Re Giorgio. Tutto Armani in questo diario di ricordi
- Postato il 7 settembre 2025
- Moda
- Di Artribune
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È stato detto tanto in questi giorni sulla scomparsa di Giorgio Armani, forse tutto. La sua storia è stata oggetto, con ampio spazio dei media non solo italiani, delle testimonianze di amici e collaboratori, attori e personaggi comuni tanto da testimoniare quanto Re Giorgio fosse presente nella cultura e società contemporanea. Quindi penso sia giusto scrivere queste parole per la categoria Testimonianze, senza ripetere quello che è già stato efficacemente detto, ma raccontando il mio rapporto con una figura così significativa non solo per la moda. Un diario per capitoli che parte dalla fine degli Anni Settanta e che sfocia in un futuro che richiede un pensiero all’altezza del suo operato.
Giorgio Armani: 1978
Diane Keaton vince l’Oscar per il film di Woody Allen Io e Annie e alla cerimonia ritira il premio vestita Giorgio Armani, che dichiarò: “Volevo vestire la donna che lavora”. Non avevo vent’anni, la moda era un fenomeno lontano dalla mia generazione ma quell’immagine fu folgorante per la mia vita. L’intelligenza diventava stile, la testa, le scelte, la cultura, la politica erano entrate nell’abito per un evento con red carpet. Giorgio Armani aveva creato quella fusione, da Nobel più che da Oscar, tra costume e moda capace di generare modelli ibridi e efficaci ancora oggi. Fu folgorante perché il mio lavoro studia questo rapporto ma soprattutto perché capii quanto la moda fosse il più efficace e immediato dei sistemi di comunicazione con il mondo. Insomma, anche noi contestatrici avevamo una divisa che aveva uno stile, uno strumento che non giocasse sul corpo in modo banalmente esplicito, ma che dichiarava una raffinata e “semplice” autorevolezza mentale. Una opportunità che Armani ci ha sempre garantito con evoluzioni sui materiali, con continue sperimentazioni ma sempre creando abiti per persone libere da esigenze di futile rappresentazione. Anche l’abito con cui Jodie Fosterriceve l’Oscar nel 1992 per Il silenzio degli innocenti è l’evoluzione di quel concetto: un tailleur brillante giacca e pantaloni. Il cinema diventa moda, ma non è più qualcosa di lontano dalla realtà come i costumi dei divi o delle star – Richard Gere nell’iconico American Gigolò ma anche i poliziotti Intoccabili di Brian De Palma. Giacche, cappotti, abiti in una palette di colori non colori che accompagnano sobriamente l’idea della eleganza quotidiana.
Giorgio Armani: 1981. Il basco e l’Emporio Armani
Arriva l’accessibilità, la possibilità di acquistare anche solo un basco e sentirsi quel tipo di donna. Mi bastava quel basco blu a darmi il ruolo che volevo. Mi ricordo l’Emporio di Londra dove c’era già un caffè alla fine degli Anni Ottanta. Armani ha sempre aperto spazi paralleli alla moda classica come alberghi, librerie, ristoranti che, quando eri fuori dall’Italia erano un po’ casa e ne eri fiero. L’Emporio poi era così giusto anche nella comunicazione, caratterizzato dallo stesso stile della linea principale ma abbordabile pur essendo poco street, perché quei jeans non riuscivano a essere “sciatti” come altri sempre più scelti negli anni dai giovani.

Giorgio Armani: l’abito da sposa
Il mio abito da sposa era copiato da un modello da sera di Armani. La giacchina di velluto liscio a girocollo con tanti bottoncini dietro su una gonna tagliata a sbieco ampia perché fatta da tanti strati di plumetis. Era bianco ma l’originale era grigio piombo, bellissimo. Era il 1986 ma credo che sarebbe perfetto anche ora. Tutti i suoi abiti non si confrontano con il tempo, non per merito del fenomeno vintage ma per il pensiero creativo che li ha generati. Un processo che parte dalla passione per gli Anni Venti per quel periodo storico in cui il funzionalismo genera lo stile, dove il miracolo del taglio a sbieco di Madeleine Vionnet fa scivolare gli abiti sul corpo, mentre le donne si tagliano i capelli alla garçonne e portano i pantaloni per andare a lavorare. Lo stile androgino di Armani nasce da lì, dalle forme che consentono di muoversi ma, credo soprattutto, da un amore profondo per quel femminile operoso capace di sostituire gli uomini in guerra, di essere eleganti ma impegnate a fare e a pensare.
Giorgio Armani e Adriana Mulassano
Lei è la cosa più preziosa che mi lega a Giorgio Armani. Una maestra con cui ho potuto lavorare quando dirigeva il corso di Editoria della Moda all’Accademia di Costume e di Moda a Roma. La aiutavo nel coordinamento attenta alle sue scelte e alle sue colte strategie didattiche: imparavo cose che fanno parte del mio modo di vedere e di dire, dati che emergono in continuazione con la sua voce seria e mai superficiale. Adriana Mulassano è stata a capo dell’ufficio stampa di Giorgio Armani dal 1992 al 2000, anni fondamentali che sono continuati in un grande rapporto di stima e amicizia. La lezione che ho preso dal loro rapporto sta nella spinta e convinzione di Adriana a fargli fare l’haute couture: le collaborazioni vere vanno oltre le certezze di quello che si è sicuri di ottenere. Armani inizia l’haute couture a Parigi il 24 gennaio del 2005 con lo stesso spirito di libertà e movimento riesce a trasferire ispirazioni colte, artistiche, etniche, culturali nelle mani della più alta artigianalità e manualità. Lui che aveva decostruito le giacche da uomo smontando anche secoli di tradizione sartoriale reinventa la couture, fa abiti degni di entrare nei musei, come anche il suo a Milano, e generare mostre epiche, ma il suo riferimento umano rimane libero da convenzioni e costrizioni.
Giorgio Armani: il futuro
Qualche tempo fa è comparso un video su Instagram che mostrava la “determinazione” di Armani in un backstage, abbastanza recente. L’effetto faceva quasi sperare in una perfetta opera fake tanto era severo: come da un nonno saggio o da un professore straordinario si fa fatica ad accettare il rigore, solo con il tempo si capisce che quella era preziosa attenzione all’esecuzione delle cose. Mi chiedo ora come e quanto si sarebbe alterato in un futuro dove le cose sono sempre meno umane, lui che ogni collaboratore ha sempre chiamato “il signor Armani” con meraviglioso rispetto. Lui che per primo ha scelto di fare una sfilata in streaming per proteggere il pubblico da quel Covid che ha combattuto concretamente. Ha prodotto camici per infermieri e medici e altro materiale necessario agli ospedali bloccando la sua ordinaria produzione con determinazione e coraggio. Il futuro di Armani forse porterà il nome di un giovane designer ma sarà ancora più difficile che per altri brand continuare, tanto che credo sia meglio parlare di un Curatore capace di “curare un patrimonio” non solo materiale ma anche immateriale che va dal suo hotel nel grattacielo più alto di Dubai alla Fondazione Armani, dalle donazioni agli ospedali all’attenzione all’ambiente e alle cure per l’AIDS, ma soprattutto a mantenere un’identità che si esprima con l’abito per un attore o per una persona, ma che forse esiste già in Archivio.
Clara Tosi Pamphili
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