Quel celebre quadro di Böcklin in realtà ritrae Ischia?

  • Postato il 4 agosto 2025
  • Arte Moderna
  • Di Artribune
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Celebrato e citato, tra gli altri, da De Chirico, Clerici, Diefenbach, Dalì, inscenato da Strindberg, musicato da Rachmaninov, interpretato da Freud, acclamato da Lenin, decantato da D’Annunzio che ne volle una copia nella sua camera da letto, il dipinto L’isola dei morti (Die Toteninsel) del maestro Arnold Böcklin (Basilea,1827 – Italia, 1901), resta al centro di una fascinazione mai sopita. Sospeso com’è tra illuminazione e silenzio trascendentale, quiete contemplativa e inquietudine del divenire.

Le cinque versioni del capolavoro di Arnold Böcklin e il legame con Ischia

Delle cinque versioni dell’opera, realizzate tra il 1880 e il 18886 – di cui la quarta andò distrutta e le altre riposano a Basilea, New York, Berlino e Lipsia – la più conosciuta è la terza. Concepita durante il soggiorno del pittore a Firenze; da cui il comune consenso che si tratti di un’ode al Cimitero degli Inglesi. Ma dietro a quell’irto atollo folto di cipressi e a quei cupi abissi ove avanza un enigmatico feretro bianco, sembra si celi, in realtà, il profilo del Castello Aragonese, orgoglio dell’isola d’Ischia.
Antico rifugio durante le incursioni piratesche, fulcro di vita religiosa per le sue innumere chiese, ma anche cenacolo inusitato al tempo in cui fu dimora di Vittoria Colonna, che ospitò alcuni giganti della nostra cultura quali Michelangelo, Tasso, Ariosto…

Castello Aragonese, Isola d'Ischia
Castello Aragonese, Isola d’Ischia

Il gallerista che intuì la suggestione ischitana nell’opera di Arnold Böcklin

A rivelarci il segreto è Massimo Ielasi, titolare di una suggestiva galleria nel borgo di Ischia Ponte, nel suo saggio Un irresistibile soffio di luce. Artisti a Ischia da Böcklin agli anni del Bar Internazionale, che attinge direttamente dall’autobiografia dell’artista, Memorien (1910).  Tre sono gli indizi che sembrano avallare l’idea che l’insigne svizzero si sia ispirato soprattutto al maniero isolano prima che al nobile tumulo fiorentino.

Arnold Böcklin e i suoi soggiorni a Ischia

Era l’estate 1879 quando Böcklin, in compagnia dell’amico Hans von Marées, si recò ad Ischia, fonte di acque curative, per guarire una dolorosa artrite che gli aveva paralizzato il braccio destro impedendogli di lavorare. Si leggono tra le sue carte resoconti delle sue giornate: “Alle cinque mi alzo e col sole vado allo stabilimento termale (…) verso le undici comincia a fare troppo caldo. Allora me ne ritorno a casa per guardare di nuovo il mare (…) Alle dodici arriva il signor Schmidt e, presto, anche Gaetano col pranzo: un pezzo di carne fredda, frutta, pane e vino, che per fortuna, quest’anno è eccellente”.
Alcuni anni prima, nel ’36, a causa di un’epidemia di colera, in cima al borgo dominato dalla signorile Villa Drago che accolse l’artista, era sorto il cimitero di Sant’Anna, che guarda il Castello. Al suo ingresso si ergono due leoni in terracotta in tutto simili a quelli che giganteggiano tra gli scogli nella prima versione di Die Toteninsel. Leoni in cui Böcklin si deve essere imbattuto durante le sue passeggiate. Il piccolo naviglio funebre dell’opera, inoltre, sembrerebbe alludere alla tradizionale usanza degli ischitani di condurre le spoglie dei più umili dalla Chiesa di Ponte al cimitero, proprio a bordo di una barca a remi.

La sensibilità di Böcklin per il terremoto del 1883

Nel 1883 poi, vengono a coincidere due eventi significativi per questa teoria: il catastrofico terremoto di Casamicciola, che scagliò Ischia in un degrado durato fino agli anni ‘30 del Novecento – per il quale Böcklin e il suo gallerista Fritz Gurlitt invitarono molti artisti a fare donazioni – e la genesi della terza versione del dipinto, che solo allora acquisì il titolo definitivo L’isola dei morti in luogo di Un posto tranquillo.

Arnold Böcklin: una pittura che parte dalla realtà per andare oltre

Quando un’artista dipinge un luogo inventato è spesso incline a fare sintesi d’impressioni. Ielasi sottolinea come sull’isola mediterranea Böcklin prese solo appunti che avrebbe poi utilizzato a Firenze e in Svizzera. Non è escluso che i cipressi dell’opera vengano dal sepolcreto fiorentino, ma appare chiaro che il lungo soggiorno ischitano abbia lasciato nel pittore un segno profondo nella sua memoria grafica e interiore. Un’argomentazione intrigante e verosimile che ha l’aria di scartare altre ipotesi scaturite negli anni su ulteriori luoghi cui Böcklin possa aver alluso, come l’isola di San Giorgio (Montenegro), i Castelli di Cannero sul Lago Maggiore, l’isoletta di Pontikonissi vicina a Corfù, in alcuni dei quali sembra che il maestro non si sia mai recato.

Francesca de Paolis

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Artribune

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