Referendum, le reazioni politiche alla batosta della sinistra
- Postato il 9 giugno 2025
- Di Panorama
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Si é rivelato un flop il referendum abrogativo sponsorizzato da Cgil e sinistra. Più di due italiani su tre hanno disertato le urne, impedendo così di raggiungere il quorum richiesto del “50% +1” necessario a validare le consultazioni. Aldilà di una parte dell’elettorato che ormai da parecchi anni ha deciso di non prendere parte alle consultazioni, il non voto della maggior parte degli astenuti va invece interpretato come una precisa scelta politica.
D’altra parte la stessa premier Giorgia Meloni era già stata chiara da tempo: in materia referendaria il non voto è una precisa scelta politica. Non a caso, poco dopo la chiusura delle urne, sui canali social di Fratelli d’Italia è stato pubblicato un eloquente messaggio: «L’unico obiettivo di questo referendum era far cadere il governo Meloni, alla fine, però, sono stati gli italiani a far cadere voi», il tutto accompagnato da un’immagine con scritto a caratteri cubitali: «Avete perso».
Molto chiaro anche il capo di Forza Italia nonché ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che intervenendo al Tg1 ha affermato che «è stata una sconfitta della sinistra e dell’opposizione che voleva tentare l’assalto al governo utilizzando il grimaldello dei referendum. La cosa è andata male, il governo si è rafforzato, l’opposizione si è indebolita». Gli ha fatto eco il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, che ha parlato di «enorme sconfitta per una sinistra che non ha più idee e credibilità e che non riesce a mobilitare neanche i propri elettori».
Esulta anche l’ex generale Roberto Vannacci, che pone l’attenzione su uno dei cinque quesiti referendari, ovvero quello relativo alla riduzione degli anni di residenza utili a richiedere la cittadinanza italiana: «Gli italiani hanno detto no: la cittadinanza non è un regalo. Soldi sprecati che potevano andare a scuola, sanità, sicurezza. Ora i promotori si dovrebbero dimettere e farsi da parte».
Una brutta batosta per la sinistra, che aveva sfruttato anche la manifestazione organizzata in favore della Palestina lo scorso weekend per fare campagna al referendum, in pieno silenzio elettorale. Gli appelli a votare fatti dal palco e il cappellino indossato da Pierluigi Bersani non sembrano essere bastati.
Pochi i commenti da esponenti della sinistra, comprensibile, visto il risultato. Fra i pochi arditi c’è Maurizio Landini, segretario della Cgil e grande sponsor dei quesiti referendari. Parlando in conferenza stampa il capo della Cgil si è limitato a prendere atto della sconfitta: «Il nostro l’obiettivo era raggiungere il quorum, è chiaro che non lo abbiamo raggiunto. Oggi non è una giornata di vittoria».
Landini ha continuato affermando che il voto «non è contro il governo o un partito, ma per cambiare leggi balorde fatte da questo governo o da altri passati». Peccato che le leggi che si voleva abrogare fossero parte del Jobs Act e quindi fatte dal governo Renzi, allora membro del Partito Democratico.
Si segnalano anche, infine, le dichiarazioni del Segretario di +Europa, Riccardo Magi, che è riuscito a trovare un presunto lato positivo: «Una parte di elettorato è andato a votare ed è superiore all’elettorato che legittima il governo che in questo momento è in carica». Non è chiaro a cosa si riferisca Magi, visto che secondo gli ultimi sondaggi il solo Fratelli d’Italia avrebbe una percentuale del 30% nelle intenzioni di voto degli italiani, pressoché identica a quella dei votanti dei referendum sponsorizzati dalla sinistra. La batosta sembra essere dura da digerire.