Phisikk du role – Macron un ragazzo, forse sì, ma dotato di carisma da leader
- Postato il 1 agosto 2025
- Esteri
- Di Formiche
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Che cos’è la leadership, il carisma che diventa anche fatto istituzionale e si fa riconoscere, lo raccontano le scienze della politica, della psiche, la sociologia, l’antropologia e, da qualche decennio, le dottrine che analizzano i mass-media. Certo, da un po’ tempo, con l’avvento del digitale, le virtù e i talenti necessari a definire la leadership si mischiano con la potenza pervasiva del mezzo, fino a toccare il limite della fantascienza con l’AI e la possibilità di “costruire” fake-leader, imbastiti con i desiderata del popolo tratti dai sondaggi quotidiani che concediamo con il nostro smartphone.
Tutto questo ha pure un nome: populismo digitale. Ma, restando per un momento al di qua del limite oltre il quale non ha più senso l’umano, possiamo dire che la leadership sia, in democrazia, la capacità di incidere nella realtà collettiva in forza di una funzione di rappresentanza legittimamente conferita. Può accadere che di suo la funzione sia legata ad un ruolo incommensurabile, come nel caso di un capo di Stato al vertice di grandissime potenze (vedi Trump, per esempio): in questo caso il leader sarà giocoforza autore di gesti politici comunque importanti, data la rilevanza dello Stato che rappresenta. Qualunque cosa dica, qualunque cosa faccia, dalle mutevoli minacce daziarie alle bombe, dall’auto-candidatura al Nobel per la pace, al sodalizio con Netanyahu, lascerà il segno.
Come lo lascerebbero Xi, Putin (purtroppo), ed ogni altro leader di Stati-continenti. Ma la leadership non è solo potenza, è anche visione, progetto, cultura, abilità. Anzi: si può dire che la leadership politica si manifesti soprattutto con quelle qualità. Prendiamo Emmanuel Macron, il Presidente di una Repubblica europea certamente importante ma non paragonabile al peso che sullo scacchiere globale compete agli Usa. Gli osservatori malevoli lo descrivono come un capo in difficoltà nella politica interna e, in effetti, i risultati elettorali non lo premiano, però è qui che viene fuori il senso della sua leadership: se nonostante tutto è riuscito da otto anni ad essere eletto per due volte alla Presidenza della Repubblica, fermando l’onda nera lepenista del sovran-fascismo francese, e a porre a capo del governo, nel momento di conclamata debolezza elettorale per l’area centrista di cui è riferimento, l’ultimo democristiano circolante in Francia, Bayrou, beh, vuol dire che Macron la politica la sa fare veramente.
Ma è sul piano internazionale che la sua abilità si fa apprezzare maggiormente. Nonostante le accuse di sciovinismo e qualche sbaffo di grandeur, retaggio forse gollista e degli studi all’Ena, è rimasto sempre sul pezzo di un’Europa unita e autonoma, capace di svolgere un ruolo internazionale senza subalternanze, mostrando una rara attenzione al Mediterraneo, cercando di non delegare a terzi o a quarti negoziati di pace che coinvolgano il nostro continente. Da ultimo, magistrale è apparso l’annuncio del riconoscimento della Palestina, accolto da Trump con uno stizzito e paternalistico: “Macron è un bravo ragazzo ma non conta nulla”.
E invece c’è stata la valanga: ancora 14 Stati, dopo i primi 147 (tra cui, com’è noto, anche il Vaticano) che lo hanno fatto già da tempo, si apprestano a riconoscere la Palestina, in prima fila Germania e Regno Unito. A settembre, nella prossima assemblea dell’Onu più dell’83% del mondo intero riconoscerebbe così lo Stato palestinese. Probabilmente non ci sarebbe stata quest’accelerazione in favore della Palestina, che assume una straordinaria valenza politica, senza l’azione militare di Netanyahu contro i civili nella Striscia di Gaza, che ha destato lo sdegno della pubblica opinione mondiale. Ma non si può negare che, come una sofisticata carambola a biliardo, la presa di posizione dei maggiori Stati europei (Italia esclusa) abbia anche il sapore di una risposta politica a Donald Trump che si attesta su posizioni di sostanziale e indefettibile supporto alla guerra messa in campo dal suo collega israeliano, non contro i terroristi di Hamas, ma contro i poveri cristi della Striscia.
Ci auguriamo, ovviamente, che questa storia inutilmente e insopportabilmente sanguinosa finisca oggi: è durata troppo, sotto gli occhi ormai estenuati di chi vede ogni giorno in tv il bollettino in diretta dall’inferno. Tuttavia, se qualche cosa accadrà subito, forse lo dovremo a “quel bravo ragazzo che non conta nulla” di Macron, che ha compiuto un gesto politico intelligente e spiazzante. Un ragazzo, forse sì, al cospetto di Trump. Ma dotato del carisma da leader. A differenza di altri..