradossalmente, si determina sempre per responsabilità dell’uomo, che ne genera le diverse facce nelle forme della religione, dello stato, dell’etica comune e via via fino alle surrettizie forme di autocensura che verranno definite peccati e che tali saranno riconosciute dalla coscienza. Senza scomodare innatisti e la seconda Critica kantiana, lasciamo a margine l’immensa questione appena accennata e proviamo a soffermarci solo sulle ragioni che hanno indotto, e continuano a farlo, l’essere umano a concepire l’idea di peccato con il conseguente sistema coercitivo sia formale che psicologico.
Se non esiste infrazione nello scoprirsi animale dotato di coscienza, allora da dove ha origine il senso di colpa che è radice e fondamento dell’idea di peccato? Credo che la risposta consista non nell’aver compreso la portata rivoluzionaria di un gesto che non ha richiesto la scintilla della deliberazione, insomma, scoprire se stessi come soggetti che pensano e che si accorgono di farlo non può essere inteso come fondamento del peccato, piuttosto per l’avvertimento che quella scintilla ha spalancato le porte a due abitanti di ognuno di noi: il pensiero “razionale” e quello “non razionale”. Il primo è divenuto, nel tempo, motivo d’orgoglio, non ha prodotto sensi di colpa e teorie del peccato, al contrario, ha generato religioni e filosofie che ne hanno celebrato la prossimità a un Ente superiore che avrebbe dovuto essere la perfezione stessa della ragione: il dio Logos, la filosofia hegeliana, l’oggetto della scolastica e mi fermo qui. Il problema si pone proprio nel momento in cui si è compreso che la ragione ha dei limiti e che l’uomo non solo può superarli, ma lo desidera profondamente. Il coglimento di un ulteriore che non si può ridurre alla comprensibilità convenzionale ma che è accessibile a quel “altro” che ci accompagna da sempre, ci regala l’ebrezza di una conoscenza oltre i limiti, ma anche il disagio della sua irriducibilità all’ordine, alla gabbia della logica, alla censura escatologica. In noi è un luogo di libertà privo di censure, aperto al volo più assoluto che, abisso insondabile, ci spaventa e ci affascina, infine sopravviene il senso di colpa, la coscienza del conflitto tra l’infinito, al quale si anela sentendoci figli dello stesso, e il limite che si riconosce a se stessi che, nel sistema di convivenza, è funzionale fino a rimarcare la colpa in chi ne è scarsamente dotato; quanto spesso ci siamo sentiti censurati e quante volte abbiamo scoperto che eravamo noi stessi i responsabili di tali censure.
Proprio alla luce di quanto appena sostenuto è possibile individuare il sottile discrimine tra peccato e senso di colpa che, se anche strettamente connessi, non coincidono. Se per peccato intendiamo l’aver infranto un divieto, sappiamo tutti, per esperienza personale, che è accaduto spesso di aver peccato senza avvertire un reale senso di colpa. Quando non ci si riconosce nel divieto si può comprendere di aver “peccato” attraverso il pensiero razionale, anche se quello non razionale non lo registra come tale sollevandoci dal conseguente senso di colpa; allo stesso modo sarà occorso a chiunque di avvertire lo sgradevole disagio del “peccato” pur non avendo infranto nessuna regola comune, ma solo non avendo rispettato i sussurri del pensiero non razionale che ci rivelavano irrispettosi delle nostre “verità etiche” più intime. Un altro aspetto ancor più interessante consiste nel comprendere che, mentre la legge morale e sociale ufficiale tende a modificarsi molto lentamente, quella più profonda e individuale si evolve al succedersi delle esperienze personali che ci cambiano velocemente, soprattutto quando si è molto giovani. Quanto abbiamo avvertito il disagio delle pulsioni che ci abitavano e che il sistema reputava, o doveva affermare di ritenere, inadeguate, quanto le abbiamo infrante confinando il senso di colpa in un angolo di noi pur convinti e rassegnati che non ci avrebbe abbandonato, quanto abbiamo modificato tale sensazione nell’equilibrio, figlio degli anni, fino a comprendere che in quell’angolo era rimasto solo un innocuo ricordo. Certo, il modificarsi delle censure culturali varia anch’esso molto rapidamente oramai, l’incensurabilità dei comportamenti sessuali ha sdoganato istinti che un tempo andavano frenati, ma tale aspetto merita una riflessione sociologica che esula da questa analisi; qualcosa permane, a dispetto dell’invasività capillare del “social sistema”, la “morale dentro di me” di kantiana memoria sembra sopravvivere pur se camaleontica, ancora oggi, quando i labili confini tra realtà e virtualità sfumano ogni esperienza, sopravvive il momento del coraggio, quando la scelta e la conseguente assunzione di responsabilità trasformano la colpa della disobbedienza in virtù. Amare, amare davvero è, soprattutto oggi, un modo tutto umano di “peccare contro il congenito egoismo”, utile alla sopravvivenza eppure tanto triste, ma questa è un’altra storia.
Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì. Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.