Quando l’architettura galoppa: gli ippodromi di Paolo Vietti-Violi
- Postato il 24 luglio 2025
- Architettura
- Di Artribune
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Tribune che sembrano navicelle spaziali atterrate in mezzo ai prati, geometrie pure che sfidano la gravità, volumi candidi che dialogano con i diversi paesaggi italiani. Gli ippodromi storici sono il manifesto di un’epoca che credeva nel potere estetico degli spazi pubblici. Molti di questi portano la firma di Paolo Vietti-Violi (Gradisson, 1882 – Vogogna, 1965), quello che possiamo definire il “padre” dell’architettura ippica. Laureatosi nel 1905 all’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi, realizzò più di trenta ippodromi e impianti sportivi in Italia e all’estero.
La rivoluzione dell’Ippodromo di San Siro
Tutto ha inizio nel 1911, quando viene indetto un concorso per la progettazione di un vasto e articolato centro ippico a San Siro, allora ancora periferico e non urbanizzato. Vietti Violi vince il primo premio con un progetto che rivoluziona completamente la concezione tradizionale dell’ippodromo. Non più strutture frammentarie e occasionali, ma un organismo architettonico unitario che fa dell’impianto sportivo un monumento urbano. La tribuna centrale di San Siro, con la sua possente struttura in cemento armato e le linee orizzontali che corrono verso l’infinito, anticipa i principi del razionalismo europeo. Il rapporto con il paesaggio urbano milanese è calibrato con precisione millimetrica: la struttura emerge dal verde del parco come una cattedrale laica dello sport. Vietti aveva compreso che l’ippodromo non era solo un contenitore per lo sport, ma un generatore di emozioni estetiche. Oggi, alla GAMI, la Galleria Archivio Multimediale Ippodromo, si apre un percorso interattivo che ripercorre la storia dell’impianto, partendo proprio da un omaggio a Vietti Violi, con documenti d’epoca, fotografie, schizzi. La galleria si trova ai piedi della nuova tribuna del trotto e all’ombra del Cavallo di Leonardo, una delle statue equestri più grandi al mondo, realizzata dalla scultrice nippo-statunitense Nina Akamu, ispirata ai disegni originali di Leonardo da Vinci.

Paolo Vietti-Violi. Dal Vesuvio alle Alpi
Nel 1929, il cavaliere Raffaele Ruggiero donò al Comune di Napoli il lago di Agnano con l’intento di costruire un impianto ippico che ospitasse competizioni sportive. Vietti Violi si confrontò qui con un paesaggio completamente diverso: la conca vulcanica dei Campi Flegrei. Il suo progetto fu una fusione perfetta tra sensibilità paesaggistica e architettura razionalista. Geometrie semplici, scalinate monumentali, una tribuna principale pensata come un nastro orizzontale che abbraccia la morfologia del terreno e incornicia il Vesuvio, trasformandolo in un fondale scenico naturale. L’ippodromo di Agnano fu inaugurato nel 1935. Oggi è al centro di un piano di restyling che lo trasformerà in una struttura polivalente, con corse al trotto e galoppo, un’arena per concerti da cinquantamila posti e nuovi spazi per lo sport e l’intrattenimento. Un altro ippodromo che venne definito dai critici dell’epoca come “fulgido esempio di architettura razionalista” è quello di Merano. Anche questa fu una sfida: misurarsi con il paesaggio alpino, la cultura mitteleuropea e la tradizione costruttiva tirolese, reinterpretata in chiave moderna. Le strutture in cemento armato, i grandi sbalzi, le superfici lisce e i volumi bassi e allungati lasciano spazio al paesaggio montano, che resta sempre protagonista.
Ippodromi e paesaggio. Tra campagna e colline termali
Vietti Violi seppe interpretare bene anche altri due paesaggi emblematici dell’Italia: la campagna romana, con l’ippodromo delle Capannelle, e le colline termali, con quello di Sesana a Montecatini. Nel primo caso si confrontò con l’eredità della romanità, una tradizione classica che richiede un linguaggio più solenne e monumentale. La tribuna principale di Capannelle assume un carattere severo e ieratico, con riferimenti all’architettura imperiale romana filtrati attraverso la sensibilità razionalista. Montecatini, invece, offrì l’occasione per sperimentare uno stile più raffinato e mondano, in sintonia con la vocazione termale e turistica della città toscana. Le strutture si alleggeriscono, si aprono al paesaggio collinare e sviluppano un carattere più domestico e accogliente. L’eleganza borghese della Belle Époque viene reinterpretata attraverso le categorie del razionalismo, creando spazi moderni e rassicuranti al tempo stesso. Vietti curò anche trasformazioni e ampliamenti agli ippodromi delle Cascine a Firenze, Le Bettole a Varese e l’Arcoveggio a Bologna.










Una differenza filosofica
Oggi questi impianti testimoniano un approccio alla progettazione degli spazi pubblici che sembra perduto. La differenza non è solo stilistica, ma anche filosofica. Gli ippodromi di Vietti Violi, che vale la pena di visitare come musei a cielo aperto, ci ricordano che l’architettura può essere un potente strumento di democrazia culturale, capace di offrire a tutti l’accesso alla bellezza. Anche chi non ama le corse, le scommesse o i cavalli (lo stesso Vietti non era un appassionato) può trovare in questi luoghi un fascino particolare: spazi aperti, prospettive scenografiche, atmosfere sospese nel tempo. Una lezione che l’Italia di oggi, alle prese con la povertà estetica dei suoi spazi pubblici, dovrebbe riscoprire.
Luisa Taliento
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L’articolo "Quando l’architettura galoppa: gli ippodromi di Paolo Vietti-Violi" è apparso per la prima volta su Artribune®.