Regno Unito, Starmer prova a riacciuffare l’elettorato sottraendo a Farage il suo cavallo di battaglia: misure restrittive sull’immigrazione
- Postato il 3 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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A solo un anno dal trionfo elettorale del luglio 2024, il governo laburista di Keir Starmer si trova già alle prese con un elettorato deluso e tentato dal populismo nazionalista di Reform UK, l’ultima incarnazione delle idee isolazioniste di Nigel Farage, che domina i sondaggi. La strategia laburista è quella di inseguire alcune di quelle istanze, per controllarle, invece di cedere il campo, e il paese, a Reform. Durante la recente conferenza Labour e nel White Paper di maggio “Restoring Control over the Immigration System”, Starmer ha quindi introdotto misure restrittive sull’immigrazione e la sicurezza interna, distaccandosi dalle promesse pre-elettorali di un approccio più umanitario rispetto ai governi precedenti.
I Tories, dopo la Brexit, avevano criminalizzato l’immigrazione povera e non qualificata, imponendo quote e tetti salariali per attrarre solo professionisti di medio e alto livello nei servizi. Questo aveva provocato carenze in settori come industria, agricoltura, sanità, ospitalità e ristorazione, al contempo aumentando il numero di ingressi. Ora il Labour irrigidisce ulteriormente: esclude i rifugiati e richiedenti asilo più vulnerabili (da guerre, carestie o crisi economiche), con l’eccezione dei profughi ucraini, che godono di ampio supporto. Tra le novità principali: eliminazione del ricongiungimento familiare per gli asilanti, per limitare i soggiorni permanenti; estensione del periodo per l’Indefinite Leave to Remain (ILR) da 5 a 10 anni, con requisiti stringenti come inglese avanzato e prova di “valore aggiunto” economico. Queste riforme, parte del Border Security, Asylum and Immigration Bill, hanno provocato critiche compatte da oltre 100 organizzazioni per i diritti umani.
Altra misura controversa è l’introduzione di carte d’identità digitali obbligatorie per tutti i cittadini e residenti. Questa decisione appare tone deaf, cioè l’ennesima dimostrazione della scarsa sensibilità politica di questo esecutivo: malgrado le carte d’identità, digitali o no, siano ampiamente accettate in Europa, nel Regno Unito c’è una profonda resistenza all’adozione di documenti di identità, che la popolazione percepisce come intrusivi della privacy e che associa ancora alle carte del razionamento post- bellico. E infatti ogni tentativo precedente di introdurle, anche gradualmente, è stato abortito. Presentate come strumento per facilitare rimpatri, monitorare flussi e combattere l’immigrazione illegale, anche stavolta hanno scatenato opposizione bipartisan: I progressisti temono invasioni della privacy in un contesto di sorveglianza digitale pervasiva; i conservatori le ritengono inutili contro i trafficanti. Quanto ai visti Skilled Worker, cioè quelli per professionalità ad alta qualificazione, ereditati da Boris Johnson, il Labour riduce la lista di professioni sponsorizzabili, elimina esenzioni per ospitalità e sanità, e investe in formazione interna per ridurre la dipendenza da manodopera straniera.
Il White Paper mira a una riduzione del 30-50% della migrazione netta entro il 2026, tramite controlli rigorosi e hub di rimpatrio. E colpisce anche i cittadini UE, anche se non i già residenti: i nuovi arrivati dall’Unione Europea dovranno ora soddisfare criteri più stringenti per i visti di lavoro o studio: ad esempio, la chiusura della rotta Skilled Worker per il settore dell’assistenza sociale e l’esclusione di alcune professioni a media qualifica, come infermieri o tecnici, renderanno più difficile l’ingresso per chi proviene da paesi come Polonia, Romania o Italia, fonti di manodopera qualificata. Il sistema a punti, ereditato dai Tories ma ora “ristrutturato” per dare priorità a competenze ad alto valore, richiede un minimo di 70 punti basati su offerta di lavoro, salario (almeno 38.700 sterline annue per molti ruoli, ben al di sopra della media londinese di 28mila, già superiore a quella del resto del paese) e conoscenza avanzata dell’inglese, con poche esenzioni per settori con carenza di lavoratori.
Le motivazioni sono squisitamente politiche: contrastare Reform UK, che erode consensi nelle periferie e regioni industriali. Starmer ha bollato Farage come “razzista e immorale”, ma adotta misure simili per riconquistare l’elettorato “rosso” – ex laburisti passati a Tories o Reform – sensibile a un’immigrazione percepita come incontrollata. Sondaggi Ipsos mostrano solo il 17% di fiducia nel Labour su questo tema, e il governo risponde legando le restrizioni a obiettivi economici a protezione dei lavoratori britannici.
Una valutazione degli effetti di queste politiche è prematura, ma questi annunci hanno un effetto misto nei sondaggi. Da un lato, il 56% dei britannici vede l’immigrazione in termini positivi, con il 94% a favore dei migranti qualificati. Dall’altro, il 71% disapprova l’uso di hotel per richiedenti asilo, e il 69% è insoddisfatto della gestione complessiva del governo. Reform UK resta il partito considerato più affidabile sull’immigrazione ed erode il consenso in molte roccaforti rosse perfino nel laburista Galles.
Sondaggi YouGov indicano ampio supporto per deportazioni su larga scala, ma a pesare sulla valutazione è la percezione, sbagliata, che la maggior parte degli immigrati sia irregolare. Nel complesso, finora la stretta ha stabilizzato il Labour al 35-40% nei sondaggi, ma rischia di alienare la base progressista. Come nota un’analisi Ipsos, il White Paper risponde a un’ostilità pubblica crescente, ma rischia di “sbagliare le priorità”, focalizzandosi su numeri poco rappresentativi anziché su una reale integrazione.
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