Reggia di Capodimonte: un viaggio tra arte, potere e meraviglia

A Napoli ogni cosa aspira alla grandezza, e la Reggia di Capodimonte non fa eccezione: sorge maestosa nel verde del Real Bosco, come se la città stessa avesse voluto erigere un tempio alla bellezza. E lo ha fatto in grande: un palazzo di tre piani, 14 mila metri quadri di superficie, 124 gallerie che custodiscono una delle pinacoteche più importanti d’Europa dove si respira la presenza di geni assoluti quali Tiziano, Raffaello, Michelangelo, Caravaggio. E poi ancora Botticelli, Masaccio, Mantegna, Correggio, Parmigianino, Artemisia Gentileschi, i Carracci, Goya, Luca Giordano, Ribera. È un museo che parla tutte le lingue dell’arte, dal Rinascimento al Barocco, fino alle meraviglie fiamminghe e iberiche.

Ma non si tratta solo di pittura. Capodimonte è un universo ricco anche di porcellane rare, arazzi regali, sculture, arredi sontuosi e una sorprendente Galleria delle Mirabilia Farnese: un cabinet de curiosités che custodisce l’anima collezionista dei grandi di un tempo.

Cosa non perdere al Museo di Capodimonte

La reggia si sviluppa su tre piani, ma è al primo che si apre il cuore pulsante dell’esposizione: l’Appartamento Reale, l’unica area del museo che conserva ancora gli arredi originali. Ogni salone è intriso dell’atmosfera sontuosa della corte borbonica, tra tappeti, lampadari, boiserie dorate e memorie di epoche lontane.

Il secondo piano, un tempo riservato alla servitù, è oggi teatro di mostre e collezioni permanenti, che permettono di ammirare opere d’arte straordinarie in un contesto raffinato e arioso. L’intera struttura museale è pensata come un percorso fluido, che conduce i visitatori tra sale tematiche e geografiche, e mette in dialogo scuole pittoriche differenti e opere dal valore inestimabile.

Palazzo Borbonico di Capodimonte, Napoli
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La Reggia di Capodimonte a Napoli

La Collezione Farnese

C’è un’origine nobile, e persino papale, all’interno del cuore artistico di Capodimonte. La Collezione Farnese rappresenta il nucleo originario del museo e racconta una storia di potere, prestigio e mecenatismo. Tutto inizia con Alessandro Farnese, il futuro papa Paolo III, il quale decise di raccogliere le opere più straordinarie del suo tempo: dipinti di Tiziano, sculture di Guglielmo della Porta, capolavori di Raffaello. Un gusto che si tramandò nei secoli ai discendenti della famiglia, arricchendosi con opere di Correggio, Parmigianino, Giulio Clovio, Salviati.

Le stanze della galleria orientale, al piano nobile della reggia, sono oggi un tributo visivo a cotanta collezione dinastica. Fu Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese, a trasferirla a Napoli, portando con sé una parte consistente dell’eredità culturale familiare, tra cui reperti in bronzo, ambra, cristallo di rocca.

Nel corso del tempo, la collezione subì numerosi spostamenti: fu frazionata, riallestita, integrata. Solo dopo la Seconda guerra mondiale trovò finalmente dimora stabile nella Reggia di Capodimonte, dove le opere pittoriche vennero suddivise per scuole: italiana, fiamminga, tedesca. Qui si ammirano dipinti di Joos van Cleve, Pieter Bruegel il Vecchio, Joachim Beuckelaer, che raccontano un’Europa del colore e della luce.

In una delle sale più affascinanti della galleria, gli sguardi dei Farnese tornano in vita. Tiziano ritrae Paolo III con uno sguardo penetrante, lo stesso pontefice che appare anche nel celebre ritratto con i nipoti Alessandro e Ottavio. Sono immagini che vanno oltre la pittura: incarnano il senso profondo della dinastia, la sua volontà di eternarsi nell’arte.

E poi c’è la Galleria delle Cose Rare, una vera stanza delle meraviglie, creata per stupire gli ospiti illustri della famiglia. E, ancora oggi, si rimane incantati davanti al Cofanetto Farnese, ricoperto di cristalli finemente incisi da Manno Sbarri, e si scoprono bronzetti rinascimentali, vassoi d’avorio scolpiti da Johann Michael Maucher, medaglie antiche firmate dal Pisanello.
Ci sono anche una ranocchia in pietra dura proveniente dal Messico, una statuetta azteca del dio della guerra Huitzilopochtli, e ceramiche smaltate di Urbino.

L’Appartamento Reale

Entrare nell’Appartamento Reale di Capodimonte è come varcare la soglia di un mondo sospeso tra fasto e intimità, un racconto ininterrotto di stili, potere, passioni e quotidianità nobile, vissuto tra le mura di un’epoca che ha lasciato tracce profonde. Da metà Settecento in poi, la reggia ha ospitato dinastie diverse, e ciascuna ha lasciato il proprio segno. Fu Carolina Bonaparte, sorella di Napoleone, a conferirle il respiro di una vera residenza imperiale. Fu lei a volerla trasformare secondo i canoni della corte francese, mentre il marito Gioacchino Murat ne completò la visione tracciando una strada diretta che unisse il palazzo al cuore vivo della città.

