Riflessioni (in)attuali
- Postato il 19 novembre 2025
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- Di Il Vostro Giornale
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“In un angolo remoto dell’universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari c’era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e menzognero della ‘storia del mondo’: ma tutto ciò durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura, la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire”.
Si tratta di un passo estrapolato da Su verità e menzogna in senso extramorale di F. W. Nietzsche. Ancora una volta, almeno questo è il senso nel quale assumo queste righe, il filosofo tedesco, con caustica ironia, solleva il velo dell’inganno e mostra all’uomo la sua reale condizione. L’intera umanità e tutto il suo viaggio non sono altro che un effimero incedere “in un angolo remoto dell’universo”, un cammino breve che è stato preceduto da infinite eternità prima della sua comparsa e che, presumibilmente, non avvertiranno minimamente la sua scomparsa. É solo la “spaventata arroganza” dell’uomo che reclama l’autoinganno della specie: siamo investiti di una missione, comprendere. La capacità del nostro intelletto, abbinata alla congenita tracotanza e fragilità della specie, ha bisogno di pensarsi come altro dal perenne fluire del tutto senza uno scopo se non quello auto conservativo, nulla che indii l’universo né che lo annichilisca. Solo l’essere umano ha bisogno di pensarsi come investito di senso e, espandendo la propria logica su ogni fenomeno che incontra, è allora che concepisce il sole come finalizzato a fornirgli calore, le piante per garantirgli l’ossigeno e, come cascame conclusivo, eccolo a interrogarsi quasi offeso: “Ma a cosa diavolo servono le zanzare se mi producono solo fastidi”? È applicando la medesima logica che abbiamo concepito il meraviglioso espandersi dell’universo come frutto di un progetto all’interno del quale, noi, eccezione privilegiata, saremmo partecipi dell’eternità e destinati a un prolungamento di esistenza “individuale” all’infinito grazie alla partecipazione che solo noi condividiamo con il divino. Paradossalmente ne consegue che il divino stesso non potrebbe che esistere, essere causa e senso del tutto che altrimenti lo stesso verrebbe meno anche per noi. Quanta paura di accettare la verità, e quanta abilità nell’organizzare un “intelligente inganno condivisibile” che, se adeguatamente replicato nel tempo, può divenire addirittura fondamento etico delle nostre vite.
Il passaggio successivo, dopo quello di essersi concepiti come anomalia dell’universo poiché capaci alla comprensione, è stato quello di registrare il “dono” come una colpa alla quale ha fatto seguito l’espiazione, in questa “valle di lacrime”, per poter riguadagnare il diritto a ritornare alla “casella del via” di quell’assurdo “gioco dell’oca” nel quale abbiamo ridimensionato il ben più meraviglioso “gioco dell’uomo”. Il libero arbitrio, che ci contraddistingue, ci india e ci condanna, è un’implicita esortazione alla conoscenza che, se da un lato ci espone al pericolo della colpa, dall’altro ci regala il diritto al controllo su tutto ciò che cade sotto la luce razionalizzante del nostro intelletto. Il fatto che si colgano, più o meno correttamente, il vero e il senso, passa, così, in secondo piano, ciò che conta è che la “rete concettuale con la quale andiamo a pesca nell’infinito oceano dell’essere” ci restituisca un ricco bottino e che questo rimanga imprigionato in essa. Detto in maniera ancor più esplicita e, come tanto piace oggi, semplificata e sloganistica: Sapere è Potere. Per essere più iniequivocabili aggiungiamo il corollario: Potere è Controllo. L’intima unione di potere e controllo chiariscono i termini del concetto di conoscere per sapere che diviene conoscere per ordinare, conseguentemente controllare e, pertanto, aver potere su una realtà che, nel suo essere indipendente da nostro tentativo di ridurre il tutto alla sua pensabilità da parte nostra, conserva intatta la sua essenza irriducibile al nostro intelletto. In questa prospettiva la nostra azione, più che la meravigliosa celebrazione della superiorità della specie umana su ogni altro fenomeno, si presenta come una violenza pericolosa nei confronti sia dell’universo che dell’umanità stessa. Sarebbe opportuno provare a spingere lo sguardo ben oltre l’asmatico respiro della nostra prospettiva temporale, così facendo dovrebbe essere evidente il pericolo di scivolare senza più appigli verso una progressiva degenerazione del pianeta. Come non comprendere che tutti noi stiamo viaggiando nello spazio ospiti di una “astronave” che, una volta esaurite le risorse, non avrà modo di raggiungere un luogo dal quale attingerne di nuove, sarà opportuno, pertanto, difendere il metodo autoconservativo affinato dal pianeta prima del “meraviglioso sopravvenire delle magnifiche sorti e progressive” generato dalla nostra comparsa.
