Quando il calcio si ribella alla storia: l’imprevisto titolo del Defensor che diventò atto di ribellione alla dittatura militare

  • Postato il 25 luglio 2025
  • Calcio
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il 25 luglio 1976 è una data scolpita nella memoria dello sport uruguaiano: il Defensor Sporting, sotto la guida del visionario Ricardo De León, rompeva la storica egemonia di Peñarol e Nacional, conquistando il suo primo titolo nazionale. Era la fine di 44 anni di monopolio delle due “grandi” del fútbol oriental. Fino ad allora, dal 1932 – anno in cui nacque il campionato professionistico uruguaiano – la corsa al titolo era stata una poltrona per due: 23 allori per il Nacional, 20 per il Peñarol. L’unica eccezione era stata il campionato del 1948, interrotto dopo uno storico sciopero dei calciatori. Il 1976, dunque, segnava un punto di svolta epocale: per la prima volta, infatti, un terzo incomodo sollevava l’ambito trofeo.

Oltre ai significativi sportivi, comunque di rilevanza storica, però, c’era molto di più. In un Uruguay schiacciato dal giogo della dittatura militare, nel cuore degli anni segnati dall’Operazione Condor – che aveva fatto sbucare dittature filoamericane in ogni angolo del Subcontinente – il Defensor era molto più di una squadra: era un vero e proprio simbolo di resistenza politica, sociale e culturale. Non a caso la Violeta, radicata nel barrio montevideano di Punta Carretas, era tenuta sotto stretta sorveglianza dagli apparati di polizia del governo autoritario di Juan María Bordaberry, il presidente che nel 1973 aveva sciolto il Parlamento, istituendo una dittatura civile-militare.

Il motivo di tanta preoccupazione e attenzione era semplice. Diversi componenti della rosa e dello staff del Defensor, infatti, erano simpatizzanti o addirittura affiliati al Frente Amplio, un movimento politico di sinistra, messo naturalmente all’indice dalla dittatura. Pedro Graffigna, una delle stelle più luminose della squadra, era anche l’osservato speciale. Una volta era anche stato fermato ad un posto di blocco con in tasca una tessera del CNT, il sindacato dei lavoratori. Un fatto che normalmente avrebbe comportato l’arresto, ma in quel caso era stata la fama (era un centrocampista nel giro della nazionale, con 14 presenze all’attivo con la maglia della Celeste) a risparmiargli il carcere.

Andò, invece, decisamente peggio ad un giovane Victor Hugo Morales. Il futuro leggendario radiocronista del “gol del siglo” di Diego Armando Maradona contro l’Inghilterra ai Mondiali messicani del 1986, allora ventottenne, seguiva stabilmente le partite del Defensor. Alla quarta giornata, durante Defensor-Nacional, in cabina di commento c’era lui. La gara era terminata 2-2 ed era stata segnata dal mirabolante esordio di Julio Filippini: oltre ad aver realizato un gol, Filippini si era procurato anche un rigore. A fine partita, poi, il promettente attaccante della Violeta si era presentato davanti ai microfoni, dedicando il gol al fratello e ai suoi compagni Tupamaros, detenuti nel carcere di Libertad. Il “Maestro” Morales, in diretta, lo aveva applaudito durante la radiocronaca, esclamando un coraggioso “bien, recibido“, che gli sarebbe costato molto caro. Poche ore dopo, infatti, fu trattenuto per essere interrogato. Filippini, invece, non avrebbe mai più messo piede in prima divisione. “Avevo pensato di salutare mio fratello. Sapevo che stava ascoltando la radio”, ha ricordato recentemente Filippini in un’intervista al portale Pagina 12. “Mi è venuto in mente: se segno un gol, glielo dedico, mi sono detto”.

La squadra, intanto, continuava a macinare punti. Dopo un avvio di stagione balbettante, cominciata con una sonora sconfitta per 3-0 con il Peñarol, il Defensor era riuscito a decollare, diventando praticamente inarrestabile. Merito gran parte di Ricardo De León, allenatore dalle mai nascoste simpatie socialiste, tanto che l’orientamento politico gli era già costato il posto di CT della nazionale. Il Profe aveva reso la Violeta una squadra temuta e ammirata in tutto il Paese charrúa. C’era qualcuno che lo definiva “antifútbol“, ma il Defensor era semplicemente una squadra pragmatica, consapevole dei propri limiti. La sua forza risiedeva nell’equilibrio tra la solidità del reparto arretrato e il dominio offensivo della fantasia, incarnata da uomini come l’ex Barça e River Plate, Luis Cubilla, Gregorio Pérez, Francisco “Quico” Salomón e Rudy Rodríguez.

De León non si era limitato al campo, ma aveva sperimentato anche soluzioni innovative nella gestione del gruppo: per dire, oltre ad imporre ai suoi giocatori di invertire le maglie in spogliatoio, per eliminare la gerarchia numerica e ridare umanità al gioco, aveva vietato celebrazioni eccessive dopo le vittorie contro Peñarol o Nacional. Anche se nello spogliatoio, prima e dopo le partite, non avevano mai smesso di echeggiare le ballate di Alfredo Zitarrosa, il poeta-cantautore costretto all’esilio per motivi politici. Il giorno della gloria arrivò il 25 luglio nello stadio Luis Franzini, davanti a 13mila spettatori. Il Defensor superò 2-1 il Rentistas, grazie alle reti di Santelli e Cubilla, il giocatore più esperto e famoso della rosa. Era il momento più alto della storia del club, ma il messaggio politico restava la priorità. Per questo il gruppo, durante i festeggiamenti, decise di fare il giro di campo al contrario, in senso antiorario, da sinistra a destra. Un gesto simbolico contro la dittatura, come a voler auspicare un cambio di direzione nella storia.

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