Tra queste pareti si avverte ancora l’eco di quegli anni, custodita non solo nei dipinti e nei ritratti, ma anche negli arredi, nei marmi, nei dettagli decorativi che restituiscono l’atmosfera della vita di corte. In una delle sale principali, quella che fu la camera da letto di Francesco I e Maria Isabella di Borbone, la scenografia pittorica richiama gli affreschi pompeiani, mentre le stoffe pregiate provengono dalla celebre manifattura di San Leucio, simbolo dell’eleganza borbonica.

Spostandosi nell’ala opposta si incontra il Salone della Culla, dove un pavimento in marmo proveniente da Villa Jovis a Capri accoglie i passi del visitatore. Il nome di questa sala richiama un momento preciso della storia dinastica: la nascita di Vittorio Emanuele III, celebrata con il dono simbolico di una culla da parte del popolo napoletano. Tutto, qui, racconta il dialogo continuo tra regalità e territorio.

C’è poi il Salone delle Feste, pensato per accogliere, per impressionare, per consolidare alleanze: mantiene tuttora inalterato il suo fascino neoclassico, con pavimenti in marmo e cristalli che rifrangono la luce in mille riflessi.

Ma non è tutto. L’Appartamento ospita il Salottino di Porcellana, che raccoglie oltre tremila pezzi preziosi, fragili testimoni del gusto e della ricchezza dell’epoca. E infine il Salone Camuccini, uno spazio dedicato alle opere di Vincenzo Camuccini, che con la sua pittura storica e solenne chiude idealmente il percorso tra arte, quotidianità e prestigio.

La Galleria Napoletana

Al secondo piano del museo si apre una nuova narrazione, ancora più radicata nel territorio: quella della Galleria Napoletana, dove l’arte diventa un filo rosso che attraversa sei secoli di storia, scanditi dai grandi mutamenti politici e culturali che hanno segnato Napoli e il Sud Italia. Dai primi bagliori del Duecento fino agli echi raffinati del Settecento, le opere raccolte testimoniano l’evoluzione del gusto e dell’identità visiva partenopea.

Le sale iniziali ospitano la cosiddetta Galleria delle Arti, dove si incontrano i protagonisti del periodo svevo e angioino, mentre i colori e le forme degli artisti locali dialogano con i nomi “forestieri” che hanno lasciato il segno anche a Napoli: Pinturicchio, Vasari, Sodoma, Tiziano. È un incontro fertile, un continuo scambio tra culture e visioni. In questa sezione si conserva uno dei capolavori assoluti del museo: La Flagellazione di Cristo di Caravaggio, opera potente e drammatica che influenzò profondamente la scuola pittorica napoletana.

Il percorso prosegue nel Seicento, considerato l’età d’oro della pittura napoletana: le tele di Battistello Caracciolo, Carlo Sellitto, Aniello Falcone e Giuseppe Recco restituiscono l’anima vivace, barocca, teatrale della città sotto il dominio spagnolo.

La narrazione si allunga fino al secolo successivo, in un viaggio continuo tra devozione e rappresentazione, tra pubblico e privato. Il tempo sembra fermarsi nella Sala degli Arazzi, dove preziosi tessuti del XVI secolo rievocano la storica battaglia di Pavia. Realizzati a Bruxelles e firmati da William Dermoyen, gli arazzi furono donati dagli Stati Generali all’imperatore Carlo V, e oggi rivivono nel silenzio suggestivo delle sale di Capodimonte.

A concludere la visita è la Collezione d’Avalos, una raccolta privata iniziata nel Seicento dal principe Andrea d’Avalos e donata allo Stato nel 1862. Un lascito d’arte che spazia dalla mitologia alla storia, dalla letteratura alle allegorie: le tele di Pacecco De Rosa, Luca Giordano e Jusepe de Ribera, tra cui l’intenso Apollo e Marsia, offrono uno sguardo potente sull’immaginario barocco napoletano, capace di unire pathos e bellezza in una sintesi irripetibile.

La famosa porcellana di Capodimonte

C’è un’arte sottile e preziosa che punteggia i saloni di Capodimonte come un filo di luce: è l’arte della porcellana, simbolo di raffinatezza, potere e immaginazione. Un tempo riservata alle corti più esclusive d’Europa, oggi vive e risplende nelle gallerie del museo grazie a una collezione tra le più ricche del continente.