Più di mezzo secolo fa, precisamente nel 1970 con il corso tenuto al Collège de France, Michel Foucault già spiegava, in relazione alla sua lettura del pensiero di Nietzsche e contribuendo a quel fenomeno che sarà nomato Nietzsche renaissance, che la conoscenza è un prodotto assolutamente umano ma non istintuale. Sarebbe più utile accostarsi alla comprensione dello stesso cogliendone la radice più profonda e, forse quella sì istintiva, della necessità di gestire l’orrore dell’incontro tra il “fragile animale che pensa” e l’immensità dell’ignoto, eterno, sovrabbondante e irriducibile alla pochezza dei nostri strumenti di controllo assoggettati a due istinti congeniti: quello di sopravvivenza e quello di appropriazione. Di fatto siamo stati “gettati al mondo” dotati di un fardello non scelto, un kit per il viaggio composto da istinti e ragione. Rammentiamo la nostra radice istintuale per subito negarla a seconda dei contesti, impieghiamo gli strumenti della ragione per poi replicarne le negazioni in ingenuità tragiche come guerre e governi anti umani che divengono, camaleonticamente, eventi storici. Abbiamo preso velocità lungo il piano inclinato di un sistema che ci sta facendo scivolare nel degrado dell’inconsapevolezza e del pauperismo etico e culturale, abbiamo ammazzato Dio per sostituirlo con più prossime mediocrità divinizzate, gli infiniti orizzonti di una ragione forse presuntuosa si sono afflosciati a poche spanne dal nostro sguardo, l’altro e, infine, l’io si sono ridotti a numeri nell’epoca della quantità. L’homo mensura di protagorea memoria si è tradotto in anonimo fenomeno quantificabile nel tempio del numero: il mercato globale.
Ebbene, è proprio in quest’epoca, che credo possa definirsi l’età del solipsismo, che dobbiamo raccogliere l’ennesimo peana al superamento dell’uomo omologato cantato da Nietzsche e generare l’auto superamento. L’esistenza rimane un mistero e come tale va accettata, tentare di ridurla alle regole semplificatrici del solo pensiero razionale appare come una vittoria, mi riferisco alla triade sapere-potere-controllo, ma risulta essere una sconfitta, in quanto nega la componente irrazionale che la intride indissolubilmente. Certo non possiamo tornare a essere istinto, sarebbe una ulteriore forma di rinuncia, ma possiamo tornare a cogliere la nostra natura come terreno di battaglia perenne delle forze che ci abitano. Come possiamo pensare di poter conoscere qualcosa se non siamo in grado di incontrare nemmeno noi stessi? Chi altro può davvero entrare in relazione con il soggetto se questo si nega come possibilità? Dobbiamo divenire apertura, offrirci al profumo inebriante del precipitare per sapersi capaci al volo e quale sentimento più prossimo a questa opportunità se non l’amore? Amiamoci come sintesi dinamica di passione e ragione, di sentimento e fascino, di inconscio che sussurra a un essere finalmente in grado di comprenderlo. In un tempo in cui anche la scienza più rigorosa sperimenta percorsi apparentemente destabilizzanti, com’è possibile l’anestesia del cuore che ancora sa far vacillare la ragione più ordinata? Non siamo soli se sappiamo condividere il nostro viaggio, forse nemmeno destinati ad essere gli “animali intelligenti che dovettero morire”, credo che il solo senso della nostra esistenza sia la possibilità di edificare opportunità di felicità per noi stessi e per chi ci è comunque compagno di viaggio.
Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì. Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.