Ringo Starr, il Beatle triste che ha cambiato la musica (e conquistato Sinatra)

  • Postato il 12 luglio 2025
  • Di Panorama
  • 4 Visualizzazioni

«Frank devi farmi un favore, mia moglie Maureen compie gli anni tra pochi giorni ed è una tua fan potresti cantare qualcosa per lei?». In assenza di testimoni oculari, si può solo immaginare l’espressione di Frank Sinatra, The Voice, davanti al batterista dei Beatles Ringo Starr che fa irruzione nella sua casa di Los Angeles con la più irrituale delle richieste. Ma Sinatra, come Ringo, era un maestro dei colpi di scena, oltre che un gentiluomo: impassibile, si fa spalancare nottetempo le porte dei Capitol Studios, convoca un pianista e trasforma la sua hit The lady is a tramp in Maureen is a champ, cambiando persino una strofa e trasformandola in: «She married Ringo, and she could have had Paul. That’s why the lady is a champ» (Ha sposato Ringo ma avrebbe potuto avere Paul McCartney. Ecco perché la signora è una campionessa, ndr).

Con la bobina sottobraccio, Ringo torna a Londra, fa stampare una sola copia del 45 giri e la regala alla sua dolce metà. A oggi non sappiamo se questo siparietto leggendario farà parte dei biopic che il regista Sam Mendes sta girando in Inghilterra. Un film per ognuno dei Beatles, con l’attore irlandese Barry Keoghan nei panni di Mister Starr, il quarto Fab Four, l’ultimo a entrare nel gruppo, spesso oscurato dalle personalità debordanti di Lennon, McCartney e Harrison, il batterista meno «spettacolare» di sempre, ma al tempo stesso quello che ha reso le canzoni dei Beatles ciò che sono: nessuno show dietro i tamburi, solo istinto e pochi tocchi geniali. «Nei Beatles suonavo quel che mi passava per la testa in quell’istante. Spesso riascoltando i vecchi brani non ho la minima idea di che cosa stessi facendo. Non sarei in grado di replicare quel che ho registrato in studio», racconta oggi con 85 primavere sulle spalle, una vita incredibile che avrebbe potuto chiudersi entro i quindici anni.

Prima una peritonite operata all’ultimo istante seguita da dieci giorni di coma e un anno in ospedale, poi la tubercolosi accompagnata da due anni in sanatorio. Un inizio in salita: malato, cresciuto dalla madre Elsie a Dingle, il quartiere operaio di Liverpool, la scuola frequentata poco e male a causa delle condizioni di salute e un padre totalmente assente. L’immagine della sua rivincita è l’arrivo in un ospedale di Londra a bordo di una Rolls Royce per una fastidiosa tonsillite. Era il giugno del 1964, e l’Inghilterra intera era già follemente innamorata dei quattro ragazzi con i capelli a caschetto. È un unico grande film costellato di trionfi, delusioni e imprevisti, la vita di quello che per anni è stato soprannominato il «Beatle triste».

A cominciare dall’agosto nel 1962, quando sostituisce Pete Best nei Beatles per venti sterline alla settimana. Sale sul palco la prima volta con John, Paul e George, e i fan dell’ex batterista iniziano a urlare «Pete forever, Ringo never!» (Pete per sempre, Ringo mai, ndr). Dopo il primo concerto, arrivano gli Abbey Road Studios. I Beatles devono incidere Love me do, ma al produttore, George Martin, non piace il modo in cui Ringo interpreta il pezzo e chiama un turnista a sostituirlo. E Ringo? Per tutta la durata della canzone suona sconsolato il tamburello. Un altro inizio in salita prima di diventare a tutti gli effetti uno dei Beatles, la band più popolare e influente di sempre. È sempre stato un outsider Ringo Starr, l’unico musicista inglese follemente innamorato del country americano fino al punto da incidere due dischi (l’ultimo è Look Up è uscito a gennaio 2025) dedicati al suono di Nashville e dintorni. Da qui a fine anno sarà in giro per il mondo con una all star band di grandi musicisti: per farne parte, ha imposto come regola inderogabile, occorre aver suonato in un gruppo con almeno tre hit internazionali.  Sposato dal 1981 con Barbara Bach (il primo matrimonio è finito nel 1975), la Bond girl del best seller La spia che mi amava, Richard Starkey (questo il vero nome di Ringo Starr) ha archiviato da tempo le dipendenze da alcol e droga che lo avevano afflitto negli anni Ottanta. Ora è un salutista di ferro che ogni tanto sale sul palco di Paul McCartney per rivivere il brivido beatlesiano. L’ultima volta, a dicembre 2004, hanno cantato insieme con gli occhi lucidi  Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band e Helter Skelter.

Un omaggio a loro stessi e ai due che non ci sono più: John e George. Ne mancano due anche agli Who (il batterista Keith Moon e il bassista John Entwistle), la band contemporanea dei Beatles che, ironia della sorte, per trent’anni ha avuto come batterista Zak, il figlio di Ringo. Poi, qualche settimana fa, la lettera di licenziamento per Starkey junior a causa di incomprensioni con il cantante Roger Daltrey. Ringo ha masticato amaro e non ha detto nulla, ma lui, se si parla di incomprensioni in una band, è uno che la sa lunga: nel mezzo delle registrazioni del White Album dei Beatles, sentendosi messo in un angolo dal punto di vista creativo e non considerato abbastanza dagli altri tre, lasciò il gruppo, fuggì in Sardegna sullo yacht dell’attore Peter Sellers e scrisse quello che è diventato un classico dei Fab Four: Octopus Garden. «Il capitano della nave mi ha raccontato che i polpi si muovono sul fondo del mare alla ricerca di pietre luccicanti, lattine e bottiglie da mettere davanti ai loro rifugi subacquei per creare una sorta di giardino. Ho pensato che fosse uno spunto meraviglioso». Lui in barca e i Beatles bloccati in studio di registrazione. A interrompere lo stallo, un telegramma da Londra: Starkey sente di aver vinto e torna. Ad accoglierlo in sala d’incisione un enorme striscione di benvenuto e la sua batteria letteralmente sommersa e circondata da fiori. «Non avrei potuto fare diversamente: il telegramma diceva che ero il miglior batterista del mondo e che mi adoravano. Non capita tutti i giorni di leggere quelle parole firmate da tre Beatles…»

Autore
Panorama

Potrebbero anche piacerti