Plant based d’autore: la nuova frontiera della cucina vegetariana

  • Postato il 24 agosto 2025
  • Di Panorama
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In Francia, Alain Passard ha convertito al vegetale L’Arpège, tre stelle Michelin a Parigi. Non serve più carne e pesce, nemmeno uova, formaggi e burro: ci vuole coraggio a far sparire il burro, Oltralpe lo trovi dappertutto. Si salva il miele: il lavoro delle api non subisce, per ora, la ghigliottina del grande chef.

In Italia siamo ancora lontani dal riconoscere un posto d’onore nella ristorazione alla cucina vegetariana e vegana, che ne è il sottoinsieme più rigoroso (niente prodotti di derivazione animale). Ma piano piano, per opera di tenaci cuochi e patron, sulle orme di guru quali Pietro Leemann e Niko Romito, i locali plant based (così si dice oggi) sono usciti dall’ombra. Non più luoghi penitenziali, ammesso lo siano mai stati, dai quali scappare per infilarsi in un ristorante generoso di carni succulente, arrosti sfrigolanti, pesci dorati.

No, i plant based sono paradisi gustativi, con piatti tentatori, perfino belli da vedere. Erbe, piante, grani, farine, legumi, frutta, fiori, danno stimoli al palato, lasciano soddisfatti. Mangiarli è una festa, da celebrare in compagnia, con ottimi vini, cocktail, tè e bevande analcoliche, secondo il proprio desiderio.

Durante la canicola, sfidando i copiosi temporali estivi, ecco cosa abbiamo scoperto. Partiamo da Isernia, in Molise, città discosta, fuori dalle rotte turistiche usuali. In un suo angolo, nella casa che era l’officina del maniscalco quando si viaggiava a cavallo e in diligenza, brilla un gioiello: Ausa.

Anisia Cafiero e Pasquale De Biase, entrambi chef, entrambi formatisi alla scuola di Romito nel vicino Abruzzo, sodali nel lavoro e fusi in perfetta coppia nella vita, con l’aiuto del papà di lei (Enzo, commercialista che mette in pratica la passione di una vita tra i tavoli) hanno scommesso su un ristorante di classe e totalmente vegetariano.

Si fossero rivolti a una società di consulenza, gli avrebbero dato dei pazzi: un plant based, a Isernia, lontano dai rutilanti quartieri delle metropoli. Invece Ausa, aperto poco più di un anno fa, si è ritagliato uno spazio, dà lustro gastronomico a Isernia (città da scoprire, con un ricchissimo museo del Paleolitico) e rappresenta al meglio la new wave vegetale italiana. Provate il connubio pomodori e fragole, le fettuccine carota e salvia, i tortelli con il tartufo nero estivo locale, la pizza di granturco, i formaggi. Assaggiate l’olio del Molise, il burro insaporito al rabarbaro.

Anisia e Pasquale non mancano di citare il maestro Niko Romito, mentre arriva il gelato alle foglie di fico e ciliegia. Il Romito che assieme alla sorella Cristiana ha trasformato Castel di Sangro, nei boschi abruzzesi, in meta gastronomica e di ospitalità, con il ristorante Reale, tre stelle Michelin (e nove camere ricavate nell’ex monastero del Cinquecento). Fa una cucina votata al vegetale, convinto che erbe e piante siano il vero tesoro della Penisola, non sfruttato a dovere dagli chef. Nel suo laboratorio mette a punto pani, lievitati, biscotti. Al Reale abbiamo puntato su melanzana e caramello di pesca, spaghetti e bieta, assoluto di cipolle con Parmigiano Reggiano e zafferano tostato. E siamo entrati in sintonia panica con i boschi e le vigne.

Con stella rossa e stella verde Michelin, lo chef Davide Guidara, che ha stilato il «Manifesto della nuova cucina vegetale», regna a I Tenerumi, locale all’interno del Therasia Resort, sull’isola di Vulcano. Menu con prodotti dell’orto a un passo, valorizzati da macerazioni e fermentazioni, serviti in piccole porzioni, da gustare immersi nel blu delle Eolie. Il nome del ristorante non inganna: tenerumi sono i germogli e le foglie giovani della zucchina siciliana (detta «cucuzza longa»), usati per contorno, minestre, frittate; epitome della versatilità vegetale, di cui Guidara è massimo interprete.

Prima di esplorare Roma e Milano, facciamo sosta da Federico Marino, a San Miniato (PI), in Toscana. Nel cuore della città dove insegnò Giosuè Carducci, chef Marino manda avanti con passione Il Maggese, ristorante vegetariano. Che così presenta: «Una cucina non di privazione, ricca di gusto e senso etico».

Marino è stato a Milano sous chef di Pietro Leemann, storico guru (poi ne parliamo) della cucina vegetariana, e ha lavorato in Giappone, realtà gastronomica i cui influssi si sentono, eccome, nei piatti del Maggese. Abbiamo apprezzato lo Yakimono all’italiana, anguria arrosto con shiso, shiitake e kombu dashi reinventati alla toscana, e i golosi dobloni di patate con salsa montata di peperoni e caprino fresco di Gambassi. Tanta creatività, un tocco di genio: è la cifra della nuova onda vegetale che percorre la Penisola.

E ora Roma, al Mater Terrae, ristorante biologico, biodinamico, vegetariano e veg-gourmet. Interno al Bio Hotel Raphael, dove persino la colazione non ha proteine animali, è una sicurezza, oltretutto con magnifica vista sulla Città Eterna. Stella verde Michelin, è guidato dallo chef siciliano Ettore Moliteo, propugnatore della «cucina intelligente»: leggi vegetale, dunque etica e sostenibile.

Milano, che abbiamo lasciato per ultima, è stata la culla della cucina vegetale, con il già citato Pietro Leemann, fondatore del Joia, primo ristorante vegetariano europeo premiato dalle stelle. Leemann ha lasciato ai suoi bracci destri Sauro Ricci e Raffaele Minghini l’onere e l’onore di portare avanti una filosofia culinaria dal tocco mistico. Dopo l’addio al ristorante Joia di Milano, Pietro Leemann ha deciso di ritirarsi progressivamente dalla scena gastronomica per dedicarsi a un percorso spirituale in Svizzera. Il sogno di Leemann è fondare (vicino a Locarno) una comunità a 900 metri di quota, dove vivere da monaco della tradizione indiana Krishnaita.

Sempre a Milano, altri due allievi di Leemann, Sara Nicolosi e Cinzia De Lauri, hanno successo con Altatto, minuscolo locale dove i comandamenti vegetariani vengono religiosamente rispettati. Per tutti, niente dolore, niente sangue nel piatto. Stavamo per scrivere niente vita da mangiare, ma ci siamo ricordati che pure i vegetali sono vivi, hanno sensibilità, addirittura intelligenza, come indicano gli studi di Stefano Mancuso, e ancora prima le riflessioni di Giacomo Leopardi o di un dimenticato fisico e filosofo tedesco dell’Ottocento, Gustav Theodor Fechner. Quest’ultimo sosteneva, nel saggio Nanna (sarebbe la dea vichinga della pace), pubblicato da Adelphi, che le piante hanno un’anima. Ricordiamolo, mentre mangiamo un ravanello o una zucchina: il mistero universale della vita si nasconde anche lì.

Plant based d’autore: la nuova frontiera della cucina vegetariana
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Autore
Panorama

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