“Quello di Pio La Torre è un delitto di mafia, ma non solo. Intuì l’esistenza di Gladio, fu ucciso da strutture occulte”

  • Postato il 30 aprile 2025
  • Mafie
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Pio La Torre è stato ucciso sulla via di Comiso, cioè per il suo impegno contro i missili nucleari che la Nato voleva installare in Sicilia. Un omicidio commesso dalla mafia, ma voluto non solo dai vertici di Cosa Nostra. Ne è sicuro l’avvocato Armando Sorrentino. “Come diceva Giovanni Falcone, nei grandi delitti c’è sempre la convergenza del molteplice“, dice il legale del Partito comunista nel processo sull’omicidio del dirigente del Pci. Gli sparano in macchina, in piazza Turba, a Palermo, mentre col fidato autista Rosario Di Salvo stava andando verso la sede del Pci. Era il 30 aprile del 1982, vigilia della festa dei Lavoratori: il giorno dopo era atteso a Portella della Ginestra, per inaugurare il memoriale di quella che probabilmente è la prima strage di Stato nella storia della Repubblica. L’1 maggio del 1947, 14 contadini vennero assassinati probabilmente dalla banda di Salvatore Giuliano: di quell’eccidio non saranno mai individuati con certezza esecutori, mandanti e moventi. La stessa cosa avverrà molte altre volte in futuro.

Anche nel caso di La Torre. Il copione, infatti, è quello dei delitti eccellenti: una motocicletta, un’auto civetta, almeno due killer, forse tre. E poi indagini infinite, depistaggi, più di un movente, verità giudiziarie rimaste incompiute. E un pezzo di storia che nel frattempo viene spesso dimenticato: quello di La Torre leader del movimento pacifista. Siamo nel 1982, la Nato sta per installare i missili nucleari a Comiso, in provincia di Ragusa, per rispondere a quelli dell’Unione Sovietica. Una mossa che rischia di trasformare la Sicilia e l’Italia in un obiettivo sensibile. La Torre lo capisce ed è tra i registi della manifestazione che, il 4 aprile del 1982, porta quasi centomila persone da tutta Europa a marciare per la pace a Comiso. Il 16 aprile, al Circolo della Stampa di Palermo, il politico lancia una petizione per chiedere di sospendere la costruzione della base missilistica: solo in Sicilia le firme raccolte arriveranno in breve tempo a toccare quota un milione. Lui, però, non lo saprà mai: lo ammazzano prima. “È lì, nel suo impegno per la pace, che va cercato il movente dell’omicidio. A ucciderlo furono i mafiosi, ma la sua morte fu voluta da strutture politico-militari occulte: aveva intuito l’esistenza di Gladio“, sostiene Sorrentino, autore del libro Chi ha ucciso Pio La Torre?, edito da Castelvecchi e firmato con il giornalista Paolo Mondani.

Avvocato, perché dice che La Torre è morto sulla via di Comiso?
Se non leggiamo questo omicidio alla luce delle vicende politiche, capiamo ben poco. Va ricordato che La Torre viene in Sicilia su invito di Enrico Berlinguer. Il mandato è chiaro: impegnarsi nel movimento pacifista, che sarà un chiodo fisso dello stesso Berlinguer fino alla sua morte.

È l’autunno del 1981 e La Torre è già un esperto conoscitore delle dinamiche di Cosa Nostra.
Curiosamente è proprio in quel momento che i servizi segreti riprendono ufficialmente a monitorarlo.

Perché riprendono?
Il Sisde lo seguiva dagli anni ’50. Poi nel 1976 decidono di declassificarlo, ma è una declassificazione apparente perché il monitoraggio continua: a svolgerlo è un organo occulto, non ufficiale. Noi, purtroppo, non abbiamo mai ottenuto alcun documento su questo organismo, che segue La Torre per cinque anni: quindi di quel periodo non sappiamo nulla. Sappiamo però che dall’ottobre del 1981 riprende un monitoraggio ufficiale, da parte dei servizi segreti della Marina. Che sarà incredibilmente interrotto nove giorni prima dell’omicidio.

Perché?
Avremmo voluto chiederlo, ma i documenti che attestavano l’attività da parte dei servizi furono depositati agli atti solo 15 giorni prima della chiusura definitiva dell’istruttoria. All’apertura dibattimentale abbiamo chiesto di sentire i responsabili dei servizi segreti civili e militari di quel periodo: volevamo sapere se esistevano altri documenti su La Torre, soprattutto nel periodo compreso dal 1976 all’ottobre del 1981, cioè quello in cui si registra il monitoraggio da parte della struttura occulta, non ufficiale. Ma la richiesta di interrogare i vertici dell’intelligence durante il processo non fu accolta. Come non sono state accolte molte altre istanze che puntavano sulla pista pacifista.

Cioè?
Avevamo chiesto di ascoltare in dibattimento Licio Gelli, che fu sentito anche in relazione ai delitti politici di Michele Reina, Piersanti Mattarella e appunto La Torre. Volevo venisse sentita anche la sua assistente palermitana, Nara Lazzerini. Ma anche queste richieste non furono accolte.

