Processo civile, la durata in primo grado torna a crescere invece di diminuire. E il target Pnrr ora è quasi irraggiungibile
- Postato il 14 maggio 2025
- Giustizia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Nonostante i miliardi europei investiti per velocizzarla, la durata dei processi civili in Italia ha smesso di diminuire. Anzi, in primo grado è addirittura tornata a crescere: nel 2024 è stata in media di 488 giorni, contro i 486 del 2023. E l’obiettivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che impone di abbatterla del 40% entro la metà del 2026, ormai è quasi impossibile da centrare. A dirlo è il monitoraggio statistico aggiornato al 31 dicembre dello scorso anno, pubblicato a inizio aprile dal ministero della Giustizia guidato da Carlo Nordio: come ha osservato per primo il Sole 24 ore, l’indicatore più preoccupante riguarda proprio il disposition time, cioè il tempo medio di smaltimento dei fascicoli nei tre gradi di giudizio, che è sceso molto meno di quanto si sperava.
Il dato di partenza (baseline) adottato dal Pnrr è quello del 2019, quando per un verdetto definitivo servivano 2.512 giorni, quasi sette anni. Una lunghezza monstre che il governo si è impegnato ridurre del 40% entro il 30 giugno dell’anno prossimo, portandola almeno a 1.507 giorni (quattro anni circa). Nell’arco degli ultimi 12 mesi, però, la corsa si è impantanata: dopo aver segnato un -11,8% nel 2022 e un -17,4% nel 2023, nel 2024 il disposition time è calato di pochissimo, da 2.075 a 2.008 giorni (cinque anni e mezzo), appena il 20,1% in meno rispetto alla baseline. Ne consegue, ammette lo stesso ministero nella relazione, che “il raggiungimento dell’obiettivo richiederebbe un ulteriore decremento del 19,9% da conseguirsi in un anno e mezzo“: in sostanza, in soli 18 mesi bisognerebbe raddoppiare il risultato raggiunto dal 2019 a oggi. Un’impresa disperata o quasi. Il secondo semestre del 2024, peraltro, ha peggiorato sensibilmente il risultato del primo: al 30 giugno, infatti, risultava una riduzione pari al 22,9%, con una durata media scesa a 1.936 giorni.
Dalla tabella riportata nel documento emerge che a fare da “zavorra” sono stati soprattutto i processi di primo grado. Lo scorso anno, infatti, i Tribunali non sono riusciti a ridurre nemmeno di un giorno il loro disposition time, che al contrario è aumentato dello 0,4% (due giorni) rispetto al 2023, assestandosi al -12,2% rispetto al 2019. Male anche le Corti d’Appello – gli uffici di secondo grado – che nel 2024 hanno accorciato di soli dieci giorni la durata media dei processi, arrivando appena al -11,8% rispetto alla baseline. A trainare invece è la Cassazione con il suo -27,5%: senza il contributo della Corte Suprema, la riduzione negli ultimi 12 mesi sarebbe stata praticamente nulla.
Secondo la relazione del ministero, il mancato progresso nei Tribunali è causato da un accumulo di fascicoli: nel 2024 infatti c’è stato un notevole aumento delle cause iscritte, +12,4%, per un totale di 102.313 in più rispetto al 2023. Un’impennata che ha riguardato soprattutto i procedimenti in materia di protezione internazionale (+65,7%) e cittadinanza (addirittura +89%). Dall’altro lato, il numero delle definizioni – cioè dei procedimenti “smaltiti” – è rimasto pressochè invariato (+0,1%). La conseguenza è che, per la prima volta dal 2019, i fascicoli pendenti in primo grado non si sono ridotti, ma anzi sono aumentati dello 0,3% rispetto all’anno precedente: 1.231.791 contro 1.228.664.
A causa di questo sovraccarico di lavoro è stato formalmente mancato anche un altro importante obiettivo del Pnrr, lo smaltimento del 95% dell’arretrato accumulato al 2019 dai Tribunali: al 31 dicembre dell’anno scorso, scadenza intermedia concordata con l’Europa, la riduzione si è fermata al 93,2%, con quattro sedi sotto la soglia dell’80%. Secondo il ministero tratta di un risultato “nei limiti di accoglimento“, che quindi non dovrebbe mettere a rischio i fondi destinati all’Italia. A dire l’ultima parola, però, sarà la Commissione di Bruxelles.
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