Quando la scuola entra in ospedale: il diritto allo studio dei più fragili

  • Postato il 4 ottobre 2025
  • Di Panorama
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Le scuole hanno riaperto da qualche settimana ma, oltre a qualche assenza in cattedra, ci sono anche alcuni banchi vuoti. Sono quelli di chi vive ai margini, per questioni linguistiche o perché non ha un computer, e sono anche quelli di chi magari non è ancora rientrato in Italia e non ha – né dà – notizie. Tanti di quei banchi vuoti sono di studentesse e studenti fragili e malati che non possono più varcare ogni mattina il portone di una scuola perché sono degenti, ricoverati o bloccati da terapie lunghe e faticose tra ospedali, cliniche e stanze delle proprie abitazioni.

I numeri dell’istruzione in ospedale

I numeri raccontano un bisogno crescente: nell’anno scolastico 2022/23, secondo i dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito, 64.496 studenti hanno seguito lezioni in ospedale, assistiti da 955 docenti distribuiti in 257 sezioni attive in tutta Italia. All’istruzione domiciliare hanno avuto accesso 2.067 alunni, per un totale di oltre 119 mila ore di lezione individuale. Cifre importanti che si trascinano ostacoli concreti: servono insegnanti e formazione, coordinamento costante tra scuole, ospedali e famiglie, risorse tecnologiche e finanziarie.

Una scuola che entra nelle stanze di cura

In primo luogo, però, serve partire dalla base condivisa per cui questi servizi scolastici non siano un orpello, un extra, un riempimento, la scuola di serie B che viene dopo quella che si fa in aula con chi se lo riesce a permettere. Anzi, è proprio tutto il contrario, sempre che non si pensi che l’istituzione scolastica si identifichi con l’edificio con la scritta “scuola” sul cancello.
I piani ci sono: è previsto che la scuola non si fermi in aula e al bisogno entri nelle stanze dei reparti ospedalieri, si affacci nei salotti, accenda computer e quaderni accanto a flebo e farmaci.

Scuola in ospedale e istruzione domiciliare

Questa è la scuola in ospedale, che porta insegnanti e programmi dentro i reparti pediatrici, e accanto a questo modello consolidato si è fatta spazio l’istruzione domiciliare, che permette di seguire le lezioni da casa quando una malattia impedisce di frequentare per almeno trenta giorni. Non si tratta solo di “compiti a distanza” o di spiegazioni online: le lezioni, in reparto o a casa, sono un filo che mantiene viva la quotidianità – che si chiamava normalità, che si dava per scontato, che magari sembrava noia – e che è stata improvvisamente mutata, stravolta da questioni molto più grandi di quelle di cui dovrebbe occuparsi un ragazzo o un bambino.

Il valore delle lezioni per i piccoli pazienti

La scuola in ospedale tiene unito il percorso di crescita individuale a quello dei coetanei, evita dispersione, consola e motiva: l’istruzione, in questo caso, è l’unico strumento che consente di vivere la regolarità scolastica per chi non può stare al proprio banco, e spesso è un gancio con la vita che si è interrotta e che si spera di ricominciare a breve, o quando sarà. Insegnare in reparto fa riscoprire la scuola nelle sue intenzioni più nobili, perché racconta storie, riuscendo a interessare, per certi versi cura, si fa relazione, è gradita e assegna alla valutazione il ruolo che le spetta, in una gerarchia di priorità che necessariamente la ridimensiona.

Ritardi e burocrazia che pesano sui fragili

La scuola per i piccoli pazienti è un lusso e loro ne sono generalmente desiderosi: incredibile come si debba stravolgere tutto affinché la scuola ritrovi lo smalto che dovrebbe mostrare sempre. Se il diritto all’istruzione è chiaro, i tempi spesso purtroppo non lo sono. Questi servizi dovrebbero essere operativi già dal primo giorno di scuola – il 12 settembre per la maggior parte delle regioni – perché chi è fragile non può permettersi altre attese.

Eppure logica e logistica si scontrano anche stavolta e così accade che le procedure si inceppino: autorizzazioni che arrivano in ritardo, iter burocratici affrontati con incertezza e fatica, fondi che tardano a essere assegnati, insegnanti che vengono nominati settimane dopo l’avvio delle lezioni, nel turbine della precarietà, proprio dove dovrebbero essere garantiti stabilità, sicurezza, serenità.

Una sfida ancora aperta

Per chi sta lottando con una malattia, con un infortunio, con un periodo sghembo della vita, ogni giorno di mancate lezioni è un pensiero in più, un peso in più, e lo stesso vale per i genitori, angosciati da ben altro e poco propensi a dedicare energie a ciò che dovrebbe essere automatico. Negli ultimi anni il Ministero ha rafforzato portali informativi e stanziamenti – oltre 20 milioni di euro per il 2025 – ma la sfida resta aperta: trasformare queste esperienze in una parte stabile e omogenea dell’offerta educativa nazionale, perché una scuola che non si occupa dei suoi studenti più fragili, e che non è pronta a fare lezione quando suona la campanella, non è davvero una scuola. E i banchi vuoti, in questo caso, pesano più delle cattedre scoperte.

Autore
Panorama

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