Processo a Carabinieri e forze dell’ordine: quando fare il proprio dovere diventa reato

  • Postato il 31 luglio 2025
  • Di Panorama
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Credevo di aver visto tutto, ma pur facendo il cronista da mezzo secolo ancora non mi era capitato di dover assistere al processo ad alcuni servitori dello Stato per aver fatto il proprio dovere. Non voglio dire che i pm sbaglino e neppure che si tratti di magistrati comunisti che detestano le forze dell’ordine. Ma se siamo arrivati al punto che i militari devono rendere conto di qualsiasi evento, anche di quelli che non dipendono dalla loro volontà, allora vuol dire che c’è una legge da cambiare in fretta.

Un carabiniere sotto accusa dopo un inseguimento

Mi spiego. Qualche settimana fa ho commentato la condanna per resistenza a pubblico ufficiale di Fares Bouzidi, il tunisino che, non fermandosi all’alt dei carabinieri, ha provocato la morte dell’amico egiziano in fuga con lui. Ma dopo la sentenza con cui è stato sanzionato il giovane extracomunitario, è arrivato l’annuncio di chiusura indagini anche a carico dell’autista dell’Arma, la cui vettura, dopo aver toccato inavvertitamente lo scooter a causa di un’improvvisa sterzata a destra della moto, ha travolto e ucciso Ramy Elgaml.

Al carabiniere è contestato il reato di omicidio colposo, perché avrebbe inseguito i due fuggiaschi a distanza troppo ravvicinata. Qualcuno mi dovrebbe spiegare come si fa a dare la caccia a chi scappa restando lontano. Franco Gabrielli risponderebbe “prendendo la targa”, ma solo perché invece di inseguire i criminali forse l’ex capo della Polizia insegue qualcos’altro.

Da che mondo e mondo, se vuoi impedire a qualcuno di darsi alla macchia lo talloni. Ecco, per aver fatto il proprio dovere, un carabiniere dovrà prendersi un avvocato e difendersi da un’accusa infamante, ovvero di aver provocato la morte di un ragazzo con un comportamento colposo.

Anche la Guardia Costiera e la Finanza a processo per Cutro

Il militare coinvolto nell’incidente di Milano, tuttavia, non sarà il solo. Insieme a lui, a Crotone, andranno a processo anche ufficiali e sottufficiali della Finanza e della Guardia costiera. A loro il gip contesta i reati di naufragio e omicidio colposo plurimo.

La vicenda risale alla fine di febbraio di due anni fa: un caicco proveniente dalla Turchia, a causa delle condizioni proibitive del mare, ma soprattutto di una manovra improvvisa dello scafista che conduceva la barca, naufragò e nel disastro perirono 94 persone. Un tribunale ha già condannato a 16 e 20 anni di carcere gli uomini dell’organizzazione malavitosa che congegnò la traversata, mettendo a repentaglio la vita di donne e bambini.

Ma ai magistrati evidentemente questo non basta, perché, secondo loro, la colpa del naufragio è da addebitarsi pure a chi avrebbe dovuto soccorrere il barcone.

Nessuna richiesta di soccorso e caicco fuori dalle acque italiane

Premessa: il battello naufragato a Cutro non ha mai lanciato una richiesta di soccorso e le segnalazioni che erano state fatte ore prima dall’aereo di Frontex, non soltanto non davano la certezza che a bordo vi fossero dei migranti, ma segnalavano che il caicco navigava tranquillamente a 40 miglia dalla costa, cioè fuori dalle acque italiane.

Viste le premesse, sia gli uomini della Finanza che quelli della Guardia costiera non hanno ritenuto né di attivare un’operazione di polizia né di far partire un’operazione di soccorso. Scelta logica, direi di assoluto buon senso. Le navi delle Fiamme gialle sono uscite in mare, ma quando al largo le condizioni hanno iniziato a peggiorare sono rientrate.

Regole rispettate, ma la colpa resta sulle divise

In base alle regole d’ingaggio decise nel 2022 da un tavolo tecnico al ministero dell’Interno, quando a Palazzo Chigi c’era Mario Draghi e al Viminale Luciana Lamorgese, i militari hanno fatto il loro dovere, rispettando le norme e non avviando né la macchina anti-immigrazione né quella dei soccorsi. Successivamente e per un errore degli scafisti, i quali hanno bruscamente invertito la rotta, scambiando le luci di Cutro per quelle delle motovedette delle forze dell’ordine, il barcone è affondato.

Così, come nel caso del carabiniere “colpevole” di aver inseguito da vicino due persone in fuga, gli uomini della Gdf e della Guardia costiera sono “colpevoli” di aver rispettato le regole e di non aver immaginato, nonostante nessuno avesse chiesto di essere soccorso, che la nave clandestina potesse colare a picco.

Insomma, alle forze dell’ordine si chiede di fare il loro dovere, ma anche di non farlo: inseguendo i fuggiaschi senza inseguirli e salvando, in barba alle regole, pure chi non dice di voler essere salvato.

Per sapersi districare fra queste leggi ipotetiche, più che un codice penale serve un codice mentale. Per capire che cosa c’è nella testa dei magistrati.

Autore
Panorama

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