Penultime parole
- Postato il 2 luglio 2025
- Di Il Foglio
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Penultime parole
Nella casa sulla collina, dopo la morte dei genitori e del fratello, rimangono due sorelle e tutto il profondissimo silenzio che le lega e le separa. Nemmeno i libri che riempiono ogni minimo spazio della casa, pieni di voci raffreddate sulla carta, riescono a colmare quel silenzio. Anzi, le sorelle, pur senza concordare alcunché, sentono l’urgenza di liberarsi di quelle parole stampate, per lasciare che il silenzio dilaghi: uno alla volta, seppelliscono tutti i libri nella collina. Ora Teresa, sorella della voce narrante, trasforma quegli spazi vuoti e silenziosi in ambienti per le piante che adotta, e che crescono fino a sfigurare la casa, penetrando i muri, invadendo i soffitti, distaccando le mattonelle. Anche fuori, dalle piccole sepolture in cui i libri erano rimasti ammutoliti, nasce una miriade di alberi, un bosco.
Tutto l’umano si fa natura. Anche la morte di Teresa è sovrumana: la donna penetra nella terra, si fa essa stessa terra, cibo per vermi e per l’erba brucata dagli animali, a propria volta preda dei carnivori. Nell’allungarsi del tempo, anche la sorella narrante sperimenta il graduale abbandono di ogni tensione alla sopravvivenza, immedesimata nella ciclicità naturale, sensata proprio perché gratuita, priva di fine.
Quella che sembra una fiaba magica via via prende le sembianze di una narrazione mitica, capace di rappresentare una storia individuale o la storia dell’intera umanità: decaduto lo scenario artefatto della civiltà, quando le ultime luci della città si spengono, gli animali feroci smettono di far paura e la lontananza dai luoghi abitati si trasforma nel ricongiungimento con una verità profonda, selvatica. L’avida presa sull’esistenza lascia spazio a un’erranza sospesa che non ha altra destinazione che se stessa, appena cosciente di sé come dono, disseminazione sotto altre forme, oltre ciò che ci individua e ci oppone. Il silenzio, che prima era solo indifferenza e distacco, prende a essere abitato come lo spazio di una nuova comunanza tra viventi che si appartengono in una inaudita forma di dialogo. Si supera la parola come semplice trasmissione di messaggi, di cui il silenzio sarebbe contrappunto negativo. Cristò fa segno a un’esperienza più intima, in cui il silenzio non è il vuoto dopo che la comunicazione ha esaurito le parole, ma anzi è custodia muta dell’apertura stessa al significato, al di là dell’umano e della moltitudine dei soggetti. Quel silenzio apre all’avvento di tutta l’indicibile verità: la vita non muore mai.
Cristò Chiapparino
Penultime parole
Mondadori, 120 pp., 17,50 euro