Per le donne salari più bassi del 25% rispetto agli uomini: colpa di part time e lavoro discontinuo

  • Postato il 28 ottobre 2025
  • Lavoro
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Dimmi se sei uomo o donna e ti dirò che stipendio avrai. Ma soprattutto, ti dirò se il tuo salario sarà più alto o più basso di quello dei colleghi. In Italia, una donna guadagna in media il 25% in meno dei propri omologhi uomini. Un divario di genere che riguarda soprattutto il settore privato. Nelle imprese, secondo quanto rilevato dal Rendiconto sociale dell’Inps presentato oggi martedì 28 ottobre, la retribuzione media nazionale nel 2023 dei maschi si attesta a 107,5 euro giornalieri. Le lavoratrici donne, invece, guadagnano in media 79,80 euro. Cioè quasi 30 euro in meno al giorno. Dati che, secondo la segretaria del Pd Elly Schlein, parlano chiaro: il governo non ha approvato la legge sul salario minimo, e intanto il lavoro povero continua a crescere.

L’ingiustizia sociale, già emersa dal Rendiconto di genere dello stesso istituto di previdenza, pubblicato a febbraio 2025, perdura per tutto l’arco della carriera: le giovani laureate, pur registrando performance mi­gliori nei percorsi di istruzione più elevati, iniziano a lavorare con stipendi già inferiori e mantengono questo svantaggio lungo l’intero percorso lavorativo. Nelle attività finanziarie e assicurative, i maschi guadagnano 216,7 euro e le femmine 147,3 euro. Nella fornitura di energia 171,4 euro i maschi e 145,6 euro le femmine. Fra le attività a maggior addensamento di addetti, la manifattura registra un importo medio di 119 per i maschi e 95,3 per le donne, il commercio 92,3 per i maschi e 79,9 per le donne, i servizi di alloggio e ristorazione 65,6 per i maschi e 54,9 per le donne.

Il divario di genere si ripresenta nella maggior parte dei settori lavorativi, e nella maggior parte dei Paesi del mondo (secondo il Global Gender Gap Report 2025 del World Economic Forum, a livello internazionale ci vorranno 123 anni per raggiungere la piena parità). E non riguarda solo la retribuzione: le donne in Italia vengono assunte meno, rimangono disoccupate più a lungo e spesso hanno contratti part time o discontinui. Proprio l’analisi del divario mensile del rendiconto permette di indagare l’impatto, sulle tasche delle lavoratrici, di misure contrattuali come il part-time. Una soluzione che troppo spesso arriva giocoforza, come sottolineato dalla segretaria confederale della Uil Ivana Veronese: “Le donne sono quasi i due terzi degli occupati part-time, non perché lo scelgano davvero, ma perché i ruoli di genere nella nostra società ancora comportano una distribuzione totalmente iniqua del carico di cura tra uomini e donne”.

Alla base delle disparità, anche problemi strutturali. “I dati di oggi dell’Inps sui divari retributivi di genere indignano, ma solo chi vive su Marte può stupirsi: le donne guadagnano meno degli uomini perché, nei fatti, pagano con le loro retribuzioni, e con le loro future pensioni, l’assenza di servizi di conciliazione adeguati”. Basti pensare che nel 2024, le convalide di dimissioni in Italia da parte di genitori che lavorano sono state quasi 61mila e il 69,6 per cento di queste ha riguardato lavoratrici donne. “Se nella famiglia c’è una qualunque esigenza legata alla cura dei suoi componenti, la risposta, purtroppo, non la si trova nel welfare pubblico – ad esempio, tramite asili nido, tempo pieno nelle scuole, servizi integrati per i periodi di chiusura delle scuole, ma anche assistenza agli anziani o a familiari con disabilità – ma nel tempo delle donne. Tempo che viene sottratto al lavoro, al quale le donne rinunciano completamente o in parte”.

Il rischio è che le donne vengano escluse dal mondo del lavoro. O siano penalizzate a livello economico. “L’attuale distorsione nell’utilizzo del part-time ha un ruolo nell’impoverimento del lavoro femminile. Ricordiamocene anche quando leggiamo i dati sull’aumento dell’occupazione femminile, comunque inferiore rispetto agli altri Paesi Ue: le donne, e il nostro Paese tutto hanno bisogno di occupazione di qualità, di lavoro dignitoso, di non dover scegliere tra la famiglia e la propria indipendenza economica”. Con effetti anche sulla salute mentale: secondo una ricerca di settembre della direzione generale per i Diritti dei cittadini della Commissione Ue, il divario salariale e pensionistico di genere sono tra i fattori che determinano un peggioramento del benessere psichico tra le donne europee.

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Il Fatto Quotidiano

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