Piove sul bagnato: sopravvivere tra disastri e cyberattacchi

  • Postato il 2 settembre 2025
  • Di Panorama
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“Piove sempre sul bagnato.” È un proverbio, uno di quei luoghi comuni condivisi e diventato tale per tante buone, empiriche ragioni. Così, quando il mio infaticabile amico Lorenzo Motta mi ha segnalato uno studio che metteva in relazione gli eventi climatici estremi con gli attacchi cyber, spiegando come i secondi moltiplichino gli effetti dannosi dei primi, ho pensato di estendere la ricerca. Effettivamente ho scoperto che quando la realtà entra in crisi, il cyberspazio non rimane tranquillo; si allinea, amplifica, talvolta precede. Le crisi fisiche e digitali non arrivano in fila, ma in coro. La pandemia ci ha fatto da scuola. Nel 2020 l’OMS denunciò un aumento quintuplicato degli attacchi ai propri sistemi; la paura diventò esca, l’urgenza l’arma. In poche settimane il settore sanitario fu investito da ransomware con una crescita percentuale di attacchi di quasi il 50 per cento. Nel maggio 2021 l’Irlanda spense i sistemi informatici della sanità pubblica: si tornò a carta e penna, il tempo si accartocciò. Quando l’infrastruttura vacilla, non si interrompe solo un servizio, si interrompe un modo di essere al mondo.

Anche la guerra produce il suo doppio digitale. Con l’invasione russa dell’Ucraina, energia, telecomunicazioni, finanza e amministrazioni sono diventate bersagli prioritari: il 2022 ha segnato un record di incidenti gravi contro infrastrutture energetiche, un settore che non è come gli altri: è la condizione di possibilità degli altri.

Si potrebbe dire, filosofeggiando, che in tempo di crisi “intenzioniamo” ciò che diventa utilizzabile per cavarsela subito. E proprio nel regno dell’“utilizzabile” fiorisce l’inganno. Phishing a tema bollette durante il caro-energia; campagne malevole travestite da comunicazioni sanitarie nel 2020; sabotaggi informatici in sincronia con operazioni militari. Ogni evento straordinario costruisce un orizzonte del reale che gli attaccanti abitano prima di noi.

Che cosa resta, allora, della parola “resilienza”? È diventata il nostro mantra tecnico e morale: cadere, rialzarsi, “tornare come prima”. Ma la resilienza, da sola, rischia di essere un mito consolatorio – una fenice aziendale che promette rinascite indefinite. E se, in circostanze estreme, non si potesse rinascere? Se l’incendio consumasse non solo le piume, ma anche il nido?

Per questo forse si dovrebbe affiancare alla resilienza la resistenza, l’arte di tenere mentre si è colpiti che non promette il ritorno, ma garantisce la continuità sufficiente per attraversare “l’ora più buia”. In pratica all’agilità affianchiamo la muscolatura. Abbiamo bisogno di sistemi informatici solidi e di processi altrettanto solidi che possano prescindere dal digitale.

“Piove sempre su bagnato”, dunque, non è più un semplice proverbio: è una diagnosi. Se sappiamo che la pioggia cadrà dove già siamo bagnati, può essere utile coprirsi prima, ma soprattutto dobbiamo imparare ad andare avanti appesantiti dall’acqua e senza aspettare che il sole ci asciughi. La resilienza ci promette un domani; la resistenza ci può consegnare un oggi praticabile. In tempi di crisi simultanee, è già molto. E, a volte, potrebbe essere tutto.

Autore
Panorama

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