Risanare le acque del porto con un processo “bio”, conclusa la fase operativa del progetto di studio
- Postato il 27 novembre 2025
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- Di Genova24
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Genova. Si conclude la parte operativa dello studio sperimentale per il risanamento biologico delle acque e dei sedimenti del Porto Antico di Genova, oggetto del dottorato di ricerca industriale in Scienze e Tecnologie marine di Elvira Chiesa, biologa responsabile del laboratorio di analisi interno dell’Acquario di Genova, condotto in collaborazione tra Costa Edutainment, fondazione Acquario di Genova, Università di Genova, Arpal, Porto Antico ed Eurovix.
Il dottorato di ricerca presso l’Università di Genova, che si concluderà formalmente nel 2026, ha ottenuto il supporto finanziario di 11th Hour Racing, importante organizzazione filantropica americana che ha interessi per la conservazione dell’ambiente, che raggruppa diverse Fondazioni. Inoltre, il progetto è stato ulteriormente supportato dalla certificazione Ecocrest, grazie alle donazioni di Berbrand e Carloforte Tonnare Piam.
Grazie all’elevato interesse del progetto, l’Unione Europea lo ha inserito tra le attività riconosciute dalla “EU Mission: Restore our Ocean and Waters”.
La “bioremediation” è una tecnica efficace, sostenibile e non invasiva, capace di contribuire al risanamento di aree marine inquinate come quelle portuali, se inserita in piani strutturati di gestione responsabile. L’impiego i bioattivatori contribuisce a mitigare i fenomeni di distrofia acquatica, movimentando i contenuti sedimentari di materiali organici detritici e trasformando tali materiali in biomassa o mineralizzandoli.
Il progetto ha lo scopo di sviluppare un protocollo operativo standard che potrà essere adottato anche in altri contesti portuali, promuovendo una nuova visione di porto non solo come luogo di transito, ma anche come spazio che può essere recuperato e valorizzato. Le aree portuali, infatti, sono spesso considerate dei “non luoghi”, sottovalutando, invece, il ruolo ecologico che rivestono come punti cruciali di scambio e connessione tra ecosistemi terrestri e marini, oltre che habitat per numerosi organismi. Il trattamento per migliorare l’ambiente di tali aree rappresenta un ulteriore passo verso la risoluzione di situazioni complesse in cui, oltre agli aspetti più propriamente ecologici, si affiancano quelli sociali, economici e sanitari.
Un porto complesso, un problema reale
Il Porto Antico di Genova è il principale biglietto da visita della città. Tuttavia, costituisce un’area ad alta compromissione ambientale, caratterizzata da scarso idrodinamismo e da accumulo di sedimenti inquinati. In quest’area sfociano il Rio S. Anna e altri numerosi rivi minori, le cui portate variano improvvisamente in seguito a eventi meteorici intensi veicolando rapidamente acque di origine continentale al bacino portuale. Malgrado le opere di canalizzazione e trattamento, tali acque possono contenere elevate quantità di inquinanti chimici (metalli pesanti, idrocarburi, nutrienti, etc.) e microbiologici. (Escherichia coli e altri batteri di origine umana). Inoltre, sono presenti molti moli di attracco di natanti privati e turistici, che contribuiscono a creare zone a scarsa circolazione d’acqua, ma anche zone di turbolenza occasionale. A ciò si aggiungono gli attracchi di navi commerciali o di servizio. Queste sono condizioni riscontrabili anche in altri porti semichiusi del Mediterraneo, che necessitano di interventi sostenibili e ripetibili nel tempo.
L’innovazione: bioattivatori per riequilibrare l’ecosistema
I bioattivatori sono miscele di microrganismi non patogeni, non geneticamente modificati e preventivamente sottoposti a test di tossicità che li classificano come non tossici per l’ambiente e gli operatori. A questi consorzi biologici sono aggiunti enzimi, estratti vegetali e catalizzatori minerali che, una volta rilasciati nell’ecosistema, si attivano e contribuiscono a ristabilire condizioni di equilibrio, supportando la movimentazione biologica di carichi organici inquinanti (in particolare delle frazioni azotate) mediante la, stimolazione e il potenziamento delle attività di degradazione e riciclo.
Questo tipo di biotecnologia rappresenta un approccio “ecofriendly” e innovativo e presenta numerosi aspetti positivi: non ha controindicazioni ambientali, a differenza di altri interventi che prevedono l’impiego di sostanze chimiche responsabili di provocare modificazioni ambientali irreversibili o effetti batteriostatici, ha costi competitivi rispetto ad altri tipi di bonifiche che comportano dragaggi, installazione di strutture e filtrazioni, non interferisce con le normali attività dell’area (pesca, navigazione, etc) in cui viene utilizzata, non produce residui tossici o bioaccumuli e può coesistere con altre tecnologie simili che concorrono al risanamento delle acque, come ad esempio la “micoremediation”.
I bioattivatori sono già ampiamente utilizzati in contesti di acqua dolce ma finora poco o nulla applicati in ambienti portuali marini.
Il progetto ha testato alcuni prototipi di bioattivatori microbici in un laboratorio appositamente allestito all’interno dell’Acquario di Genova e successivamente in campo, identificando la combinazione potenzialmente più efficace. Il bioattivatore individuato è stato quindi utilizzato per un trattamento in situ per una durata di 120 giorni, con interventi settimanali in un’area del bacino portuale.
Le principali conclusioni
Le analisi condotte (oltre 4600, distribuite su un totale di 44 parametri) hanno rilevato modificazioni promettenti delle condizioni ambientali, il cui sviluppo è attualmente soggetto a un’analisi più approfondita per determinare i punti cardine dei processi, le opportunità e le debolezze dell’approccio nello specifico sito portuale.
Dal punto di vista ecologico e gestionale, i risultati suggeriscono che la “bioremediation” agisce più sulla qualità che sulla quantità totale della materia organica, promuovendo un consumo selettivo della frazione più degradabile e azotata e favorendo l’accumulo di frazioni più stabili. In termini ambientali, questo si traduce in sedimenti con minore rischio di rilascio di nutrienti inorganici dell’azoto dopo l’intervento di biorisanamento.
Da un punto di vista operativo, lo studio indica che la somministrazione settimanale di bioattivatori (così come previsto dal protocollo operativo standard) influisce sulle caratteristiche ecosistemiche, ma suggerisce anche che un aumento della frequenza e un’estensione temporale del trattamento, iniziando in primavera e proseguendo fino all’autunno, potrebbe ottimizzare i risultati, specialmente per prevenire fenomeni di stress ambientale e preparare il corpo idrico ad affrontare periodi di carenza di ossigeno accentuati dalla stratificazione termica dei mesi più caldi.
Emerge la necessità di un approccio integrato e multidisciplinare alla tecnica di “bioremediation”, che potrebbe combinare “bioaugmentation” e “micoremediation” per affrontare in maniera più completa le problematiche di inquinamento, soprattutto in contesti complessi come quelli portuali, dove possono essere presenti contaminanti inibenti come metalli pesanti. L’integrazione di tali tecnologie, insieme allo sviluppo di modelli di gestione economica e ambientale, potrebbe favorire l’adozione più ampia e sistematica della tecnica di “bioremediation” nei protocolli di gestione portuale, contribuendo al miglioramento sostenibile della qualità ambientale e della salute pubblica.