Portaerei, bombardieri e F35: il risiko degli Usa in vista di un attacco all’Iran

  • Postato il 18 giugno 2025
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La prima avvisaglia era stata la portaerei USS Nimitz che non era attraccata in Vietnman, come da programma, ma aveva lasciato il Mar Cinese meridionale per dirigersi verso il Medio Oriente. Poi è stata la volta di oltre 30 rifornitori aerei spediti nella regione negli ultimi giorni. Quindi ci sarebbe stato l’invio di altri F22, F35 e F16 e il largo preso da tutte le navi della Marina statunitense di stanza in una base navale del Bahrein, situata sulla costa del Golfo Persico. Quindi è arrivata l’ultima decisione: la portaerei Gerald R. Ford verrà dispiegata in zona. Gli Stati Uniti aumentano la loro presenza in zona in vista della possibile “luce verde” da parte di Donald Trump a un attacco diretto all’Iran, probabilmente con l’obiettivo di sventrare i bunker sotterranei di Fordow, dove il regime di Teheran porta avanti il suo programma nucleare.

Anche in quest’ottica Ynet, uno dei media israeliani meno critici nei confronti di Netanyahu, legge l’avvistamento di 4 bombardieri B-2 dell’esercito degli Stati Uniti sull’isola di Diego Garcia, una base militare nell’Oceano Indiano. Le foto satellitari dell’isola scattate lunedì hanno mostrato questi quattro bombardieri, in grado di trasportare un carico fino a 18 tonnellate e di volare senza rifornimento per un’autonomia fino a 11.000 chilometri. Si tratta degli unici velivoli dell’aeronautica statunitense previsti per il trasporto della gigantesca bomba Mop – abbreviazione di Massive Ordnance Penetrator – da 12,3 tonnellate, nota anche con il nome in codice GBU-57, uno dei pochi strumenti militari in grado di distruggere bunker come quello di Fordow.

Si tratterebbe dell’ultima mossa di un risiko che va avanti da giorni. Con l’invio in zona di Nimitz e Ford salgono a tre le portaerei in zona (l’altra è la Carl Vinson) aumentando – e di molto – la possibile potenza di fuoco o comunque la rapidità di reazione difensiva in caso di intensificazione dei raid iraniani su Israele. Ma che ipoteticamente qualcosa di grosso bolle in pentola, almeno in chiave di supporto, è diventato più chiaro con lo spostamento di 30 rifornitori aerei negli ultimi giorni. Funzionari anonimi hanno spiegato alla Cnn che sono stati indirizzati in zona – dove si sono visti anche aerei militari tedeschi e della Raf britannica – per offrire a Trump e al Comando Centrale Usa, guidato dal generale Erik Kurilla, soprannominato “il Gorilla”, valide opzioni qualora gli Stati Uniti volessero aumentare il loro coinvolgimento.

Un altro sentore sembra essere la mossa di far salpare tutte le navi della Marina statunitense e alleata che erano di stanza nella base navale del Bahrein, situata sulla costa del Golfo Persico, come fatto notare da diversi analisti militari sui social. Mosse reali o fumo negli occhi, si vedrà. Di certo Trump sembra ascoltare molto Kurilla, il falco del Pentagono che sta spingendo per una forte azione militare Usa. Negli ultimi giorni, ha fatto notare Politico, il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha dato al capo del Comando Centrale, responsabile per le truppe Usa in Medio Oriente, un “insolito livello di autorità”, anche a scapito di altri alti ufficiali del Pentagono.

Il generale Kurilla starebbe “giocando un ruolo riservato, ma decisivo per i prossimi passi Usa nei confronti dell’Iran”. Il capo del Centcom ha avuto molto più accesso a Trump di altri generali, perorando la necessità di muovere maggiori asset militari nella regione. Anche contro il parere dello stesso capo degli Stati maggiori riuniti, il generale Dan Caine, il quale, rivelano ancora le fonti, invitava alla cautela di fronte ad un eccessivo coinvolgimento in Medio Oriente. Il risiko del “Gorilla” sembra prendere il sopravvento.

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