Per De Laurentiis ora vincere conta: così ha rinnegato se stesso per tenere Conte a Napoli
- Postato il 30 maggio 2025
- Calcio
- Di Il Fatto Quotidiano
- 1 Visualizzazioni
.png)
Se c’è qualcosa che non manca ad Aurelio De Laurentiis nella sua versione presidenziale è sicuramente il coraggio. Coraggio non inteso come rischio: quello no, non è parte (o almeno fino ad ora non lo è stato) del bagaglio del massimo dirigente azzurro, sempre attento ai bilanci e fautore di una politica diametralmente opposta a quella dei colpi a effetto, del modello arabo attuale o di quello berlusconiano e morattiano degli anni ’80 e ’90. No, il coraggio di De Laurentiis è da ricercare altrove: nella capacità di andare contro modelli prestabiliti e apparentemente intoccabili e incrollabili, ad esempio, ponendosi come innovatore in un mondo — come quello del calcio italiano — che tanto disposto a innovarsi non è.
È stato coraggioso, poi, ADL nello strutturare il suo Napoli come una squadra più europea che italiana: con Benitez prima e Sarri poi, puntando su un 4-3-3 e un gioco brillante, piacevole, che ha estasiato tifosi e non solo, pur non portando vittorie. Un’idea calcistica non abiurata negli anni successivi, nonostante alcuni incidenti di percorso come i periodi non brillantissimi con Ancelotti e Gattuso, e che ha poi condotto allo storico terzo Scudetto con Spalletti nel 2023. Un modello di gioco diverso dal simil tiki-taka sarriano e più vicino all’intensità del gegenpressing di Klopp, ma che comunque si basava su meccanismi oliati e automatismi perfetti che, al secondo anno, non solo hanno regalato lo Scudetto, ma anche un’indiscutibile gradevolezza estetica. Si pensi, ad esempio, alle vittorie per 4-0 contro il Liverpool o per 6-1 contro l’Ajax in Champions League, o al 5-1 alla Juventus in Serie A.
Poi l’annus horribilis con Garcia, Mazzarri e Calzona, ed ecco che De Laurentiis ha il coraggio di andare completamente contro se stesso e il suo dogma. Già, perché anche nella ricerca dell’erede di Spalletti, De Laurentiis, tracciando l’identikit, aveva parlato di un allenatore “in grado di portare avanti il nostro 4-3-3 spettacolare”: di spettacolare, in quel che è venuto nei mesi successivi, non c’è stato proprio nulla. E allora il massimo dirigente azzurro ha scelto di abdicare dal bel gioco e dalla spettacolarità, e di puntare sul concreto, scegliendo uno dei massimi capostipiti dell’utilitarismo calcistico: quell’Antonio Conte che, presentandosi, ha subito chiarito dove avrebbe messo le mani, ovvero sui 48 gol subiti nell’anno precedente. Con difesa, fatica e concretezza, Antonio Conte ci ha vinto uno Scudetto: per quanto qualcuno abbia storto il naso, il gradimento di Napoli per il tecnico salentino oggi è a livelli plebiscitari.
Aveva ventilato l’addio, Conte, osannato dal pubblico che gli chiedeva di restare non solo per i risultati ottenuti, ma anche per impedire il ritorno nella Torino bianconera. A favorire la retromarcia del tecnico, però, è stato proprio De Laurentiis, andando completamente contro la filosofia calcistica consolidata in vent’anni: gli ha garantito pieni poteri (cosa mai concessa prima, neppure ad uno come Ancelotti), una campagna acquisti sontuosa e profili come Kevin De Bruyne, fuoriclasse assoluto ma ormai 34enne e con un ingaggio pesante, molto pesante. Un pedigree che finora ha rappresentato la kryptonite per ADL, sempre alla ricerca di campioni in potenza, giovani e in grado di garantire probabili ghiotte plusvalenze.
E in caso di addio di Conte? De Laurentiis aveva bloccato Max Allegri, l’esatta antitesi del sarrismo dei bei tempi, il teologo del “corto muso” e di un modello di fatto opposto a quello immaginato dal patron azzurro: concretezza anziché spettacolarità, risultato anziché prestazione. Una mossa che fece la Juventus dopo l’addio del salentino, sebbene all’epoca Allegri — reduce dall’esperienza al Milan — non avesse ancora la bacheca così piena come ora, con i dodici trofei vinti con i bianconeri (oltre a due finali di Champions).
E a cascata, la conferma di Conte (ed evidentemente anche la sua vittoria) ha portato ugualmente effetti nel calcio italico: Allegri non si è accasato al Napoli ma è tornato al Milan, col telefono di Max che, dopo l’anno di stop post-Juve, si è rifatto rovente. Segno che, probabilmente, la concretezza è tornata di moda. Tornata di moda in casa Milan e (forse) Juve, mentre rappresenta una novità per ADL, laddove di certo influisce anche la volontà di non ripetere gli errori dell’estate 2023, quando la campagna acquisti post-Scudetto fu completamente toppata e si scelse, per il dopo-Spalletti, un profilo come Rudi Garcia, forse unicamente in quanto aziendalista.
Oggi De Laurentiis ha il coraggio di smentire completamente se stesso, virando dall’aziendalista all’uomo-azienda, con l’unico faro del trionfo. Prima considerata una mera eventualità, ampiamente sacrificabile sull’altare dei bilanci in ordine e della bellezza, oggi la vittoria affascina non poco il patron azzurro. Forse non così tanto da affermare che sia “l’unica cosa che conta”, almeno per adesso.
L'articolo Per De Laurentiis ora vincere conta: così ha rinnegato se stesso per tenere Conte a Napoli proviene da Il Fatto Quotidiano.