Roberta Vinci: “Roma ha un sapore diverso. Sinner mi ha sbalordito, è il grande trascinatore. Musetti? A me la rivalità interna ha fatto bene”
- Postato il 14 maggio 2025
- Tennis
- Di Il Fatto Quotidiano
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È stata numero 1 al mondo in doppio e numero 7 in singolare, in carriera ha vinto 35 titoli WTA nelle due discipline, tra cui tutti i tornei dello Slam, una serie di successi che le hanno permesso di aggiungere il suo nome tra le leggende del tennis e dello sport italiano: Roberta Vinci si racconta tra passato e presente. L’ex tennista, oggi talent di Eurosport, ha ricordato la sua storica vittoria agli Internazionali d’Italia in coppia con Sara Errani nel 2012 e alcuni dei momenti più importanti della sua carriera, come il successo contro l’allora numero uno al mondo Serena Williams, a Flushing Meadows: “È stata la mia vittoria più bella”, racconta la campionessa tarantina. E non è mancato un commento sul panorama tennistico attuale, con tre tennisti italiani nelle top 10 ATP e WTA: “Sinner è il trascinatore. Chi vincerà il singolare a Roma? Faccio il tifo per Paolini, può vincerlo anche in futuro”.
SINNER AI QUARTI: LE SUE PAROLE
Internazionali d’Italia, vittoria in doppio con Sara Errani nel 2012. Che ricordi ha?
Per me e per Sara è stata un’emozione bellissima perché venivamo da tanti tornei vinti, eravamo una coppia molto solida, però un conto è vincere all’estero, un altro è vincere in Italia. Vincere davanti al pubblico italiano ha un sapore diverso, particolare. Non era scontato e semplice, ma aver alzato la coppa a Roma lascia un sapore diverso.
E oggi, secondo lei, quale degli atleti azzurri ha più chance di vincere a Roma in singolare?
Nel maschile, ovviamente, la speranza è che ci possa essere una finale tutta italiana. Un Sinner-Musetti sarebbe pazzesco per tutti, per Roma, per il torneo, per la federazione. Non vorrei dirti un nome, spero che ci sia almeno un italiano in finale. Dal punto di vista femminile, le attenzioni sono su Paolini e spero che ci sia una vittoria perché ha dimostrato di essere una grande giocatrice. Sta giocando bene e alcune delle big sono uscite, come Swiatek. Certo, ci sono Sabalenka o Gauff, ma tutto può succedere e se devo sparare un nome dico Paolini, anche per una questione di nazionalità. Ha ancora tanti anni da giocare, le auguro di vincere Roma e di andare avanti a Parigi e in tutti gli altri tornei.
Errani qui a Roma ha lasciato intendere che potrebbe essere il suo ultimo anno in singolare. C’è un momento della vostra carriera insieme che le è rimasto nel cuore?
Di momenti belli insieme ne abbiamo passati tanti, tanti anni su un campo da tennis… Abbiamo vinto tanto per fortuna, tutti quanti gli Slam e non capita così spesso. Se devo scegliere forse dico la prima vittoria Slam al Roland Garros, perché non era così facile né scontato. E il primo Slam non si scorda mai. Ma in generale non ce n’è uno in particolare perché fortunatamente abbiamo vinto tanto, belle vittorie e belle sensazioni che io tuttora porto con me. Lei sta continuando a giocare, si è tolta qualche soddisfazione in più con l’oro olimpico e la vittoria in doppio, è un po’ più ricca di trofei rispetto a me (ride, ndr). Abbiamo avuto una bellissima carriera insieme io e Sara.
Lei invece quando e come ha capito che era arrivato il momento di ritirarsi?
Vedevo che il mio fisico iniziava a faticare, mentalmente non riuscivo più a essere così costante negli allenamenti. Mi iniziava a pesare un po’ tutto. E quando ti inizia a pesare e non sei più competitiva al cento per cento è ovvio che ti fai qualche domanda. Poi ho cercato di capire quando finire e ho scelto di farlo al Foro Italico, nel 2018, davanti al pubblico italiano perché mi sembrava doveroso ringraziarlo dopo che mi ha tifato per così tanti anni. È stata una scelta mia finire sul Pietrangeli, se lo avessi fatto altrove non sarei stata contenta.
Come ha vissuto il passaggio alla nuova routine dopo il ritiro?
Tutto sommato abbastanza bene, non è stato così traumatico come magari accade a qualcun altro. Ovviamente è normale essere spaventati dopo aver fatto per vent’anni questa vita, c’è qualche incertezza, ma io mi sono adattata abbastanza bene. Già il fatto che non ho mai avuto ripensamenti sul tornare a giocare a tennis significa che avevo fatto una scelta ponderata, giusta e mi sono adattata benissimo.
Qual è stata, per lei, la vittoria più importante?
Troppo facile: è la vittoria con Serena Williams in semifinale agli US Open 2015. Quella è stata un po’ la partita delle partite, è stata la ciliegina sulla torta perché ho vinto tanto in doppio e vinto tanto in singolo, ma battere la numero uno, in America, davanti al suo pubblico, è stata forse la partita in cui ho davvero lasciato il segno. Probabilmente se qualcuno dovesse pensare a me, penserebbe a quella partita lì, a quella vittoria epica.
