Per vedere film d’autore ora bisogna andare alle sfilate d’alta moda. Gli esempi a Milano e Parigi
- Postato il 9 ottobre 2025
- Moda
- Di Artribune
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È terminato pochi giorni fa l’ennesimo ciclo di presentazioni moda, l’ultimo di questo inquieto 2025. Dopo la consueta valanga di hashtag, commenti provenienti da piattaforme più o meno specializzate e TikToker, qualche considerazione può essere aggiunta. Partiamo dai fatti. Il 23 settembre in apertura della fashion week milanese Demna Gvasalia anticipa tutti pubblicando The Tiger, il cortometraggio di 30 minuti costruito per Gucci da Spike Jonze e Halina Reijn. Qualche giorno dopo, da Dolce&Gabbana, il più classico dei fashion show viene arricchito con la presenza di Meryl Streep nei panni di Miranda la protagonista de Il diavolo veste Prada. Ai produttori del fortunato film è stato dato libero accesso per le riprese di un cameo. A pochi secondi dalla conclusione della sfilata, TikTok ribolle di filmati dell’attrice americana seduta in prima fila. Sempre a Milano, mentre alla Fondazione Prada da pochi giorni è aperta l’esposizione Sueno Perro (curata dal cinque volte premio Oscar Alejandro G. Iñárritu), Trussardi sostituisce lo show in passerella con la proiezione di The Gentle Society, un corto girato da Simone Yang.
A Parigi Dior diventa una maison di fantasmi
La settimana successiva, esattamente il 2 ottobre, a Parigi J. W. Anderson dà il via al défilé con un film horror proiettato su una piramide rovesciata sospesa sopra la passerella, per la prima collezione donna disegnata per Dior. Il regista Adam Curtis presenta così la maison Dior come una casa infestata da fantasmi: sono quelli degli stilisti che l’anno abitata in passato; da Christian Dior, Yves Saint Laurent, Marc Bohan, Gianfranco Ferré, John Galliano, Hedi Slimane, Kris Van Assche, Raf Simons, Kim Jones e Maria Grazia Chiuri. Il tutto è inframezzato da testimonial celeberrimi e spezzoni di show precedenti, fulmini, urla e lampi di sangue. Qualcuno lo ha interpretato, forse a ragione, come un’allusione al fatto che l’industria della moda sia, particolarmente in questo momento, simile a uno gioco sanguinario. Negli stessi giorni Brunello Cucinelli annuncia l’uscita (programmata per dicembre 2025) di un fashion film dal titolo Brunello un visionario garbato per la regia di Matteo Garrone.






Il fenomeno del fashion film
La liaison della moda con il cinema non è una novità, risale alla seconda metà del XVIII Secolo. Tuttavia, di recente, l’abbraccio è divenuto più intenso e le modalità di utilizzo reciproco sono diventate tanto ramificate da meritare qualche distinguo. Sono fashion film a pieno titolo quelli realizzati per Cucinelli, Gucci, Trussardi e Dior, fanno parte della categoria che gli studiosi di cinema indicano come utility film, pellicole dunque non direttamente finalizzate all’intrattenimento. Altra cosa sono i teaser, le collaborazioni o le produzioni di pellicole d’intrattenimento a pieno titolo come quelle presentate di recente a Cannes da Saint Laurent Production. Il fashion film nello specifico si sviluppa a partire dagli Anni Cinquanta ed è l’industria tessile, in questo caso, ad ingaggiare celebri cineasti: non il contrario, come avvenuto in precedenza con pellicole dove lo stilista di turno veniva chiamato a collaborare alla produzione nel ruolo di costumista. Lo scopo del fashion film è mirato: si tratta di confezionare presentazioni immersive con cui mostrare al pubblico il proprio lavoro. Possono già essere considerati fashion film le animazioni con cui il Gruppo Finanziario Tessile e Marzotto, negli Anni Cinquanta, si contendono l’attenzione del pubblico italiano utilizzando il grande come al piccolo schermo. Ogni uomo corre contento per il Gruppo Finanziario Tessile e Un nuovo modo di Vestire per Marzotto, compaiono nel 1955. Il drop perfetto ancora per Marzotto nel 1959, mentre Vi sta a pennello nel 1960 per Facis.