A proposito dei delitti politici, Falcone era molto interessato a Gladio, la struttura paramilitare segreta creata dall’alleanza Atlantica dopo la Seconda Guerra Mondiale. Pure lei legò questa pista al delitto La Torre nello stesso periodo: come mai?
Quando Giulio Andreotti fece trapelare l’esistenza di Gladio, chiesi subito che s’indagasse su quella struttura e sui possibili legami all’omicidio di La Torre. Non potevamo saperlo, perché c’era il segreto istruttorio e lui era irreprensibile in questo senso, ma anche Falcone era interessato a quella pista. Lo scoprì qualche giorno dopo la strage di Capaci, quando la giornalista Liana Milella riportò sul Sole 24 Ore alcuni stralci dei suoi diari. Tra gli appunti, il giudice scrive di aver chiesto al suo capo, il procuratore Giammanco, di essere messo in contatto con i magistrati di Roma competenti delle indagini su Gladio. Falcone scrive chiaramente che “vi è l’istanza della parte civile nel processo La Torre (Pci) di svolgere indagini sulla Gladio”. Giammanco, però, fece muro.

Che quei diari fossero autentici ci tenne a garantirlo anche Borsellino.
La sera del 25 giugno del 1992, alla biblioteca comunale di Palermo, Borsellino dice chiaramente che quelli pubblicati dal Sole 24 Ore “sono proprio appunti di Giovanni Falcone”: lui lo sa perché li ha letti e non vuole che su questo punto possano un giorno essere avanzati dei dubbi. Poi aggiunge che intende raccontare le cose di sua conoscenza all’autorità giudiziaria e in seguito – se sarà il caso – ne parlerà in pubblico. Non arriverà a fare nessuna delle due cose.

Quindi, c’è un filo che lega le stragi del 1992 ai delitti politici degli anni ’80?
Secondo me è evidente: basta saperlo individuare.

Perché dice che La Torre aveva intuito l’esistenza di Gladio?
A un certo punto presenta una interrogazione parlamentare al Ministro della Difesa e a quello dell’Interno chiedendo di conoscere cosa è accaduto in Sicilia, tra Palermo e Catania, a proposito di un’esercitazione e delle finalità attribuite ai comitati civili e militari, costituiti nell’ambito delle prefetture siciliane. E chiede: “Come mai ci sono anche dei civili?”. In pratica aveva intuito l’esistenza di una struttura con caratteristiche simili a quelle che poi noi avremmo appreso essere di Gladio.

Aveva delle fonti riservate?
È possibile, di sicuro è sempre stato molto attento alle dinamiche estremistiche. Chiedeva notizie sui poligoni di tiro, non ufficiali ovviamente, a Menfi, a Trapani. Aveva seguito l’evoluzione degli estremisti neri. Anche in Commissione Antimafia si pone delle domande e in certi casi diventa lui una fonte. Come quando a un certo punto chiede agli investigatori: “Avete indagato sulla fuga di Luciano Liggio il giorno prima della strage di Piazza Fontana?”. La Torre sapeva che Liggio era amico di Carlo Fumagalli, leader del Movimento di azione rivoluzionaria, un nucleo terrorista filo atlantico. Stiamo parlando di un personaggio di un certo livello intellettuale, non di manovalanza criminale.

Insomma, La Torre aveva capito che c’era un legame tra neofascisti e mafia?
Sì, infatti usava raramente il termine mafia. Ha sempre parlato di sistema di potere politico mafioso. Tra i suoi appunti, tra l’altro, ipotizza anche l’esistenza di una sorta di Tribunale Penale Internazionale della Mafia. Cioè suppone che gli omicidi eccellenti commessi da Cosa Nostra vengano in realtà decisi all’esterno dell’organizzazione.

La Torre ipotizzava che Cosa Nostra potesse essere utilizzata da parte di altre entità? Come una sorta di service della violenza che agisce su mandato esterno?
La risposta a questa domanda è contenuta nel discorso fatto a Montecitorio l’8 gennaio del 1980 per ricordare Piersanti Mattarella, ucciso due giorni prima. Durante quell’intervento, La Torre riporta un dialogo avuto con l’allora presidente della Regione a proposito dell’omicidio del giudice Cesare Terranova e dell’arrivo in Sicilia di Michele Sindona. La Torre chiede: “Ti rendi conto che questo è un sistema di potere che va al di là della Sicilia? Io penso che ci sia ormai un rapporto tra la mafia e il terrorismo”. E Mattarella gli risponde: “Io penso a qualcosa di peggio”.

La Torre è comunque il primo firmatario della legge che introduce il reato di associazione mafiosa e il sequestro dei patrimoni dei boss: non bastava questo per decidere di assassinarlo?
Sì, quella legge è fondamentale. Ma per approvarla ci vorrà il suo omicidio e poi pure la morte del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. E comunque diversi collaboratori di giustizia in seguito diranno che Cosa Nostra puntava a neutralizzare quella norma in Parlamento, a colpi di emendamenti. L’impegno antimafia di La Torre è sicuramente tra i motivi che stanno alla base del suo omicidio, ma io ho sempre ritenuto che il problema principale fosse la sua azione per la pace e quindi contro gli Stati Uniti.

In che senso contro gli Stati Uniti?
In molte interviste lui dice delle cose molte nette nei confronti degli americani. Si chiede: ma cosa pensano di fare di noi? Un’altra stella della loro bandiera? Credono di comportarsi come ai tempi dello sbarco o di Salvatore Giuliano? Vogliono fare di noi una nuova colonia dell’impero americano? Va detto che sul piano politico chiedeva non solo di bloccare l’installazione dei missili a Comiso, ma anche il disarmo all’Unione Sovietica. Era la guerra a terrorizzarlo, temeva lo scenario in cui le forze mafiose si saldavano a quelle neofasciste e filoamericane. Per questo era ossessionato dalla pace. Ed è sulla via della pace che è morto.

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Il Fatto Quotidiano

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