Le porcellane esposte provengono per la maggior parte dalle collezioni borboniche, testimoni di una cultura del bello che permeava ogni gesto quotidiano della nobiltà. Tra queste si cela la delicatezza di una statuina dell’Immacolata, una rarità acquistata nel 1972 e tra i pochi esempi superstiti a soggetto religioso realizzati nella celebre Real Fabbrica di Porcellana di Capodimonte, su modello di Giuseppe Gricci: un capolavoro che racchiude in sé tutta la maestria di un’epoca.

Il percorso della galleria è stato pensato con cura filologica sotto la direzione di Annibale Sacco, responsabile della Casa Savoia, che riordinò vasellame da tavola e oggetti d’arredo secondo le diverse manifatture di provenienza. Il risultato è un racconto visivo, un atlante del gusto che si snoda tra eleganza e funzione, tra opulenza e uso quotidiano nei fasti dei Siti Reali.

Tra i protagonisti indiscussi della collezione spicca il Servizio dell’Oca: impossibile non restare colpiti dalla bizzarria raffinata di questo servizio da tavola, così chiamato per la presenza, sui pomelli di alcune zuppiere, di un putto nell’atto di strangolare un’oca. Un’immagine curiosa, ispirata a motivi ellenistici, che nasconde un raffinato gioco simbolico.
Realizzato dalla Real Fabbrica di Napoli tra il 1771 e il 1806 per la corte borbonica, il servizio contava in origine più di quattrocento pezzi, oggi sparsi in varie collezioni pubbliche ma ancora in parte visibili a Capodimonte.

Non si trattava solo di stoviglie. Il Servizio delle vedute napoletane, come era denominato negli antichi inventari, aveva anche una funzione celebrativa: durante i banchetti ufficiali, i piatti diventavano piccole finestre sul regno: v erano raffigurati paesaggi, monumenti e scorci naturali, dall’Abruzzo alla Sicilia, ispirati alle incisioni di artisti come Cardon, Hamilton e Saint-Non, o ai dipinti di Joli e Hackert. L’arte, così, si faceva racconto territoriale.

Accanto a cotante meraviglie si estende la sezione dedicata ai biscuit, figure in porcellana non smaltata che spiccano per la loro morbida luminosità. Il nucleo più cospicuo è composto da opere della Real Fabbrica di Napoli, affiancate da esemplari provenienti da grandi manifatture europee come Berlino, Sèvres e Vienna: queste ultime giunsero a Capodimonte grazie a Maria Carolina d’Asburgo, figlia dell’imperatrice Maria Teresa e regina di Napoli, che portò con sé un gusto raffinato e cosmopolita.

Il salottino di porcellana: un sogno fragile e opulento

Il magnifico salottino in porcellana a Capodimonte
Photo by DeAgostini/Getty Images
Salotto in porcellana della regina Maria Amalia, a Capodimonte

Ma se c’è un ambiente che incanta e stupisce più di ogni altro, questo è senza dubbio il Salottino di Porcellana. Realizzato tra il 1757 e il 1759 per Maria Amalia di Sassonia, moglie di Carlo di Borbone, era parte del suo appartamento privato nella Reggia di Portici. Ed è un esempio unico al mondo: un’intera stanza rivestita di porcellana, concepita non come semplice decoro ma come manifestazione totale del lusso e dell’immaginazione regale.

Il progetto fu affidato a Giovan Battista Natali, pittore e quadraturista piacentino, ma a realizzarlo furono tutte le maestranze specializzate della Real Fabbrica, coordinate da Giuseppe Gricci: ogni elemento, dalla cottura dei pezzi all’esecuzione degli stucchi, fu pensato per stupire, per trasformare lo spazio in una favola barocca sospesa nel tempo.

Le pareti, a pianta quadrangolare, sono rivestite con lastre di porcellana fissate a una struttura lignea. Tra le sei specchiere che interrompono la continuità visiva si aprono scene di vita cinese, rami intrecciati, frutti, fiori, trofei musicali e persino scimmie in pose giocose. È la moda delle cineserie, tanto amata dalle corti europee del Settecento, che qui raggiunge un livello di raffinatezza assoluto.

A dominare il soffitto (realizzato in stucco a imitazione della porcellana) si staglia un lampadario singolare: dodici bracci che sorreggono candele intorno a un giovane cinese dall’aria malinconica, mentre con un ventaglio stuzzica un drago. Un dettaglio lieve e onirico, che rende l’atmosfera del salottino quasi irreale.

Nel 1866, con l’arrivo dei Savoia, il Salottino fu smontato dalla Reggia di Portici e trasferito a Capodimonte. Per anni il soffitto e le pareti rimasero separati, fino a quando nel 1957 (come in una fiaba che trova il suo lieto fine) tutto fu ricongiunto e ricomposto. Oggi, il Salottino di Porcellana non è solo una testimonianza della perizia artigiana di un’epoca irripetibile, ma anche uno degli spazi più emozionanti dell’intero museo: un luogo dove la fragilità della materia incontra l’eternità dell’incanto.

Autore
SiViaggia.it

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