E quale invece la sconfitta più difficile da accettare? Forse quella finale agli US Open contro Pennetta.
No, non è stata così difficile da digerire, Flavia è stata più brava di me in quella circostanza. Ovviamente avevo piacere a vincere, ma non è stata quella la sconfitta più dolorosa, non ci sono rimasta così tanto male. Non ne ho una in particolare, forse, se penso un po’ indietro con gli anni, una ce n’è, contro Agnieszka Radwańska a Doha, dove ho perso al terzo set (nel 2016: 3-6, 6-2, 6-3 per la tennista polacca in quasi due ore, ndr), giocavamo bene tutte e due. Se avessi vinto quella partita sarei diventato sei del mondo e avendola persa non sono più riuscita a toccare quel numero. Quella un pochettino mi è rimasta un po’ in gola.
Il tennis italiano oggi è in forma smagliante: Paolini in top 5, Sinner e Musetti nella top 10 maschile. Quali sono secondo lei le ragioni di questa crescita?
È stato fatto un grande lavoro federale nell’organizzare tanti tornei in Italia e rendere visibile il tennis sotto tutti i punti di vista. Poi, certo, avere Sinner numero uno al mondo è un grande volano, prima c’è stato anche Berrettini con la finale di Wimbledon. Credo che sia un po’ un trainarsi tra di loro con una sana competizione, una sana rivalità dove uno cerca di fare meglio dell’altro. Così porti l’atleta a stimoli diversi e quindi una crescita anche molto rapida. Ma ripeto, è Sinner il grande trascinatore di tutto: Musetti vede lui numero uno al mondo e si vuole avvicinare, lo stesso Berrettini. Alla fine è una catena che cerca sempre di non spezzarsi e di rincorrersi. Paolini uguale, magari avendo adesso anche Sara in doppio ha cercato di captare qualche informazione in più e ha avuto una crescita notevole. Nel femminile, inoltre, non essendoci una Serena Williams dell’epoca, può succedere di tutto, può vincere chiunque e anche quello conta. Poi è chiaro che ognuno cerca di fare sempre il massimo, come giusto che sia.
Potrebbe essere questa sana competizione un parallelismo con la vostra generazione?
Assolutamente. Per quanto mi riguarda ho sempre avuto il confronto con le altre ragazze italiane in modo positivo perché cercavo di arrivare dove erano arrivate loro, cercavo di capire come ci fossero arrivate. Noi quattro (Vinci, Schiavone, Pennetta ed Errani, ndr) siamo state molto intelligenti e molto rispettose l’una dell’altra, abbiamo capito che la rivalità c’era, ma era una sana rivalità, che ti fa capire, migliorare, ti porta al limite e alla fine ognuna cercava di rubare qualcosa dall’altra in modo positivo.
Dopo tre mesi di stop, Sinner è tornato a Roma: che impressione le ha fatto, anche a livello di testa e di condizione?
Mi ha sbalordito. Non avevo molti dubbi perché comunque già abbiamo visto grandi cose da Sinner, ma non era così scontato dopo tre mesi di stop e dopo tutto quello che era successo giocare così sciolto. Mi ha sorpreso in modo positivo, cosa gli vuoi dire? È così giovane ma sembra che abbia un’esperienza decennale. Eppure è appena arrivato: questo fa capire la mentalità vincente di questo ragazzo. Perché oltre a giocare benissimo diritto e rovescio, anche fuori dal campo ha una mentalità che difficilmente si trova in un ventenne.
Dopo il ritiro ha iniziato a giocare a padel: come mai ha deciso di lanciarsi in questa nuova sfida?
Ho smesso due anni fa, ma mi è piaciuto molto, è uno sport piacevole, era anche un modo per me di non andare in palestra e muovermi. Ho giocato tanti anni a tennis, poi ho smesso, ma il fisico dopo qualche anno ti chiede un po’ di movimento, quindi ho cominciato. Anche perché il padel era molto simile al tennis, è stato un modo per scoprire questo sport e dove potevo arrivare, però adesso non gioco più. Certo se mi invitano per qualche partitella molto volentieri, ma diciamo che l’amore per il tennis non è sicuramente paragonabile all’amore per il padel.
In carriera lei è stata allenata da Francesco Cinà, oggi coach del figlio Federico, che a 18 anni ha già debuttato in tre Master 1000. Che idea si è fatta di questo giovane tennista?
Lo conosco da quando era bimbo perché Francesco lo portava spesso ai miei tornei, quindi mastica tennis da quando era molto piccolo. L’ho visto giocare l’altra volta e ha grandi potenzialità, a tennis gioca bene, sicuramente può migliorare ancora dal punto di vista fisico, ma parliamo di un ragazzo di 18 anni. Ha ancora tanti anni per crescere: sono sicura che ha grandi potenzialità. Speriamo che possa diventare molto molto forte.
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