Il fashion film negli anni Dieci e Venti del nostro secolo
Più vicino a noi, Sofia Coppola nel 2010 si occupa della campagna di Miss Dior. Nel 2011 Karl Lagerfeld, dirige personalmente il cortometraggio Once Upon a Time… con Keira Knightley per celebrare il centenario di Chanel e la nascita di Coco Chanel. Patrick Jean nel 2015 realizza per Hermés La flânerie, dove le strade di Parigi fanno da scenario a una serie di accessori della maison francese. Non sono gli unici. Prada nel 2013 presenta A Therapy a Cannes con Ben Kingsley e Helena Bonham Carter. Cannes fa da piattaforma di appoggio anche Saint Laurent per Lux Æterna (2019) girato da Gaspar Noé. Gli effetti dell’emergenza sanitaria legata alla pandemia che ha travolto il pianeta tra il 2019 e il 2023 hanno poi inciso sui codici di rappresentazione dell’intero sistema. Demna Gvasalia per Balenciaga lo sperimenta nel 2020 con cortometraggi distopici che rappresentano un’estensione della collezione s/s 2020. Alessandro Michele trasforma le campagne pubblicitarie che dirige per Gucci in fashion film di varia lunghezza collaborando con Harmony Korine e Gus Van Sant per la serie Ouverture of Something That Never Ended (2021) presentata al GucciFest. Matteo Garrone con Maria Grazia Chiuri (ai tempi alla guida di Dior) realizza tre cortometraggi: Le Mythe Dior per la Couture A/I 2020-2021, Le Château du Tarot per la Couture P/E 2021 e Les Fantômes du Cinéma per la Cruise 2026.

La sfilata come performance
Il ciclo di sfilate appena concluso ha risentito della situazione che, per le strade delle grandi città europee, ha visto centinaia di migliaia di persone reagire davanti all’orrore quotidiano diffuso dai media presenti nella Striscia di Gaza. La macchina delle presentazioni non si è fermata, ma proprio nell’ultimo giorno del calendario parigino Alessandro Michele per Valentino ha dato vita a una fashion performance, che ha nobili precedenti negli “eventi festosi” che Paul Poiret all’inizio del secolo scorso organizza a Parigi. Più vicino a noi, in Voss di Alexander McQueen nel 2001 o nel Jean Paul Gaultier fashion freak show andato in scena al Folies Bergère nel 2018. Per la presentazione della collezione s/s 2026 del brand Valentino, una voce fuori campo all’inizio dello show ha lungamente citato le riflessioni di Pier Paolo Pasolini tratte da una lettera del 1941. La stessa voce che nel finale dello show cita in un testo dei suoi Scritti Corsari dal titolo L’articolo delle lucciole (1975) dove Pasolini utilizza un’immagine, la scomparsa delle lucciole, per rappresentare un drammatico mutamento storico e antropologico che egli considera un “genocidio”. In quel momento modelle e modelli ritornati al centro della pista rivolgevano lo sguardo vero un cielo costellato talvolta da punti luminosi e talvolta di neon rotanti. Alle lucciole di Pasolini alludevano i primi: e a questo significato si sono conformati tutti i commentatori. Ai droni da combattimento insinuatisi come orribili parassiti nelle nostre coscienze gli altri. Si può dire? Forse non piace… eppure è così evidente.
Aldo Premoli
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L’articolo "Per vedere film d’autore ora bisogna andare alle sfilate d’alta moda. Gli esempi a Milano e Parigi " è apparso per la prima volta su Artribune®.